La crisi libanese tra guerra civile e tensioni imperialistiche

In Libano solo la lotta di classe può fermare la barbarie imperialista

Il primo livello della crisi libanese risiede nella grave emergenza economica. Dopo quindici anni di guerra civile la sua economia registra un debito estero pari a 41 miliardi di dollari, il Pil non si sposta dalla crescita zero, la disoccupazione è aumentata esponenzialmente.

A farne le spese, come sempre accade, sono gli strati più poveri della popolazione, gli sciiti innanzitutto, ma non solo. Il progetto di Hariri di far ridiventare il Libano la Svizzera del Medio oriente è fallito miseramente e ha riaperto il vecchio contenzioso per il potere politico, tra le fazioni borghesi musulmane e cristiano maronite.

I due schieramenti, sull’orlo della guerra civile, acuita dalla recente invasione israeliana, si presentano a ranghi compatti ma con alcune significative defezioni. Il fronte musulmano sciita degli Hezbollah e di Amal di Nabih Berri non può contare sull’appoggio del partito socialista progressista di Walid Jumblat e di una consistente parte dei sunniti, mentre i cristiano maroniti devono registrare la defezione dello storico generale Mischel Aoun.

Nulla di nuovo sul tragico scenario libanese, se non fosse per il rimescola-mento tattico dei vari tronconi della borghesia nazionale. Ad aggravare però la situazione c’è un quadro internazionale particolarmente drammatico e conflittuale che innesca il secondo livello dello scontro, più largo, dove le mini potenze della zona si scontrano con la forza della pressioni politiche e delle armi.

Il governo di Fuad Siniora si regge sull’appoggio politico e militare d’Israele. Il governo di Tel Aviv non ha mai nascosto l’intenzione di fare della terra dei cedri una sorta di protettorato militare, quale baluardo strategico ai suoi interessi d’area. La recente invasione ne ha palesemente scoperto gli obiettivi e, dopo il ritiro, Olmert non ha lesinato promesse d’aiuti finanziari e militari all’evanescente governo di Beirut.

Gli Hezbollah hanno impugnato la causa nazionalistica, hanno combattuto contro l’esercito israeliano, hanno accusato il governo Siniora di essersi piegato all’arroganza dello storico avversario, di aver abbandonato la causa palesti-nese e di aver svenduto gli interessi arabi al nemico sionista.

I primi si battono con ogni mezzo sul fronte interno per arrivare al potere in nome dell’autonomia e dell’ indipendenza nazionali con l’appoggio di Siria e Iran, il secondo fa quadrato attorno al potere respingendo gli attacchi politici e militari delle formazioni sciite contando sugli aiuti d’Israele e Usa.

Nell’attuale fase capitalistica mondiale, caratterizzata dalla crisi economica, dalla decadenza, dal parassitismo, dalla guerra permanente quale mortale strumento di perseguimento degli interessi delle grandi potenze, ogni episodio di guerra civile finisce per essere fagocitato all’interno dei meccanismi economici e politici della ricompo-sizione imperialistica internazionale. Questo da sempre, e a maggior ragione, se gli episodi in questione sono all’interno di aree economicamente e strategicamente importanti.

Così come il governo di Siniora riceve aiuti finanziari e militari da Israele, Arabia saudita e Usa, gli Hezbollah sono foraggiati negli stessi termini da Siria e Iran.

E siamo al terzo livello dello scontro.

Nel recente vertice di Parigi gli Usa, con l’appoggio degli alleati medio orientali, hanno stanziato oltre 7 miliardi di dollari a favore del governo libanese. Le intelligence americane e israeliane hanno promesso di addestrare i reparti speciali di Siniora, cosa che già avviene con le milizie di Al Fatah nella vicina striscia di Gaza. Nulla è lasciato al caso. L’intervento è a 360°, l’impegno è intenso e costante, pari all’importanza strategica della posta in palio. In termini speculari agisce sul versante opposto la Russia.

Il governo di Putin occupa militarmente tutti gli spazi disponibili. Dopo il forzato ritiro delle truppe di Damasco dal Libano, che presidiavano il paese dal 1982, la Russia ha installato una base militare nel porto di Tartus e ne sta allestendo un’altra nel retroterra siriano. Sul versante iraniano ha stipulato, nello scorso gennaio, un contratto di vendita di missili Tor M1 dalla gittata di 25 chilometri e la fornitura di sofisticate armi da teatro, tra cui 25 batterie di missili terra a ria. A sua volta il regime di Teheran rifornisce militarmente le milizie degli Hezbollah in chiave anti Siniora, anti israeliana e anti americana.

Fatte le debite differenze di luogo e di modalità degli interventi, l’operatività dei blocchi imperialistici si svolge nel settore centro asiatico, in Iraq, in Medio oriente producendo una scia di barbarie infinita. In gioco sono il controllo dei mercati petroliferi, i tracciati dei percorsi delle pipe line e la supremazia delle divise quale strumento di scambio commerciale.

In questo scenario la crisi libanese, al pari di quella palestinese, rappresenta solo una delle tessere di un tragico mosaico di morte e devastazione, che ha come sanguinari presupposti gli interessi di Mosca e di Washington, dei loro alleati - vassalli di Damasco, Teheran, e Tel Aviv.

Mentre l’imperialismo tesse la sua diabolica tela, il proletariato dell’area rimane ancorato alle aspettative nazionalistiche delle rispettive borghesie.

Il pendolo della lotta oscilla tra la padella del massacro fratricida della guerra civile: in Iraq tra sciiti e sunniti, in Palestina tra Hamas e Fatah, in Libano tra Hezbollah sciiti e la coalizione sunnita-maronita, e la brace degli interessi imperialistici, senza mai porre sul terreno i propri interessi di classe.

Mancando un punto di riferimento politico, senza un partito rivoluzionario che funga da catalizzatore di una lotta che sia al contempo anti imperialista e anticapitalista, il muoversi del proletariato finisce per ricadere all’interno delle prospettive nazional borghesi che, a loro volta, sono lo strumento degli interessi imperialistici internazionali.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.