Il discorso di Montezemolo alla Confindustria

Morto un governo se ne fa un altro

Già da tempo, ben prima della tornata elettorale, i cosiddetti poteri forti avevano scaricato Berlusconi e il suo governo. Sia il grande capitale finanziario che quello imprenditoriale degli Agnelli; da Benedetti a Tronchetti Provera e soci, hanno ritenuto che il governo di centro destra dovesse abbandonare il campo in nome di un interesse superiore che si chiama profitto. La stessa nomina di Montezemolo a capo della Confindustria, lo schierarsi del Corriere della Sera sul terreno politico dell’opposizione, sono stati segnali chiari e inequivocabili. Con il caimano sono rimasti soltanto i settori della piccola e media borghesia e il mondo dei commercianti. Perché? La risposta è molto semplice. Perché Berlusconi, una volta arrivato al potere, si è macchiato di due colpe. La prima veniale: occupazione privata di pubblica istituzione, la seconda, ben più grave, non ha saputo soddisfare, nemmeno in parte, le aspettative economiche del grande capitale. Ha fatto i suoi interessi d’imprenditore, ha sistemato tutte le sue pendenze giudiziarie costruendosi una cintura di sicurezza legislativa a colpi di maggioranza, ma ben poco ha fatto sul terreno di quelle riforme strutturali invocate a gran voce dal mondo economico in crisi.

Le conseguenze erano sotto gli occhi di tutti, anche dei meno attenti alle vicende economiche di casa nostra. In cinque anni d’amministrazione Berlusconi, il Pil non è mai cresciuto sopra l’1,5%. Nell’ultimo anno si è arrivati a toccare la crescita zero. Il deficit della finanza pubblica è passato dal 3,1% del Pil al 4,4 di fine legislatura. L’avanzo primario è passato da più 4,5 a meno 0.5%

Il debito pubblico è aumentato di oltre due punti e, soprattutto, la competitività dell’Azienda Italia è precipitata agli ultimi posti della classifica europea.

Ecco perché il grande capitale ha reagito, ha fatto le sue mosse e ha tifato per il centro sinistra che, anche se di misura, è arrivato all’agognato governo relegando Berlusconi al ruolo di oppositore. Ed ecco il primo discorso di Montezemolo alla Confindustria, in realtà al nuovo governo, che contiene le linee programmatiche sulle quali Prodi e compagni dovranno marciare. Le indicazioni sono state esplicite, al limite della banale evidenza. Il presidente della Confindustria ha auspicato una manovrina di 7/10 miliardi di euro per rifiatare, una finanziaria di 35/40 miliardi di euro per respirare, poi lacrime e sangue per i lavoratori. Al primo punto c’è il mantenimento di quel poco di buono che,dal suo punto di vista, ha fatto il governo precedente, cioè la legge Biagi, con i suoi contenuti di flessibilità e precarietà del mondo del lavoro. Una sorta di punto di partenza assolutamente irrinunciabile. Il lavoro è, e dovrà sempre più essere, al servizio del capitale solo ed esclusivamente quando è possibile sfruttarlo adeguatamente. Nel caso contrario i lavoratori dovranno accomodarsi fuori dei rapporti di produzione, automaticamente, per legge, senza alcuna speranza che non sia quella di trovare un posto di lavoro da qualche altra parte, nei tempi che il destino capitalistico vorrà concedere. Al secondo punto si recita il rosario della concertazione. Montezemolo non vuole rischi, sa benissimo quale ruolo fondamentale può giocare il sindacato nel far digerire i rospi ai lavoratori. Più i rospi da far ingoiare sono grossi e più c’è bisogno della concertazione tra le parti sociali, altrimenti è la piazza a decidere, con tutti i rischi del caso. Al terzo posto c’è la riduzione del cuneo fiscale del 10% in due anni. I vantaggi andrebbero per il 50% alle imprese e per il rimanenete ai lavoratori a contratto indeterminato, ovvero, in proiezione futura, a meno della metà dei dipendenti, poiché il resto dei lavoratori beneficerà sempre di più di lavori interinali, a progetto, a chiamata ecc.. Il quarto punto è quello che da solo è in grado di pesare la valenza politica di un governo borghese che deve mettere mano al problema dei problemi: l’aumento della produttività. Negli ultimi anni l’azienda Italia ha perso punti nei confronti di tutti i maggiori concorrenti a scala europea e internazionale. Per il capitalismo italiano è prioritario rimettere in moto, e al meglio, la macchina dello sfruttamento della forza lavoro. La ricetta è sempre la solita, si va verso l’obiettivo dell’ulteriore intensificazione dei ritmi di produzione e del contenimento dei salari reali. Il quinto punto, corollario del precedente, è l’esplicita richiesta di prolungare la giornata lavorativa a parità di salario. Tradotto in termini semplici, suonerebbe così: lavorare in pochi, lavorare di più a salari bloccati. Salvata la competitività, recuperati i necessari margini di profitto, tutto il resto può anche andare a rotoli. Questo è quanto il capitalismo italiano chiede in nome del rilancio della sua debole economia. Il governo Berlusconi non si è mosso per tempo in questa direzione, non ha messo mano alla riforme strutturali, non ha dato al capitalismo italiano ciò che esso gli chiedeva. Via il governo di centro destra per quello di centro sinistra che, nelle aspettative di Montezemolo, dovrà fare quel lavoro sporco che precedentemente non è stato fatto, con la speranza che lo faccia tenendo la piazza calma e tranquilla come ha dimostrato nella precedente legislatura che lo ha visto al governo.

Se queste sono le richieste, auguri, si fa per dire, alla cordata Prodi-Bertinotti, e che il proletariato italiano, che tutto questo dovrebbe subire, glieli faccia andare di traverso.

fd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.