La Cina del nuovo millennio

Si è tenuto lo scorso mese di novembre il sedicesimo congresso del partito comunista cinese, giudicato dagli osservatori borghesi come uno dei più importanti appuntamenti della politica internazionale di questa parte finale del 2002. Nell'agenda dei lavori del congresso c'era, tra le altre cose, l'annosa questione del ringiovanimento dei quadri e l'inserimento nei ranghi dirigenziali del partito delle nuove leve, più aperte alle istanze della globalizzazione dell'economia mondiale e pronte a recepire gli input provenienti dalle istituzioni economico-finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Un punto fondamentale per i prossimi anni della Cina, un paese che con una popolazione di oltre un miliardo e duecento milioni di abitanti rappresenta sicuramente uno degli aghi della bilancia nei sempre più tesi rapporti interimperialistici. Il congresso del partito non ha tradito le attese della vigilia degli osservatori borghesi, i quali s'aspettavano che la nuova Cina accelerasse la propria corsa verso l'economia di mercato per abbandonare definitivamente gli ultimi retaggi dell'economia di piano.

Il congresso ha deciso che a guidare il partito e quindi lo stato nel prossimo futuro sarà la quarta generazione, quella che viene dopo Mao, Deng e Zemin. Una svolta nella continuità visto come sono state sia le scelte dei dirigenti sia le politiche delineate nel discorso d'insediamento del nuovo segretario del partito. Lo scettro del comando passa nelle mani del cinquantanovenne, ex delfino di Zemin, Hu Jiantao, unico membro tra i sette del Comitato permanente del Politburo ad essere eletto nel nuovo comitato centrale. Per il neo presidente, è stato un vero e proprio plebiscito da parte dell'assemblea, ben 2131 voti su un totale di 2132. Gli altri membri del nuovo Comitato permanente del Politburo, seppur più giovani rispetto ai precedenti, sono espressione della continuità con la vecchia classe dirigente. Nei fatti Jiang Zemin da presidente uscente è riuscito a piazzare sui ponti di comando i suoi uomini, garantendosi nei fatti quella continuità sostanziale della sua politica e del suo potere.

Nella prima giornata del congresso il segretario generale uscente Jiang Zemin ha sottolineato che per la Cina è prioritario adeguarsi alle istanze che provengono dai settori più avanzati della società. In sostanza, il partito, e quindi l'intera società, devono aprirsi, in nome della teoria delle tre rappresentanze, ai nuovi ceti imprenditoriali. Ma cosa significa "teoria delle tre rappresentanze"? Dopo la teoria delle quattro contraddizioni, del grande balzo in avanti e della rivoluzione culturale, la borghesia cinese ha elaborato un nuovo specchietto per le allodole capace di mistificare ancor di più una realtà che con il socialismo non ha nulla a che spartire. Purtroppo sulla scena politica del riformismo (vedi l'articolo di Samir Amin apparso sul numero 34 di Dicembre 2002 della rivista del Manifesto) c'è gente che nonostante in Cina non ci sia mai stata una rivoluzione socialista, né tanto meno organi del potere proletario ma solo capitalismo di stato, vede in essa un paese che ha le potenzialità per realizzare una società socialista. Per la nuova classe dirigente del paese, l'asse portante della società cinese è rappresentato dalle forze produttive avanzate, dalla cultura avanzata e dai cosiddetti interessi pubblici; sono appunto queste le tre rappresentanze che devono ispirare la politica cinese nei prossimi decenni. Delle tre rappresentanze sono le forze produttive avanzate a giocare un ruolo fondamentale nella scena economico-politica cinese. Tradotte in termini più comprensivi, tali forze produttive avanzate non sono altro che gli imprenditori privati, che nell'ultimo decennio, agendo quasi nell'ombra, hanno permesso alla Cina di avere una crescita annuale del prodotto interno lordo superiore al 7%, mentre il resto del mondo annaspava nella recessione.

Nei lavori del congresso è emerso che compito prioritario del partito è far affluire al proprio interno una massa sempre crescenti di rappresentanti del nuovo ceto imprenditoriale. Con l'ingresso in massa degli imprenditori, il partito è destinato a cambiare ulteriormente la propria composizione sociale, riducendo ancor di più la presenza, ormai ridotta a puro simbolo del passato, degli operai e dei contadini. L'ingresso dei nuovi ceti imprenditoriali nel gruppo dirigente del partito e quindi dello stato significa che lo scontro all'interno della classe dominante cinese ha portato alla ribalta quel settore della borghesia più legata all'economia internazionale e ai meccanismi della speculazione finanziaria. Infatti, da questa svolta sia la Banca Mondiale che il Fondo Monetario Internazionale s'attendono dalla Cina un grosso contributo per far uscire dalle secche della recessione il capitalismo mondiale. Proprio le due istituzioni internazionali prevedono per i prossimi anni che l'economia cinese crei 100 milioni di nuovi posti di lavoro, forza lavoro che rappresenterà l'asse portante per l'industria manifatturiera di base per il capitalismo internazionale. In sostanza lo schema della Banca Mondiale e del FMI, fatto proprio dalla borghesia cinese, è basato sull'apertura della Cina all'economia internazionale, apertura che sposterà, grazie ai bassissimi salari della classe operaia cinese, nell'estremo oriente una buona parte dell'industria manifatturiera mondiale di base e a basso contenuto tecnologico. Un gigantesco serbatoio di forza lavoro a bassissimo costo che la borghesia cinese è disposta a mettere sul mercato internazionale ottenendo in cambio i capitali necessari per avviare la ristrutturazione della propria economia. Secondo le ottimistiche previsioni della borghesia mondiale, la Cina oltre ad offrire manodopera a bassi salari costituirà il nuovo mercato più importante del prossimo decennio. Sempre secondo la Banca Mondiale nei prossimi anni in Cina ci saranno 150 milioni di nuovi utenti di telefonia mobile, una vera e propria manna dal cielo per l'industria delle telecomunicazioni che negli ultimi tre anni è entrata in una crisi profondissima tanto che tutte le imprese del settore hanno accumulato in questo periodo una montagna di debiti.

Se queste sono le attese, la propaganda della borghesia cinese ed internazionale si dimentica di parlare di quelle che sono invece i contraccolpi sul piano sociale di questa nuova fase del capitalismo in Cina. Se è vero che l'economia cinese potrà ottenere capitali dall'estero per rilanciare sul piano tecnologico il proprio apparato produttivo la conseguenza immediata è l'esplosione della disoccupazione di massa, tanto che le stesse cifre ufficiali già ora indicano che dal 1995 al 2001 il tasso dei disoccupati è passato dal 3% al 12%. Ma il vero cataclisma è quello che ha per protagonista la massa di contadini sparsi all'interno della ruralità cinese. L'economia contadina che ha finora permesso di sfamare milioni di persone è destinata a subire un colpo mortale dalle nuove forme di produzione agrarie, basate sulla grande azienda capitalistica, determinando una migrazione di dimensioni bibliche di masse contadine verso le sempre più affollate città cinesi. Da un lato quindi masse crescenti di proletari ridotti alla fame, dall'altro settori di borghesia che s'arricchisce anche grazie ai legami con i circuiti del capitale internazionale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.