La classe operaia va... al cimitero - 2a parte

Quattro lavoratori al giorno perdono la vita durante il lavoro

Ma a questo punto interviene un altro istituto borghese, il Censis, che ha iniziato a mettere un po’ il ditino nella piaga e ha reso noto che negli ultimi anni, soprattutto al sud, si è registrata che l’ irregolarità nel lavoro autonomo è passata dal 15.7% al 16.2%; mentre in quello dipendente, il lavoro totalmente irregolare è passato dal 26% al 28%; cresce, altresì, la quota dei lavoratori al limite della regolarità dal 21% al 22,5%, mentre i precari secondo l’Istat (questa volta) risultano più della metà del dato complessivo. Infatti questi enti statistici, forse rinchiusi nei loro magici laboratori con filtri e ampolline di vetro, dimenticano cosa è avvenuto al mercato del lavoro in questi anni: il 65% delle persone che hanno trovato lavoro nel 2005, lo hanno trovato a termine; inoltre la durata media dei contratti è scesa da 91 giorni nel 2004 a 80 nel 2005, spesso chi si fa male tende a non denunciare il fatto per timore di ritorsioni o ricatti del datore di lavoro. (3)

Ma andiamo avanti, secondo le statistiche citate, nel periodo 2002-2005, il 60% degli infortuni mortali, si è avuto in regioni del centro-nord. Ma nel sud, gli infortuni sia mortali che non, rispetto all’andamento generale sono in controtendenza, sono cioè in aumento. Ma il dato interessante è che un lavoratore su quattro, presta forza lavoro a nero e soprattutto in condizioni di precarietà assoluta (solo la Grecia sta peggio). Inoltre dal 2000, l’emigrazione dal sud è ripresa massicciamente, solo nel 2005, hanno lasciato la loro terra 57 mila giovani. Tutti diretti verso il nord-est, dove si registra come abbiamo visto la più alta incidenza di infortuni mortali. Di contro a fronte dei giovani proletari meridionali che partono per andare a fare i salariati al nord ci sono giovani proletari immigrati che vi arrivano per essere sfruttati, picchiati, mal pagati, ricattati, e persino ridotti in fin di vita se si ribellano. Un esempio, balzato alla cronaca di questi giorni, è il caso dei raccoglitori polacchi di pomooro nelle campagne del foggiano. Lavorano 15 ore al giorno sotto il sole cocente, sei euro per ogni cassa da due quintali raccolta. La maggior parte dei soldi guadagnati poi vengono trattenuti per il pagamento del fitto delle tende dove i lavoratori vivono. Insomma nulla di diverso da un lager. Ora sembra che lo stato voglia intervenire per arginare il fenomeno avendo a cuore la difesa degli interessi dei lavoratori, ma in realtà è solo perché esso ha raggiunto dimensioni tali da costituire una minaccia per la stessa esistenza dell società borghese; infatti nel 2006, il numero dei morti ha iniziato a crescere globalmente e non più solo localmente. Si parla, ma sempre con stime per difetto, del 3% in più rispetto al 2005. Mentre la Cgil chiede un generico atto di pietà per le imbarazzanti “morti bianche” (quando sono morte le due operaie di Salerno, la Fillea Cgil ha indetto due ore di sciopero generico nel comparto materassi ed arredamento, chissà forse per le ultime preghiere prima dell’estrema unzione), il ministro Damiano dichiara:

non intendo andare nel senso di una abrogazione della legge 30, occorre modificarla cancellando le forme di lavoro più precarie,

senza specificare nemmeno quali, visto che nella moltitudine dei contratti, si fa fatica ad individuare quello più vessatorio. Per il ministro il problema della sicurezza del lavoro poi si risolverebbe aumentando le ispezioni e il rigore pertanto, dato cl’ultimo indulto che ammorbidisce le pene dei responsabili di infortuni e malattie professionali, i padroni dormono tra due guanciali, anche perchè quello che “rischiano” sono tre anni per omicidio colposo, e se incensurati due anni con la condizionale. Nessuna sporca somma di denaro o galera, potrà mai restituire la vita a Giovanna, Bogdan, Annamaria, Giovanni. E non saranno certi i maggiori controlli o diverse leggi dello stato borghese a eliminare il fenomeno così intimamente connesso ai meccanismi di sfruttamento della forza-lavoro. In realtà, è una questione di lotta di classe, di interessi contrapposti di chi sfrutta e chi è sfruttato. Il padrone, soprattutto quando i margini di profitto sono ridotti a causa di meccanismi di assegnazione al ribasso degli appalti, come accade anche nell’assegnazione di appalti e subappalti delle cosidette grandi opere che esegue lo stato, intanto risluta competitivo in quanto riduce al minimo il costo del lavoro a cominciare dal contenimento dei costi per la sicurezza.

Al di là dei numeri, gli infortuni e i morti per lavoro, sono frutto dell’estrema precarizzazione e delle nefaste condizioni di lavoro a cui il capitalismo ha costretto la classe operaia. La polveriz-zazione delle attività, con la evidente suddivisione del lavoro, porta una contrattualizzazione della forza lavaro al ribasso e a condizioni di estrema precarietà e a cui i proletari non possono sottrarsi se non con la lotta. Per dirla con Marx:

L’operaio cerca di conservare la massa del suo salario lavorando di più, sia lavorando più ore, sia producendo di più nella stessa ora. Spinto dal bisogno egli rende ancora più gravi gli effetti malefici della divisione del lavoro. Il risultato è il seguente: più egli lavora, meno salario riceve, e ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si offre, perchè in ultima analisi, egli fa concorrenza a se stesso, a se stesso in quanto membro della classe operaia. (4)

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A.

(3) Ricerche dell’Università di Milano Bicocca.

(4) Marx, Lavoro salariato e capitale.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.