Lenin 80 anni dopo

Il 21 gennaio 1924, dopo una lunga malattia, moriva a Mosca Lenin, il padre della rivoluzione d'ottobre. Nell'ottantesimo anniversario della sua morte, la stampa borghese non ha perso l'occasione per sputare veleno contro gli ideali del comunismo e il tentato assalto al cielo del proletariato russo.

Nella sua opera più popolare, Stato e Rivoluzione, Lenin giustamente osservava che i grandi rivoluzionari durante la loro vita sono continuamente attaccati e repressi dalle classi dominanti, mentre dopo la loro morte, anche per sterilizzarne il pensiero, vengono trasformati in icone inoffensive, smussando tutti gli aspetti teorici incompatibili con la conservazione dello status quo. Anche Lenin, non è sfuggito a questa legge e la controrivoluzione stalinista mentre lo trasformava in un'inoffensiva mummia da santificare in ogni occasione, fucilava chiunque si fosse realmente richiamato ai suoi insegnamenti e ai principi del marxismo rivoluzionario.

Il crollo dell'impero sovietico ed il fallimento del capitalismo di stato, spacciato dallo stalinismo come la realizzazione in terra del comunismo, è stato, poi, sfruttato dalla propaganda borghese per dichiarare l'impossibilità di edificare una società autenticamente socialista e chiusa per sempre la fase storica della lotta tra le classi sociali. Come se la storia avesse percorso tutta la sua parabola e, sotto la spinta della globalizzazione del capitale, fossero state finalmente poste le condizioni per uno sviluppo continuo e non contraddittorio!

Ma la fine dello stalinismo ha implicato anche quella dei sacerdoti che gestivano la mummia e così Lenin, nel timore che possa riproporsi l'attualità della rivoluzione comunista, dalla santificazione è passato alla criminalizzazione. Per la borghesia i crimini dello stalinismo, i 20 milioni di morti nei gulag, trovano una loro premessa nell'opera di Lenin. Lo stato totalitario, la creazione della famigerata polizia politica, la soppressione fisica dello zar e della sua famiglia, l'abolizione di qualsiasi partito politico che non fosse quello bolscevico non sono forse stati atti compiuti quando ancora Lenin era in vita? Se Stalin ha potuto trionfare, se ha potuto costruire quel mostro che è stato il socialismo reale le maggiori responsabilità sono da ricercare nell'opera di Lenin. Stalin è quindi solo un fedele continuatore dell'opera avviata da Lenin. Con la misera fine dell'Urss è quindi fallita anche tutta l'esperienza del leninismo.

Questi attacchi della borghesia alla figura di Lenin non sono certo una novità assoluta, ma servono, ponendo sullo stesso piano Stalin e Lenin, per dimostrare che la rivoluzione russa non poteva che partorire quel mostro della storia che è stato lo stalinismo. Per la borghesia a fallire in Russia è stato l'ideale del comunismo, il progetto di abbattere con un'insurrezione proletaria il modo di produzione capitalistico.

Per ogni comunista, dunque, difendere Lenin dagli attacchi della borghesia è un dovere.

Difendere Lenin significa in primo luogo denunciare lo stalinismo in quanto copertura ideologica con la quale la borghesia ha attuato la sua controrivoluzione. Non esiste alcuna continuità ideologica tra il leninismo e lo stalinismo, i due termini sono l'espressione di un'antitesi. Se Lenin ha guidato il proletariato russo durante la rivoluzione del 1917, Stalin è stato l'uomo che meglio di ogni altro si è fatto interprete degli interessi del nascente capitalismo di stato in Russia. Tutta la visione della rivoluzione in Lenin è internazionalista mentre lo stalinismo nasce e si afferma su base nazionalistica. Per Lenin non è possibile realizzare socialismo in Russia senza che il proletariato europeo non faccia, in un arco di tempo più o meno breve, la propria rivoluzione. Senza rivoluzione in Europa (verso la Germania erano rivolte in maniera particolare le speranze), la rivoluzione d'ottobre era destinata al fallimento. Con Stalin al potere i termini della rivoluzione sono tragicamente capovolti. Il socialismo si può realizzare in Russia anche senza rivoluzione internazionale. Infatti, mentre a parole egli dice di sostenere la rivoluzione in altri paesi, nei fatti appoggia le forze politiche borghesi.

In Cina anziché sostenere il partito comunista Stalin, tramite il suo fido Borodin si schiera a fianco del Kuomintang, con la conseguenza che durante gli scioperi del 1927 sono massacrati centinaia di migliaia di operai e comunisti dagli stessi esponenti del Kuomintang. La rivoluzione russa sì trasforma quindi da primo momento della rivoluzione internazionale in controrivoluzione aperta, con la quale si realizza un'esperienza nuova nell'ambito del capitalismo: il capitalismo di stato. Tra Lenin e Stalin non esiste quindi alcuna continuità ideologica e teorica, ma la netta differenza tra chi ha fatto della lotta al capitalismo ha individuato la propria la ragione di vita e chi invece è vissuto in funzione della conquista del potere a ogni costo e del proletariato è stato un acerrimo nemico.

Ma cosa rimane di ancora attuale nel pensiero di Lenin ad ottanta anni dalla sua morte? E questa la domanda alla quale sono chiamati a dare una risposta anche le sparute avanguardie rivoluzionarie per evitare di trasformarlo nella classica icona inoffensiva. È sicuramente attuale l'idea che il proletariato sia l'unico soggetto storico che possa, per la sua specifica collocazione nei rapporti di produzione vigenti, fare e portare a compimento la rivoluzione comunista. Che ciò gli sarà possibile solo se per tempo per tempo si sarà dato il proprio strumento politico di classe: il partito, capace di tradurre sul piano politico ed organizzativo le istanze di rottura con il capitale provenienti dalla oggettiva inconciliabilità degli interessi delle masse proletarie con quelli della borghesia. Un partito che è espressione della classe ma che sappia nello stesso tempo irrorare nella classe il programma comunista. Ma soprattutto, come dicevamo, di Lenin resta ancor più attuale oggi che ai suoi tempi l'idea che la rivoluzione comunista o è internazionale o non è.

Lenin ha guidato la rivoluzione russa con l'idea che questa rappresentasse solo il primo momento della rivoluzione internazionale, sperando che nel volgere di qualche anno anche in altri paesi il proletariato riuscisse a fare ciò che si era fatto in Russia. L'idea di Lenin era quindi che un tentativo insurrezionale in un'area arretrata come la Russia potesse aver successo solo in un'ottica internazionalistica. Oggi non è neanche ipotizzabile progettare la rivoluzione comunista in un paese arretrato e rimanere in attesa che la stessa rivoluzione si allarghi al resto del mondo. Il moderno capitalismo, con tutti i rapporti esistenti tra le diverse sezioni della borghesia internazionale, può essere abbattuto solo se l'attacco proletario ha immediatamente un'impronta internazionale. Se in Russia la controrivoluzione ha impiegato qualche anno per sconfiggere il proletariato ed il suo partito, nell'era della mondializzazione se la rivoluzione non è immediatamente internazionale, qualsiasi tentativo rivoluzionario isolato sarebbe sopraffatto dalla reazione nel volgere di pochissimi giorni. È, dunque, nel solco dell'internazionalismo di Lenin che i comunisti s'impegnano per costruire il partito internazionale del proletariato.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.