Il summit del Caspio e altri rumori di guerra

Nuove manovre russe in chiave anti Usa in tutta l’area petrolifera caspica

A metà ottobre si è tenuto a Teheran un summit tra i paesi che si affacciano sul mar Caspio. L’incontro tra Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Iran e Azerbaigian è stato fortemente voluto da Putin. Sul tavolo delle trattative due punti:

  1. calcolare le rispettive quote di estrazione off shore delle riserve petrolifere del Caspio;
  2. stabilire il principio che nell’area non saranno accettate presenze militari esterne e, soprattutto che si utilizzino i suddetti paesi per l’installazioni di basi militari e per manifestazioni belliche di sorta (leggi Usa).

Per quanto riguarda le quote di produzione l’Iran ha proposto che, indipendentemente dallo sviluppo costiero e della relativa piattaforma marina, ci sia un uguale accesso allo sfruttamento dei giacimenti per tutti i paesi costieri. Gli altri hanno proposto una spartizione proporzionale a seconda della lunghezza delle rispettive coste che attribuirebbe all’Iran solo il 14%. L’accordo è vicino anche se non ancora sottoscritto.

Per ciò che concerne la questione Iran, (nucleare, sanzioni ed eventuale rappresaglia militare) i paesi che si affacciano sul Caspio hanno firmato un accordo in base al quale tutta l’area non si renderà disponibile ad ospitare mezzi militari americani per azioni di guerra o di disturbo ai danni del loro alleato.

Sembrerebbero normali manovre d’area per dirimere ordinarie questioni economiche e militari, in realtà la posta in palio è ben più consistente e il confronto molto più duro. Nell’attuale processo di ricomposizione imperialistica internazionale la zona caspica è diventata un teatro di scontro tra Russia e Usa con il terzo incomodo iraniano che, per il momento, si colloca a fianco del governo russo e degli alleati caspici.

La strategia di Putin è sin troppo evidente e apertamente dichiarata. Gli Usa devono abbandonare definitivamente qualsiasi ambizione sul secondo bacino petrolifero e gassifero del mondo. Non possono avere basi militari in zona, ogni azione politica e militare verrebbe concepita come una provocazione alla quale i paesi che si affacciano sul Caspio sarebbero tenuti a rispondere anche con l’uso della forza, se necessario. Lo scontro imperialistico tra Russia e Usa non si limita al controllo del gas e del petrolio caspico, al predominio nella gestione delle pipe line e dei flussi petroliferi verso l’Asia e l’Europa, lo scontro è anche di natura monetaria per la vendita dei prodotti energetici.

Nel primo caso, quello del controllo e della gestione delle risorse energetiche l’obiettivo, in via di avanzata realizzazione, è di negare ogni accesso alle Company americane che sino a qualche anno fa operavano in zona alla ricerca di concessioni petrolifere e di autorizzazioni per la progettazione di pipe line funzionali ai loro interessi egemonici nel campo energetico e al mantenimento del ruolo del dollaro quale unica divisa di scambio a livello mondiale. Gli accordi tra Russia e Cina con il Kazakistan per il petrolio, con il Turkmenistan per il gas, hanno di fatto tagliato fuori di Usa dal business energetico asiatico. Con il coinvolgi-mento dell’Azerbaigian nel Trattato del Caspio si priva significativamente l’economia americana dell’utilizzo del fortemente voluto oleodotto Btp (Baku - Tiblisi- Ceyan) che avrebbe dovuto convogliare il petrolio e il gas centro asiatico dall’Azerbaigian sino alle sponde meridionali della Turchia sotto il controllo delle Company anglo-americane.

Nel secondo caso, quello dello scontro tra il dollaro e le altre divise, per il predominio monetario sulla commercializ-zazione del gas e del petrolio, nonché di altre materie prime strategiche, da un paio di anni, si stanno determinando significativi mutamenti negli equilibri - squilibri monetari internazionali.

L’Iran in attesa di dare vita a una sua autonoma Borsa che quoti, non più in dollari, il suo petrolio (va ricordato che l’Iran è il terzo produttore di petrolio al mondo), già vende per il 65% in euro, per il 10 in Yen e solo per il 15% in dollari. Putin nel marzo del 2006 ha fatto votare dalla Duma una legge in base alla quale tutte le materie prime strategiche: petrolio, gas e oro (anche in questo caso va sottolineato che la Russia è il primo esportatore di energia al mondo) devono essere vendute in rubli.

Mentre l’Iran di Ahmadinejad penalizza il parassitismo degli Usa rifiutando il dollaro quale forma di pagamento a favore dell’euro, la Russia di Putin entra direttamente in contrasto con la divisa americana con lo scopo di sostituirla sul mercato delle materie prime energetiche, con tutte le conseguenze che una simile operazione comporta, non soltanto nel rapporto tra rublo e dollaro, ma nella prospettiva di una futura egemonia monetaria internazionale.

I due terreni di scontro imperialistico, quello del controllo e gestione delle risorse energetiche, e quello della supremazia delle divise sul mercato monetario internazionale, devono altresì avere alle spalle una forza militare che li renda operativi.

Putin ha risposto al progetto di scudo spaziale americano, che prevede l’installazione di missili nucleari nel cuore dell’Europa degli ex paesi satelliti della Unione sovietica, con un intenso progetto di riarmo nucleare. Vende missili e altre apparecchiature militari all’Iran e propone armi e tecnologia bellica a tutti i paesi del Caspio. Due estati fa ha organizzato con la Cina una serie di esercitazioni militari in centro Asia con l’evidente scopo di mostrare all’avversario americano che da quelle parti non era accettata la presenza degli eserciti di Washington. Con gli stessi paesi del Caspio, prima di questo summit, ha siglato un accordo-richiesta di smantellamento di tutte le base militari americane che, dopo l’11 settembre, il governo Bush aveva installato a salvaguardia dei suoi interessi petroliferi e strategici nell’area. Il presidente americano ha risposto con l’aggravamento delle sanzioni economiche nei confronti dell’Iran paventando addirittura un’azione militare per la prossima primavera. I rumori di guerra si fanno sempre più forti e minacciosi.

L’imperialismo, in qualsiasi veste si presenti, sotto qualsivoglia latitudine operi, spinto dalle sue insanabili contraddizioni, accelerato nel suo muoversi dalla spasmodica ricerca del profitto, sta preparando un altro macello mondiale. Siamo entrati nella fase storica delle guerre permanenti, delle devastazioni, della morte e della fame quali condizioni irrinunciabili alla quotidiana necessità di sopravvivenza del capitalismo. Ai fronti già aperti in Afghanistan e in Iraq si stanno aggiungendo quello iraniano, turco-curdo, le tensioni in America latina per non parlare di quelle in Pakistan e in tutta l’area asiatica. Solo al proletariato internazionale, se saprà riprendere la via della lotta di classe, spetta il compito di scongiurare il corso degli avvenimenti che rischiano di precipitare verso la guerra e la barbarie che sono, ahi noi, le uniche certezze che oggi il capitalismo è in grado di assicurare.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.