Pacifismo ad assetto variabile

Si ritirano dall’Iraq ma per finanziare l’intervento in Libano

Bisogna proprio saper padroneggiare l’arte dell’ipocrisia e del cinismo per insistere in formulazioni bizantine col precipuo scopo di giustificare la presenza di un contingente militare italiano in Afghanistan, alla luce, soprattutto, degli ultimi accadimenti che hanno provocato la morte dei due alpini.

È l’esercizio in cui sembra voler primeggiare la cosiddetta “ala radicale” del nuovo governo di centrosinistra che sta sempre più fornendo, in questo breve lasso di tempo, significativi esempi di continuità e di vera contiguità con la banda che l’ha preceduto.

Al concreto: tra non molto si porrà il problema di rifinanziare una missione alla quale il mitico “Programma” della coalizione governativa non dedica neanche una riga. Si possono già prevedere contorcimenti e riposizionamenti, rigorosamente tattici, da ascrivere alla migliore tradizione dei cosiddetti riformisti d’ordinanza. Ma l’assurdità, tutta apparente, delle posizioni assunte si evince oltre che dalle parole del ministro degli esteri il quale sostiene con molta chiarezza come l’impegno italiano, concentrato a Kabul e nella zona di Herat, sia finalizzato al pieno appoggio al governo “democratico” di Karzai con gli immancabili piani di ricostruzione e di pace. Ormai sappiamo, per consolidata tradizione, quali piacevolezze evochino questi due termini per cui ci prende, per riflesso condizionato, una sottile inquietudine. Definire “casuali” gli attentati di questi giorni è non solo irresponsabile ma anche provocatorio datosi che - e lo ha confermato il mullah Ynus Saheb in una intervista rilasciata durante la trasmissione televisiva “Anno Zero” - i soldati italiani in Afghanistan sono percepiti come occupanti e come tali combattuti.

E non bastasse questo, ci pensa il “Bild” a squarciare i residui veli di una malriposta certezza sugli esiti salvifici di questa missione. Scrive infatti il giornale tedesco:

Il governo di Karzai potrebbe perdere il controllo del Paese tra un anno se non verranno modificati gli attuali piani dell’ISAF (Nato).

Nel mentre un generale delle forze armate australiane reputa che la guerra al terrorismo (invadere un paese e combattere il terrorismo per questi signori è la stessa cosa) potrà essere vinta soltanto se la coalizione rimarrà in Afghanistan per i prossimi dieci anni. L’area è interessata ad un continuo rimescolamento e tutto ciò che sembrava consolidato viene messo in discussione e si ripropongono, dato il particolare contesto, conflitti irrisolti, interessi corposi, pulsioni ideologiche e politiche di varia natura nonché lotte, mai sopite, per sopravvivere, per svilupparsi, per accedere alle risorse energetiche.

La logica imperialista - è di questo che si tratta - muove i fili di questo scenario che vede la Nato, che per tre anni ha agito, per mezzo dell’ISAF, senza mandato ONU, riuscire a concentrare in un’unica guida sia la guerra americana contro i talebani, nota come “Enduring Freedom”, che l’assistenza europea al governo afgano, assistenza fortemente interessata in quanto consente ai paesi del vecchio continente di coadiuvare, sì, gli USA ma anche di controllarne l’operatività sul campo. Vale, come è ovvio, anche l’esatto contrario. L’equilibrio complessivo è reso più precario anche da tensioni tra le potenze locali e non ultima, né meno emblematica, quella tutta interna ai rapporti tra Kabul e il Pakistan a causa soprattutto delle azioni militari dei talebani soprattutto in quel territorio che corre lungo il confine tra i due paesi. È un dato di fatto che i talebani di etnia pashtun , grazie ad una certa omogeneità etnica e politico-religiosa di stampo prettamente fondamentalista, ambirebbero alla creazione di un Pashtunstan, quello vagheggiato quasi da sempre dai nazionalisti pashtun. È nel solco di questi avvenimenti che vanno a inserirsi le frizioni tra Karzai e Parvez Musharraf che si lanciano reciproche accuse sulla poca serietà e consequenzialità nella lotta ai talebani. Nulla toglie che tutto ciò possa essere letto come una specie di “captatio benevolentiae” nei confronti degli americani ma potrebbe, parimenti, venire inteso come un voler giocare su più tavoli alla luce, soprattutto, dell’interesse che va assumendo l’intera area a livello strategico. Non sfugge a nessuno infatti come i paesi vicini, segnatamente Iran, Russia, le repubbliche centroasia-tiche e la stessa India non gradiscano più di tanto la presenza USA e finanzino i movimenti armati afghani che stanno infliggendo notevoli perdite ad americani e inglesi. Insistere pertanto con la nauseante giaculatoria della guerra al terrorismo per giustificare questa presenza sta assumendo oramai contorni caricaturali laddove, più prosaicamente e tanto per rendere più chiaro il tutto, l’amministrazione Bush, volendo stabilizzare, a mò di pax americana, l’area che va dal golfo Persico all’oceano , deve necessariamente contenere l’influenza iraniana chiedendo, a tal uopo, la collaborazione di Nuova Dehli e Islamabad. Gli interessi tuttavia divergono, e di molto, solo se si pensa agli armamenti tecnologicamente avanzati che l’India fornisce ai militari iraniani ma soprattutto, dato il proprio ruolo di economia emergente, alle forniture di petrolio e gas che, paradossalmente, solo Tehran le può assicurare a causa del fatto che gli approvvigionamenti del Medio Oriente sono monopolizzati dagli USA, dalla UE e dal Giappone. Attualmente i rifornimenti energetici di provenienza iraniana arrivano all’India via mare ma si parla già dell’“oleodotto della pace”, lungo 2600 chilometri, da completare entro il 2010 e che, prevedendo delle diramazioni a favore del Pakistan, consentirebbe a quest’ultimo di intascare 700 milioni di dollari annui quali diritti di transito. Si potrebbe quindi assistere che a Latore, Karachi e Islamabad una lobby di petrolieri scalzerebbe quella attuale dei militari e dei servizi segreti (ISI) con effetti non secondari sui paesi limitrofi, Afghanistan compreso.

Considerato il contesto nei termini dovuti diventa quindi insipiente volerlo occultare adducendo come “nobile giustificazione” il fatto che l’Afghanistan non possa essere abbandonato in questa situazione tacendo, tuttavia, su chi questa situazione l’ha creata e per che cosa. L’unico dato preceduto da segno positivo, in Afghanistan , è la produzione di oppio e si è provveduto al ripristino del “Ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù”. Il governo afgano è guidato dal “democratico” Karzai. Almeno così lo ritiene il nostro ministro degli esteri. Quello della guerra “umanitaria” in Kosovo.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.