La crisi del settore del trasporto aereo

È internazionale il processo di concentrazione delle compagnie aeree

Già nello scorso numero di Battaglia Comunista abbiamo dedicato un articolo sullo stato fallimentare in cui versa la compagnia di bandiera italiana. Una crisi che parte da lontano e che la campagna elettorale è riuscita a trasformarla da dramma in commedia all’italiana. Ci sarebbe veramente da ridere se il fallimento dell’Alitalia non avesse delle pesantissime ricadute su migliaia di lavoratori che perderebbero dalla sera al mattino il proprio posto di lavoro, infoltendo in tal modo le schiere di disoccupati e lavoratori precari. Proprio in piena campagna elettorale il Cavaliere di Arcore ha tirato fuori l’ipotesi che l’Alitalia fosse acquisita da una cordata italica, comprendente alcuni imprenditori che ovviamente erano ignari del ruolo che dovevano ricoprire nella vicenda, e contestualmente è fallita la trattativa con Air France, una trattativa sponsorizzata dal governo Prodi e affidata direttamente ai sindacati, che nella vicenda si sono dimostrati i veri rappresentanti degli interessi della compagnia aerea. Un ruolo, quello dei sindacati, che potrebbe scandalizzare solo chi ancora crede nel recupero di tali organismi agli interessi dei lavoratori; in realtà la vicenda Alitalia dimostra ancora una volta che i sindacati sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nel processo di gestione delle imprese, assumendosi direttamente il compito di decidere addirittura sulla fusione/incorporazione dell’impresa, scavalcando di fatto la stessa dirigenza.

Finita la campagna elettorale con la vittoria della coalizione di centrodestra, in seguito al prestito ponte di trecento milioni di euro garantiti dallo stato italiano alla compagnia aerea e criticato dalla Commissione europea per violazione del principio di libera concorrenza, il futuro presidente del consiglio dei ministri Berlusconi ha minacciato Bruxelless di statalizzare l’Alitalia attraverso l’acquisizione della compagnia da parte delle ferrovie dello stato.

Al di la del folclore che c’è in ogni dichiarazione di Berlusconi la minaccia di statalizzare l’Alitalia, se la Commissione Europea dovesse bloccare il prestito ponte che garantisce la possibilità di operare per altri mesi in attesa di una definitiva risoluzione della crisi, è un’ipotesi che sta prendendo piede nella patria del libero mercato, gli Stati Uniti dove per risolvere la crisi del settore aereo americano da più parti si reclama un ruolo centrale dello stato.

La crisi che sta portano al fallimento l’Alitalia deve essere letta nel quadro più generale della crisi mondiale dell’intero settore del trasporto aereo, che ha proprio negli Stati Uniti uno dei punti più critici. Dopo trent’anni di deregulation reaganiana l’intero settore del trasporto aereo è letteralmente sommerso di debiti, tanto che i processi di concentrazione non sarebbero sufficienti a creare quelle economie di scala capaci di rilanciare i profitti. Secondo Robert Crandall, chief esecutive dell’American Airlines dal 1985 al 1998, la situazione del trasporto aereo statunitense non si risolve con politiche di breve periodo, atte a rilanciare la competitività delle compagnie nell’immediato, perché i ritardi accumulati rispetto agli operatori Low Cost. In un recente articolo apparso sul New York Times e riportato da Affari e Finanza dello scorso 28 aprile Crandall ha scritto che

Le nostre compagnie aeree, che una volta erano leader mondiali, sono ora il fanalino di coda da ogni prospettiva, l’età media dei velivoli, la qualità dei servizi, la reputazione all’estero. Sempre più raramente i voli arrivano puntuali. La congestione degli aeroporti è il bersaglio quotidiano dei comici televisivi. Una percentuale crescente di bagagli viene persa o finisce in terminal sbagliati, le proteste dei passeggeri sono alle stelle e gli standard dei servizi aerei sono diventati inaccettabili.

Il quadro che emerge nel paese più avanzato del mondo è davvero sconcertante e dimostra ancor di più il processo di decadenza che investe l’intero sistema capitalistico su scala mondiale. Infatti il quadro dipinto da Crandall non è tanto lontano da quello che possiamo osservare negli aeroporti italiani o europei in genere.

Le risposte che cercano di dare le diverse compagnie aeree alla loro crisi è quello di cercare di ridurre i costi attraverso processi di fusione. Proprio in queste ultime settimane sta prendendo corpo un programma di fusione tra la Delta e la Northwest. Tale fusione, se sarà approvata dalle autorità antitrust, darebbe vita alla più grande compagnia aerea mondiale per numero di passeggeri, mentre da un punto di vista patrimoniale l’operazione permetterebbe di mettere sul piatto della bilancia qualcosa come 31,1 miliardi di dollari, una cifra veramente imponente. Le spinte verso la concentrazioni dei capitali è determinata anche dalle perdite che le due compagnie hanno accumulato negli ultimi mesi, ammontanti complessivamente all’astronomica cifra di 10,5 miliardi di dollari.

Sono molti gli esperti nel settore che indicano come misura insufficiente per rilanciare la competitività delle imprese la concentrazione, assegnando allo stato, dopo trent’anni di liberalizzazioni, un ruolo centrale nella gestione dell’intero settore del trasporto aereo. In realtà dopo averci fatto credere, negli Stati Uniti come in Italia e nel resto del mondo, che con la liberalizzazione sarebbero migliorati i servizi e ridotti i costi del trasporto aereo, ora vogliono di nuovo turlupinarci con delle false promesse scaricando sui lavoratori e sulla collettività i costi della ristrutturazione dell’intero comparto.

Infatti sia le fusioni che il ritorno dell’intervento dello stato nella gestione del trasporto aereo mirano a scaricare sul mondo del lavoro i costi della crisi economica, comprimendo i salari, intensificando lo sfruttamento e precarizzando il rapporto di lavoro.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.