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Home ›Il gigante americano soffre e scalcia
Gli Usa sono ferocemente all'attacco: dopo l'Afghanistan, lungi dall'essere pacificato, sono entrati in Irak dove i loro marines sono in crescenti difficoltà nel controllo del territorio e dove il caos trionfa. Contrariamente a quanto molti - non si sa se ingenui o mentitori deliberati - vorrebbero far credere, il superattivismo militare americano non è un segno di salute economica, ma al contrario il sintomo di una situazione grave.
Intanto il deficit commerciale: il saldo fra esportazioni e importazioni è negativamente in crescita. Dopo un record segnalato ad Aprile di 48,3 miliardi di dollari, è passato ai 55,8 miliardi di giugno, confermando quindi l'accelerazione di una tendenza già precedentemente manifestatati: nonostante la conclamata crescita della produttività, peraltro calcolata in maniera non propriamente corretta (v. "Ripresa con declino per l'economia Usa", Il Manifesto del 12/11/2003), e dunque l'ipoteticamente migliorata competitività delle merci americane, gli Usa continuano ad importare sempre più di quanto esportino.
Poi il debito complessivo, fatto del debito delle amministrazioni pubbliche più il debito delle imprese: da 1,75 dollari per ciascun dollaro di PIL negli anni 1970 è divenuto nel 2002 di 4,91 dollari per ciascun dollaro di PIL.
Ad oggi gli Stati Uniti si presentano con un debito pubblico del 60% del Pil, e con un deficit nei conti correnti pari al 4,7% del prodotto interno lordo. A questo proposito è in corso una buffa polemica fra gli economisti americani di scuola classica e di scuola neoliberista, a proposito del possibile impatto del debito sull'economia, in termini di rialzo dei tassi di interesse. Senza annoiare il lettore con i contenuti e il senso di quella polemica, ci limitiamo a far sommessamente notare che il debito - e il deficit conseguente per i servizi del debito - non hanno importanza fintanto che lo stesso debito viene finanziato dall'estero. L'hanno capito anche gli studenti, ormai, che gli Usa sopravvivono solo perché verso di essi si dirige un flusso enorme di capitali che vanno in larga parte a comprare i bond Usa. È questo aumento continuo del debito pubblico che consente anche di reggere il crescente disavanzo commerciale. Nessun altro stato al mondo può permettersi di stampare moneta largamente al di là di quella corrispondente al valore delle merci circolanti, fenomeno invece divenuto negli Stati Uniti la condizione stessa della sopravvivenza.
Ma quale è la condizione perché il drenaggio di capitali da parte degli Usa continui? Bisogna che continui l’incontrastata l'egemonia del dollaro sui mercati internazionali. E questa continua fintantoché, prima ancora delle merci, le materie prime e fra queste il petrolio innanzitutto, vengono scambiate in dollari.
Se il capitale americano sopravvive e la sua borghesia continua a prosperare e ad accumulare, il proletariato americano continua a impoverirsi.
Secondo gli stessi dati ufficiali 35,9 milioni americani vivevano sotto la soglia di povertà nel 2003: 1,3 milioni più del 2002 e più di 3 milioni in più rispetto al 2000. Non sono disponibili dati completi più recenti ma questi sono sufficienti a indicare una linea crescente.
Per i bambini e giovani sotto i 18 anni il tasso di povertà è ancora più drammatico; secondo il Census Bureau:
Il tasso di povertà (numero di poveri sul totale) è cresciuto fra il 2002 e il 2003 dal 16,7 al 17,6 per cento mentre il numero di poveri da 12,1 milioni a 12,9 milioni.
Osservando il grafico del census Bureau che riporta l'andamento del tasso di povertà e del numero assoluto di poveri, si constata come la curva discendente seguita al 1959 inizia a invertirsi proprio nel 1970-71, per arrivare, fra alti e bassi ai dati del 1999 a cui segue un brusco rialzo.
Ma questi sono dati ufficiali generali; scorporando le complesse tavole statistiche si scopre che un terzo degli americani (non il 12,5% dei dati "complessivi") sono classificati viventi in povertà - cioè sotto una soglia di alimentazione considerata sufficiente - per almeno 2 mesi all'anno. Gli altri 10 mesi mangiano abbastanza (??). È questo il dato che chiarisce il significato del termine "working poor" (lavoratore povero).
Oggi più di 28 milioni di persone, circa un quarto della forza lavoro fra i 18 e i 64 anni, "guadagna" meno di 9,04 dollari l'ora, che si traduce in un salario a tempo pieno di 18,800 dollari l'anno E questo è il reddito che segna il limite federale di povertà per una famiglia di 4 persone.
Businnes Week, 31 Maggio 2004
Per quanto riguarda la disoccupazione avvertiamo il lettore di non prendere in considerazione quanto riporta la stampa, che è poi quello che riferisce il Census Bureau federale: i dati sono del tutto insignificanti. L'ufficio statistico americano considera disoccupati solo quelli che fanno richiesta del sussidio di disoccupazione, ovvero sono in condizione di fare questa richiesta. E sono solo una frazione dei disoccupati reali.
Più significativi sono i dati di istituti privati come Challenger Gray and Christmas che nello studio relativo ad Agosto hanno registrato 74.150 cittadini che hanno perso il lavoro, il 6,6 per cento in più di quelli che lo avevano perso a luglio. Quando poi leggiamo che secondo il Presidente della FED, Greenspan:
se la produttività calasse un poco, potremmo avere più posti di lavoro...
siamo alla confessione da parte dell'establishment che lo sfruttamento della forza lavoro è altissimo. Di fatto, la produttività del lavoro, calcolata come volume di prodotto (ovviamente in dollari) per lavoratore, è negli Usa particolarmente alta - e invidiata dalla borghesia europea - perché l'orario di lavoro è esteso molto al di là dei pretesi standard. Quel che sta avvenendo anche in Europa, là è... avanzato: all'aumento del plusvalore relativo dovuto alla innovazione tecnologica si somma il plusvalore assoluto ottenuto dall'allungamento della giornata lavorativa.
Ma, come visto, anche il supersfruttamento dei lavoratori americani non basta a riportare i "fondamentali" nell'equilibrio che un capitalismo sano richiederebbe. Tutto si regge per ora negli Usa per virtù di due elementi fondamentali:
- la perdurante condizione di non reattività della classe operaia americana;
- la tenace difesa della rendita di cui gode il capitalismo americano.
A conservere il primo elemento pensa l'FBI e la polizia americana; a conservare il secondo deve pensare il Pentagono, con la determinazione a l'aggressività che tanti lutti stanno seminando nel mondo.
m. jrBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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