La risposta di Damen

Un'analisi, anche sommaria, della circolare inviata alla organizzazione di base dall'attuale C.E. pone il problema più vasto di sottoporre al vaglio critico tutto il nuovo orientamento dato alla politica del partito nella fase attuale.

Prima constatazione da fare è che dall'ultima riunione della Centrale si è voluto dare spiccato carattere di tendenza alla composizione del nuovo C.E. sotto lo specioso pretesto di assicurargli unità di intenti; fin qui la via aperta ad un esperimento che tenta strappare il partito dalla base che gli è propria e quale è uscita dall'ultimo Congresso di Firenze, per buttarlo a capofitto in un'avventura che potremmo chiamare liberal-comunista, che non ha nulla a che vedere con la ideologia e la prassi di una avanguardia quale la nostra, a salda tradizione marxista.

A parte la constatazione della povertà e superficialità del documento, ciò che in esso va rilevato senz'altro è che da come squisita la premessa che considera il proletariato come un assente sulla scena del mondo, quando in realtà è vero solo se riferito al peso specifico che il proletariato ha come forza autonoma di classe con la piena coscienza dei propri compiti storici, mentre cessa d'essere vero quando l'analisi è riferita agli interessi fondamentali di classe che storicamente vede il proletariato in conflitto con le forze oppressive e sfruttatrici. Il metodo marxista, anche quando dà come prevalente la prima constatazione, quella dell'assenza del proletariato come entità politica di classe, non esclude ne sottovaluta la funzione storica del partito rivoluzionario nel suo compito permanente di innalzarlo a questa coscienza politica, di illuminarlo e abituarlo alla sua funzione di forza rivoluzionaria.

Non bisogna perdere di vista, nell'azione del nostro partito, il fatto elementare di masse operaie asservite al capitalismo e alla sua politica di conservazione, che portano nel loro seno le condizioni obiettive e subiettive del loro lento e faticoso elevarsi fino al piano di lotta quale è stato predisposto dall'opera vigile, inflessibile e tenace della sua avanguardia rivoluzionaria.

Il dissidio scoppiato al vertice del partito prende le mosse proprio da questo diverso modo di considerare le masse e il legame che deve in ogni contingenza saldare il partito ai loro interessi fondamentali, al contrasto che questi interessi determinano, alla lotta che suscitano per la difesa del minimo vitale.

Disinteressarsene, come bellamente vien fatto nel documento in esame, e non farsene motivo costante dell'interessamento e della politica concreta del partito, significa tagliarsi fuori dalla vita attiva del proletariato, i cui interessi non sono una astrazione, e da ogni pratica possibilità di fare dei nostri quadri i futuri organi direttivi della ripresa di classe e della lotta rivoluzionaria per il potere.

Inoltre, il documento mostra evidente la sproporzione enorme che esiste tra le enunciazioni generali di un dramma che il proletariato vive e che potrebbe trasformarsi in tragedia, e i compiti assegnati all'avanguardia rivoluzionaria che da organizzazione di polemica inesorabile e di lotta dovrebbe ora essere piegata al ruolo di fiancheggiamento dei mugugnanti contro l'avverso destino dei lavoratori, nell'attesa buddistica di un sole dell' avvenire che dovrà pur sorgere un giorno per opera e virtù di non si sa quale occulta forza taumaturgica.

Dopo questo primo esame preliminare del documento, vediamo ora criticamente certi aspetti particolari, che maggiormente caratterizzano la tendenza di taluni compagni a deragliare dalla linea tradizionale del marxismo e quindi del partito.

Si è molto dibattuto il capoverso relativo ai fattori determinanti lo schieramento del proletariato. In verità, non si tratta di mancanza di chiarezza nella dizione del documento, ma di una formulazione teorica che è di premessa e di giustificazione al tentativo di castrare il partito dei suoi attributi essenziali, di liquidarlo come entità politica vivente e operante, di ridurlo in una parola, al rango di un modesto mosaico di gruppetti sparsi qua e là, legati più al filo sottile di tradizioni personali e di amicizia che alle esigenze della vita operaia, alle sue lotte, che si vuol tenere in piedi con dei semplici articoli di giornale, non vivificati affatto da un'azione politica quale il variare delle condizioni obiettive esprime e rende praticamente possibile. L'affermazione che “il Partito non determina lo schieramento del proletariato sul fronte di classe” parte da una precisa e chiara convinzione deterministica, d'un determinismo meccanicista, per cui la forza soggettiva del moto di classe, che è poi il partito, non deve che registrare e prendere atto, ai fini della propria azione, dell'avvenuto schieramento provocato, essi pensano, innanzitutto e unicamente da modificazioni essenziali prodottesi nell'ambito delle condizioni obiettive.

Tale formulazione è in evidente contrasto con l'altra da noi sostenuta, che assegna al partito il compito di illuminare e di dare una coscienza, di concrescere quasi con la spinta elementare che proviene dal basso, dal sottosuolo della storia e che ributterebbe il proletariato in tutt'altra direzione, diversa da quella di classe e della lotta rivoluzionaria come è sempre avvenuto in ogni svolta della storia quando manca il partito della rivoluzione o quando questo non è fortemente e fisicamente legato agli interessi non solo permanenti e storici, ma anche contingenti e particolari della massa lavoratrice. Trattasi qui non di dissenso formale ma di diverso, inconciliabile modo di concepire e realizzare la teoria rivoluzionaria.

Se è vero che il “partito non parte dalla pretesa e dalla velleità di modificare col suo intervento i rapporti di forza tra le classi” non è esatta né accettabile la prospettiva che vede il partito fermo su posizioni di critica astratta, di differenziazione e delimitazione di classe puramente verbali, nell'attesa che lo sviluppo della società borghese maturi la pedata che dovrebbe scaraventare il proletariato sulla linea di battaglia preconizzata dal partito. In realtà, pedate del genere hanno fin qui spinto il proletariato in situazioni opposte e obiettivamente reazionarie o a rimorchio dei partiti della controrivoluzione.

In tal modo, il partito non si abilita come organo di guida, ma ciò è possibile nella misura che saprà vivere e far sua la battaglia che anche nelle situazioni più difficili i lavoratori sono costretti a sferrare contro il capitalismo, nella misura che saprà legarsi a queste lotte con l'obiettivo di smascherare, con una critica resa viva nel fuoco dell'azione, idee, uomini ed organismi asserviti tutti al nemico di classe, e di chiarire sul piano dello stesso contrasto d'interessi fra le due classi storiche gli obiettivi finali della lotta e lo sbocco necessario e inevitabile della conquista rivoluzionaria del potere.

La discussione fra di noi dovrebbe perciò vertere al massimo sulla valutazione del più e del meno di questo fare nel concreto della politica di classe, ma non mai sul problema di essere o no legati alle masse in lotta per la difesa dei loro interessi, e di far vivere o no quegli organismi permanenti di fabbrica che questi legami assicurano e rendono vivi ed efficienti.

Il problema centrale, in permanente dibattito negli organi direttivi del partito, è sempre quello che ha sempre reso vivi ed appassionati il convegno di Torino ed il congresso di Firenze: dobbiamo o no interessarci delle agitazioni operaie e predisporre, coordinare e rendere efficienti i gruppi di fabbrica attraverso cui il partito si lega alle masse operaie, ai loro interessi, alle loro agitazioni e, quel che più conta, al loro graduale inquadramento nei futuri nuovi organismi che sorgeranno nel fermento della lotta? Oggi è chiaro che a questa domanda il partito non risponde più allo stesso modo: in esso due correnti si sono determinate che non trovano più un denominatore comune per assicurare un indirizzo unitario alla politica del partito.

È avvenuto che l'indirizzo politico uscito dal congresso di Firenze, dopo essere stato da alcuni compagni mal digerito e travisato nello spirito, ora viene apertamente ripudiato senza la preventiva consultazione della base del partito e senza che una nuova decisione di Congresso abbia approvata e resa valida una svolta di questo genere. È una procedura imposta dall'alto che offende la coscienza del partito e che si riporta ai metodi cari allo stalinismo.

Nell'attuale corso storico non c'è niente da fare, si afferma perentoriamente nella circolare, all'infuori di un'opera critica e di delimitazione di classe, e seguendo il metodo proprio dell'opportunismo si avalla questa calata di brache di fronte ai problemi gravi ed urgenti posti al proletariato e alla sua avanguardia rivoluzionaria dalla crisi e dalla guerra in preparazione con una frase di Lenin buttata lì senza senso critico e sensibilità dialettica, quando è estremamente facile dimostrare l'opposto con altre frasi dello stesso genere e dello stesso periodo di un Lenin che per sua natura aveva ben altro concetto dell'azione politica e organizzativa del partito e del loro durare per nell'alterna vicenda delle lotte del proletariato.

E «non c'è niente da fare» proprio quando, a detta della stessa circolare, l'attuale corso storico è caratterizzato dal ritmo accelerato della crisi capitalistica e dell'inevitabile inasprirsi dei contrasti imperialisti con la inevitabile mobilitazione delle forze politiche miranti all'inquadramento delle masse sotto la bandiera della difesa della democrazia da un lato, del socialismo dall'altra. E chi opererà la difesa del socialismo, che è quanto dire la difesa della causa del proletariato, contro questa enorme turlupinatura del socialismo e del proletariato se non il partito della rivoluzione? Ma una tale difesa è solo possibile nella misura che il nostro partito saprà tradurre i motivi della sua battaglia politica dalla carta stampata e dalla parola nella storia viva, dall'enunciato teorico alle possibilità reali della lotta rivoluzionaria. Ma alla sola condizione che il partito sappia affondare la sua azione nel terreno dei contrasti di classe, nel vivo della lotta del proletariato.

Da qui sorge e si precisa il motivo più appariscente del disaccordo scoppiato al vertice del partito. Disaccordo che permane anche quando l'estensore del documento si lascia prendere dalla preoccupazione che nasce dalla coscienza dell'evidente nullità dei compiti attuali del partito e tenta di cloroformizzare il lettore con lo scoppiettio a vuoto del solito e abusato estremismo delle parole.

Al par. 4 si legge:

il partito si abilita alla sua funzione di guida alle battaglie rivoluzionarie di domani alla sola condizione di schierarsi fin da oggi nel programma e nell'azione sul fronte che vedrà i proletari individuare il bersaglio della loro azione demolitrice (la «critica delle armi») nei partiti dell'imperialismo e negli organi che ne dipendono, e ricostruire fuori e contro di essi e delle loro iniziative di azione pseudo-proletarie gli organismi autonomi della propria lotta. È in ciò che va cercato il suo legame permanente con la classe.

Non è onesto giocare con le parole, quando di fatto il documento esprime chiaramente la volontà dell'attuale Esecutivo di non far nulla per ricostruire nella coscienza del partito prima, sul piano dell'organizzazione poi, fuori e contro i partiti dell'imperialismo e contro gli organi che ne dipendono, “gli organismi autonomi della propria lotta”. Il legame permanente con la classe non va quindi cercato nella semplice indicazione di questa necessità, ma nella sua attuazione nel solco delle esperienze e delle lotte delle masse operaie.

E come tutto ciò va concretizzato, se non è volutamente indicato dalla circolare del Comitato Esecutivo, sol perché questo non crede ad un lavoro serio, concreto e continuo a contatto con le masse operaie, nei posti di lavoro e ovunque gli attriti e gli urti di classe appaiono maggiormente sensibili, urgenti e formativi, sta a noi precisarlo e in termini che non consentono equivoci.

Una politica rivoluzionaria deve rifuggire tanto un atteggiamento individualistico e aristocratico di prevenzione e ripugnanza verso le masse, come dall'altro, altrettanto negativo, e causa di degenerazioni, che fa delle masse una forza capace per virtù propria, all'infuori della guida del partito di classe, di risolvere tutti i problemi posti dalla rivoluzione proletaria.

Ciò premesso, e rimandiamo ad altri nostri documenti un esame più approfondito delle formulazioni teoriche che al vertice del partito e in nome del partito si allontanano dal metodo di analisi proprie del marxismo, o non vi sono mai pervenute, diciamo chiaramente il nostro punto di vista sul problema dei rapporti:

  1. tra partito e massa;
  2. tra partito e organismi di fabbrica;
  3. tra partito e agitazioni operaie;

problemi su cui ha fatto perno il Congresso di Firenze impegnando il partito a continuare il lavoro di fabbrica, ciò che la circolare dell'Esecutivo non soltanto ignora ma, quel che è peggio, toglie dai compiti immediati e permanenti del partito. Noi difendiamo le decisioni di Firenze per cui il partito è impegnato ad organizzare sul posto di lavoro i propri gruppi di fabbrica che a contatto permanente con le masse e coi loro interessi, operano, con le armi della critica rivoluzionaria, la differenziazione di classe, lo smascheramento dei partiti e degli organismi sindacali che abbindolano e imprigionano i lavoratori in funzione dell'imperialismo e della guerra per muoversi con le masse stesse nel fuoco delle loro agitazioni e rendere viva ed operante la propria critica.

Su questa linea il partito ha visto più di una volta il gruppo di fabbrica in azione con precisa presa di posizione politica, raccogliere ogni volta intorno a sé gli elementi più indipendenti e più sani degli operai. La nostra recente partecipazione alla lotta per la nomina della C.I. dell'OM ha dimostrato ancora una volta che questa, e soltanto questa, è la strada maestra aperta al partito, e che là dove esiste un gruppetto di compagni o un solo compagno che lavori e prenda posizione, riesce sempre, ad onta della rabbiosa ed odiosa reazione degli stalinisti, a procurare al partito una indiscussa affermazione politica.

Si è molto bizantineggiato negli organi dirigenti del partito, se e come partecipare alle agitazioni operaie, ma l'argomento che ora si avanza apertamente per negare ogni nostra partecipazione, puzza lontano un miglio di quel tale estremismo opportunista che mandava così sovente in bestia il comp. Lenin.

Si dice che partecipare a queste lotte dei lavoratori le quali sono dirette, come del resto sono sempre state dirette, dalle forze opportuniste controrivoluzionarie (il fatto di essere oggi definite anche imperialiste non aggiunge nulla alla loro natura e alla loro funzione), significa piegare il partito a respirare e a immettere nel sangue i microbi patogeni dell'opportunismo, della controrivoluzione e dell'imperialismo.

Ma allora perché tutta la politica sindacale condotta dalla sinistra italiana allorché aveva la direzione del Partito? Si è essa mossa su quelle direttive perché imposte da Mosca o perché realmente sentite?

E se si è trattalo di un cumulo di errori, chi di noi ha osato una revisione critica necessaria per creare la coscienza e la volontà di un indirizzo diametralmente opposto? Forse che gli opportunisti, i controrivoluzionari e gli imperialisti che allora dirigevano le organizzazioni sindacali erano meno opportunisti, meno controrivoluzionari e meno imperialisti di quelli di oggi? Non si è mai combattuto abbastanza contro questa attitudine di esasperato dilettantismo politico, a origine piccolo-borghese che può far presa sulla coscienza di qualche compagno meno sensibile all'insegnamento della passata esperienza.

Per noi rimane giusta e consona agli interessi della rivoluzione la posizione di chi afferma che l'abilitazione del partito ai suoi compiti fondamentali avverrà nella misura che saprà inserirsi nelle lotte delle masse lavoratrici perché soltanto là ove si cozzano gli interessi di classe esistono le condizioni obiettive per la formazione lenta e difficile di quella coscienza della distinzione e della frattura di classe da cui è nata e di cui si feconda la teoria rivoluzionaria del marxismo.

Al di fuori di questa linea propria del partito di classe è inevitabile il suo impantanamento nell'inerzia, nel cerebralismo, nel dottrinarismo, che sa spaccare il capello in quattro, col risultato di far scomparire il partito dalla scena politica e dalle lotte del proletariato; quello che, del resto, sta disgraziatamente avvenendo sotto lo specioso pretesto che il corso attuale degli avvenimenti non consente fare di più all'infuori del tirare i remi in barca e trasformare il partito in una stretta cerchia di lettori di carta stampata che hanno perduto l'abitudine di leggere nel libro della storia della rivoluzione del proletariato internazionale.

Poiché questa attitudine, che noi abbiamo continuamente combattuto, e riteniamo dannosa alla vita e allo sviluppo del partito, è in netto contrasto con lo spirito e le decisioni del Congresso di Firenze; poiché, anche se non ancora espresso come decisione, è in allo il tentativo di adeguare a una simile politica di rinuncia e di inerzia la stessa forma organizzativa sia territoriale che di fabbrica (cambiamento del nome del partito e del giornale perché si ha paura di chiamarsi comunisti) diciamo chiaro e forte che tutto ciò tende a modificare la natura, l'organizzazione e i compiti del partito per cui si pone senz'altro il problema del Congresso, la sola assise competente a decidere su questa svolta imposta al partito dall'alto. Ogni altra soluzione saprebbe di manovretta opportunistica, vedi l'idea della convocazione di una riunione allargata che lascerebbe le cose come stanno con un dispendio di danaro che la cassa del partito, stremata da una serie di fesserie politico-amministrative, non è in grado assolutamente di sopportare.

In definitiva, il persistere della tendenza al centro attuale del partito di impedire alla base il diritto di esprimersi attraverso un libero dibattito che deve culminare nell'atto risolutivo della convocazione del Congresso, spingerebbe i compagni, difensori dei deliberati di Firenze, ad assicurare il rispetto e la continuità di tali deliberati nello stesso ambito del partito con i mezzi e i metodi propri della tradizione rivoluzionaria che, nel Comitato d'Intesa, hanno avuto la migliore e più nitida manifestazione.

Nell'interesse della nostra organizzazione formuliamo la speranza, che vorremmo certezza, che il problema della chiarificazione interna e della messa a punto delle rispettive responsabilità, trovi nella sede del Congresso la sua naturale soluzione.