Imperialismo: dal bipolarismo al multipolarismo

È sempre più aspra la lotta per il controllo del mercato mondiale

Il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale si divideva in due grandi blocchi che avevano a capo gli Usa e l’Urss. I due poli imperialistici, nel periodo successivo che arriva fino alla fine degli anni ’80, si sono contesi ogni angolo della terra confrontandosi, spesso aspramente e con guerre indirette, su ogni aspetto della vita economica e politica. La corsa agli armamenti nucleari, avvenuta negli anni ’60 e ’70, è stata solo la punta più evidente del loro scontro titanico. La rovinosa caduta della vecchia Urss, sotto il peso della sua pesante crisi economica, ha sgretolato questo scenario dando mano libera agli Stati Uniti nell’azione per realizzare il loro dominio militare ed economico del mondo. Le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, sempre presenti ed ineliminabili, hanno però scavato nelle fondamenta del colosso economico a stelle e strisce e nel relativo breve periodo di un quindicennio gli hanno presentato il conto della sua supremazia fondata prevalentemente sul dominio finanziario e militare a discapito del mondo della produzione reale, quella che sola determina alla fine la produzione vera della ricchezza. Così, mentre gli Usa si sono preoccupati di estendere sul pianeta la loro influenza militare senza più avere tra i piedi lo scomodo concorrente sovietico, mentre hanno imposto il loro diritto di servaggio su tutto e tutti attraverso la loro moneta, così mentre hanno vissuto di rendita drenando dal mondo intero la ricchezza altrui prodotta per il solo fatto che ognuno aveva bisogno del dollaro per poter comprare e vendere qualsiasi cosa sul mercato internazionale, tutti gli altri paesi si sono messi laboriosamente all’opera per tentare di sopravvivere allo strapotere americano. Lo scenario che si è prodotto è davvero sorprendente e solo oggi sta prepotentemente mostrando il volto degli attori che lo hanno determinato. Alcuni recenti dati pubblicati dal Fmi sono eloquenti: nel 1989 Usa ed Europa contribuivano per circa il 40% ciascuno al prodotto mondiale lordo, ora invece il 27% è asiatico (di cui il 60% cinese e il 20% indiano), un altro 22% circa è nord americano, un altro 22% circa è europeo e il rimanente 16% proviene da tutti gli altri paesi tra cui la Russia che contribuisce da sola col 4%. Non si può non ammettere che si tratta di uno sconvolgimento totale del peso che tradizionalmente avevano le economie occidentali cioè la vecchia Europa e soprattutto gli Usa. Inoltre, il trend di aumento del peso asiatico e dei paesi emergenti (innanzi tutto Cina, India e Brasile), visto che nell’immediato non sono all’orizzonte bruschi cali della crescita (a meno di repentine svolte pur sempre possibili), è anche destinato a proseguire andando a scardinare nel medio periodo tutti gli attuali equilibri geopolitici e mandando in frantumi tutto il vecchio mondo basato sulla supremazia occidentale.

Le principali materie prime, innanzi tutto il petrolio e il gas, si trovano fuori dai confini europei e americani (gli Usa ormai estraggono solo il 30% del loro fabbisogno petrolifero in casa propria) e altrettanto dicasi per la forza lavoro meno costosa del mercato mondiale, una forza lavoro che spesso è anche qualificata e istruita. Ciò significa che alcuni dei fondamentali fattori della produzione capitalistica si trovano in aree periferiche che oggi, grazie all’enorme esportazione di capitale finanziario dei paesi avanzati e al loro decentramento produttivo, si stanno sviluppando enormemente uscendo dalla loro tradizionale arretratezza. Ciò implica un forte rimescolamento dei tradizionali flussi commerciali e finanziari dato che le potenze occidentali esportano, insieme ai loro capitali, anche conoscenze e tecnologia. Ad esempio la Cina, primo attore di questo cambiamento, ha negli ultimi dieci anni triplicato le sue esportazioni. Oggi, grazie al suo grande surplus commerciale, detiene 265 miliardi di dollari di titoli di stato americani e si trova al secondo posto nella graduatoria mondiale dei creditori subito dopo il Giappone (con 673 miliardi). Agli attuali tassi di sviluppo si prevede che in pochi anni la Cina uguaglierà il prodotto interno lordo statunitense e ciò, insieme ad altri fattori economici, avrà grandi ripercussioni sul piano politico. Accanto alla Cina, anche l’India e il Brasile avanzano seppure a ritmi decisamente inferiori. Anche l’area del Golfo Persico e la Russia, stanno avvantaggiandosi della forte domanda internazionale e degli attuali prezzi del petrolio e del gas, incamerando grossi flussi finanziari che stanno utilizzando per risolvere alcuni dei loro precedenti problemi di indebitamento. Così pure il Venezuela che, non casualmente, con la politica del presidente Chavez sta alzando la testa nei confronti del vecchio padrone americano.

Accanto alle aree periferiche caratterizzate da forte dinamicità, vi sono le tradizionali aree attardate nella competizione mondiale da tutto il peso delle contraddizioni della loro struttura economica. L’Europa, impegnata nel faticoso e non lineare tentativo di costituirsi come forza politica unitaria ed autonoma rispetto agli Usa, solo da pochi mesi sta uscendo da una perdurante fase di stagnazione con stentati tassi di crescita che per il 2006 forse non raggiungeranno il 2%. Gli Usa, pur avendo una crescita decisamente superiore a quella europea, drogata innanzi tutto dalle esorbitanti spese militari inerenti la campagna bellica irachena, sono attanagliati dai fardelli degli enormi deficit gemelli e da un processo di arretramento industriale evidenziato dalla quotidiana perdita di competitività sui mercati globali. Dunque mentre i vecchi giganti dell’economia sono afflitti da una malattia profonda che più volte abbiamo analizzato e che per brevità non possiamo qui descrivere, giovani, dinamiche ed energiche economie stanno velocemente crescendo di forza e stanno iniziando a rivendicare una diversa considerazione nei tradizionali luoghi dove si decidono le sorti della politica mondiale.

Oggi, dopo il periodo del bipolarismo e dopo quello del dominio incontrastato dell’imperialismo americano, si sta delineando uno scenario molto fluido in cui nuove aree, prime tra tutte quella europea, quella russa e quella asiatica, stanno tentando di attrezzarsi per un confronto imperialistico con gli Usa ad armi pari. Attorno a questi nuovi poli, molti altri paesi in crescita stanno aggiungendo ulteriore dinamicità al quadro internazionale. Si tratta solo dell’avvio di un processo che non si concluderà certo presto ma che prelude a un totale rimescolamento dei fronti imperialistici che dovranno lottare per il dominio del mondo. Sarà necessario seguirlo con grande attenzione.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.