Sfilate fasciste e resistenze antifasciste

Nel nome della democrazia borghese, sotto le cui ali protettrici il proletariato dovrebbe starsene buono e tranquillo nel rispetto dell’interesse generale del Paese, Milano ha visto recentemente una ufficiale sfilata fascista, quella della Fiamma tricolore regolarmente partecipe alla campagna elettorale e già presente nel parlamento europeo. L’ha preceduta - organizzata da chi avrebbe voluto impedire lo svolgimento di una “provocazione della reazione borghese” - un’altra manifestazione dove il solito gruppo di movimentisti e antagonisti ha esibito le proprie guerrigliere abilità: rompere le vetrine dei negozi, incendiare auto, motorini, cestini della spazzatura e lanciare bombe di carta riempite di chiodi. Non ne siamo certamente scandalizzati né qualcuno pensi di confondere la nostra nota come un atto di solidarietà o di allineamento con la protesta dei tanti borghesi e dei loro servi sciocchi e ipocriti. Non censuriamo alcuno, tantomeno la rabbia di molti a fronte del presente stato di cose. Alla larga, quindi, da chi condanna, come il Leoncavallo, ma anche da chi appoggia, come i Carc. Guarda caso, tutti presenti nelle elezioni a reggere il moccolo a Rifondazione e all’Unione; la “borghesia progressista” va pur sempre sostenuta, e i Carc intendono “inclinare a sinistra l’asse elettorale” dopo aver sostenuto Dario Fo, il “sincero democratico”, alle primarie milanesi del centro sinistra per la scelta del futuro sindaco.

Certamente qualcuno, nell’episodio milanese, si sarà mosso in buona fede, spinto da una disperazione più esistenziale che politica. Siamo con lui, picchiato e arrestato dalle forze dell’ordine, quello stesso ordine che poi ha garantito e protetto il lugubre corteo di neri vessilli, fasci, teschi e croci uncinate, svoltosi con un “civile comportamento” a base di saluti romani. Vi sono però altri soggetti che nella loro protesta hanno rivendicato l’uso esemplare del metodo forte, basato sull’attacco violento e dimostrativo, capace - si dice - di “muovere l’immaginario della città, per sostenere una memoria antifascista”. Un gioco di stimoli e di provocazioni dimostrative, e distruttive, che dovrebbero - in mancanza d’altro - scuotere l’opinione pubblica, ma che ottengono il risultato opposto seminando sconcerto e confusione fra quanti ancora subiscono l’addomesticamento della borghesia, al guinzaglio del capitale e delle ideologiche illusioni diffuse da destra e da sinistra. Nel mezzo, tra antifascisti e fascisti - poiché a questo si riduce il “combattimento” - fa da arbitro lo Stato coi suoi organi repressivi, manganellando (o peggio) i primi e tollerando i secondi.

Fra gli organizzatori e propagandisti degli atti esemplari, vi sono molti che guardano a noi snobbando le nostre “problematiche ottocentesche”, le nostre fatiche per una seria formazione dei quadri, la lotta al capitalismo (fascismo e antifascismo compresi) e non a questo o quello dei suoi momenti tattici e strategici interni; molti che rifuggono dalla fatica della milizia politica attiva portata avanti da chi, come noi, considera un problema centrale la costruzione del partito, e contro la quale da troppe parti si ergono montagne di apriorismi e particolarismi.

Ancora una volta, riaffermiamo che l’azione per l’azione, la violenza per la violenza, non porta alla consapevolezza del fine politico da perseguire, delle sue possibilità e dei suoi limiti. Contro queste azioni, di volta in volta riproposte al seguito di ideologie spontaneistiche e volontaristiche, occorre sostenere e radicalizzare tra i giovani in particolare la necessità del partito, la sua direzione centralizzata e organizzativa, i principi teorici, il programma, la strategia. Senza questo punto di riferimento stabile, capace di dare coscienza e volontà alla lotta di classe del proletariato (quella che la borghesia conduce all’attacco, per i suoi interessi) nella prospettiva della liberazione dalle catene del lavoro salariato e per la costruzione di una società a misura d’uomo e non più del profitto - senza questo non si fa altro che allontanare il proletariato dalla ricerca e dall’analisi critica delle fondamentali cause economiche della crisi e della possibile e unica soluzione. E sempre a proposito di violenza, prendiamo comunque e nettamente le distanza dalle tubanti colombe pacifiste che fingono di ignorare la realtà di una società, la loro società, che trasuda quotidiane violenze, fisiche e... spirituali; una violenza aperta o nascosta, che si manifesta nei rapporti tra gli uomini (e tra uomo, donna, bambini e anziani), tra le classi, tra gli Stati. Una violenza che viene messa in bella mostra da giornali, settimanali di cronaca e costume, televisione e cinema. Una violenza devastante, macroscopica, che costituisce il biglietto da visita dell’attuale ordine economico e sociale imposto dal capitale, nella sua fase ormai acuta di degradazione e di imbarbarimento. Accennavamo alla derisione con cui viene a volte accolto il nostro lavoro politico di denuncia e propaganda, assieme al nostro impegno di critica condotto sulle basi della teoria marxista, del metodo d’analisi materialistico, della tradizione comunista del movimento operaio. Compresa la denuncia di quella controrivoluzione stalinista, a cui qualcuno più o meno apertamente si richiama. Ebbene, nel generale disorientamento politico e ideologico, riaffermiamo con forza e decisione che è proprio sul terreno ideologico e politico - accompagnato dall’impiego della forza e della violenza, sì, ma di classe - che il capitale porta avanti e consolida il suo dominio e sfruttamento sul proletariato. Ed è su questo terreno e non attraverso le scorciatoie volontaristiche del “gesto esemplare”, percorse da questo o quel gruppo movimentista, che quel dominio e quello sfruttamento vanno affrontati, combattuti ed eliminati. Ne va del futuro della rivoluzione comunista.

davide

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.