Un sogno impossibile: una nuova Bretton Woods e un altro New Deal

Il 14 e 15 novembre si terrà a Washington il G20, il vertice dei maggiori paesi industrializzati del mondo per decidere i provvedimenti da adottare per far fronte alla grave crisi che ha investito l’economia mondiale.

Benché le attese siano davvero tante e molti, a cominciare dal presidente francese Sarkozy per finire all’economista ex premio Nobel per l’economia J. Stiglitz, auspicano che ne possa scaturire un nuovo sistema di pagamenti internazionali, una sorta di Bretton Woods numero due, non crediamo di correre molti rischi prevedendo che il vertice si concluderà con qualche appello alla calma e qualche richiamo a comportamenti ispirati a maggior senso etico, insomma, come direbbero i romani: parturient montes, nascetur riduculus mus! (Partoriranno i monti e nascerà un ridicolo topo). Il fallimento del vertice in realtà è già tutto nella premessa che lo ispira che assume quale causa della crisi il cattivo funzionamento del sistema monetario internazionale e la mancanza di efficaci controlli sui mercati finanziari che avrebbe consentito ad operatori senza scrupoli assetati di facili guadagni di provocare il terremoto che sta sconvolgendo l’intera economia mondiale. Insomma: sarebbe una questione esclusivamente finanziaria.

E per dare credibilità a questa tesi, clamorosamente smentita dai dati che confermano invece che si tratta della peggiore crisi strutturale che ha conosciuto il sistema capitalistico in tutta la sua ormai non più breve storia, si finge di dimenticare che il sistema dei pagamenti internazionali disegnato a Bretton Woods nel 1944 è crollato nel 1972 a seguito della denuncia, da parte degli Usa, degli accordi allora sottoscritti che, fra l’altro, prevedevano la convertibilità del dollaro con l’oro e l’obbligo per gli Usa di accumulare riserve auree in misura di un oncia per ogni 34 dollari emessi dalla Fed. E che sono stati proprio gli Stati Uniti a imporre la deregulation dei mercati finanziari culminata nel 1999 con il definitivo smantellamento del Glass Steagal Act, la legge bancaria, emanata da Roosvelt nel 1933 che, separando le attività delle banche d’affari da quelle d’investimenti, limitava fortemente la produzione incontrollata di capitale fittizio e i margini di manovra della speculazione finanziaria.

Sia la denuncia degli accordi di Bretton Woods sia lo smantellamento del Glass Steagal Act non sono stati cioè il frutto di un capriccio ma il frutto di una precisa politica economica mirata a fronteggiare la crisi esplosa nella prima metà degli anni ’70 del secolo scorso causata dalla caduta del saggio medio del profitto industriale.

Con la liquidazione del sistema dei pagamenti internazionali basato sul dollaro convertibile e ancorato all’oro, gli Usa avrebbero potuto godere dello straordinario vantaggio di poter emettere una quantità di moneta e di titoli da essa derivati indipendentemente dal reale andamento della propria economia realizzando così un immensa rendita finanziaria grazie alla quale avrebbero potuto rastrellare plusvalore da ogni angolo della terra e finanziare a costo prossimo allo zero il loro gigantesco debito nonché i deficit crescenti della loro bilancia dei pagamenti. Insomma: un impero basato sul debito e sull’esercizio sistematico della violenza contro chiunque osasse, direttamente o indirettamente, chiedere il rimborso anche solo parziale di quel debito.

Una nuova Bretton Woods con moneta di riferimento ancora uno o più biglietti inconvertibili? C’è perfino chi auspica un rafforzamento del Fmi e della Banca mondiale cioè le due istituzioni che più di ogni altra hanno imposto l’attuale disordine finanziario che con i loro famigerati Piani di aggiustamento strutturali hanno causato la morte per fame di milioni e milioni di persone.

Un nuovo sistema di pagamenti internazionali non spunta come un fungo dalla sera alla mattina e senza aver sciolto i nodi irrisolti che hanno determinato il crollo del sistema precedente. Agli accordi di Bretton Woods si giunse solo dopo la seconda guerra mondiale cioè solo dopo che erano state poste le basi affinché un nuovo ciclo di accumulazione del capitale potesse ripartire sotto l’egida delle potenza vincitrice. Inoltre, la diversa struttura dell’odierna economia mondiale, le sue dimensioni, le innumerevoli interconnessioni fra le diverse realtà economiche, il suo prolungarsi nel tempo nonché il fatto che abbia come epicentro il cuore del centro di comando del ciclo di accumulazione del capitale su scala mondiale, rendono questa crisi del tutto diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta per cui i provvedimenti adottati sulla base delle esperienze passate alla fine si trasformano in effimeri pannicelli caldi che non solo non incidono sulle cause della crisi stessa, ma, dilazionandone gli effetti nel tempo e nello spazio, contribuiscono ad alimentare ancor più proprio quella speculazione finanziaria che si dice di voler contrastare. È accaduto lo scorso anno quando a seguito della forte immissione di liquidità nel sistema finanziario internazionale i prezzi del petrolio e di tutte le materie prime raggiunsero livelli stratosferici e sta accadendo di nuovo ora. Che fine sta facendo l’ulteriore liquidità che dallo scorso settembre le maggiori banche centrali stanno iniettando nel sistema per evitare il blocco del credito interbancario e del sistema di finanziamento alle imprese? Quella ( la liquidità) denominata in euro

È finita -- ci informa E. Scalfari su La repubblica del 9/11/2008 -- nelle casse della Bce... Era stata data nella speranza che il credito interbancario, cioè quello che le banche si prestano reciprocamente, riprendesse a scorrere fluentemente. Invece le banche hanno ridepositato la liquidità presso la Banca centrale. Ci lucrano la differenza ma intanto tagliano i crediti ai clienti. Le cifre sono queste: il 10 settembre i depositi delle banche alla Bce di Francoforte ammontavano a 48 milioni di euro; al 31 ottobre ammontano a 280 milioni. È evidente che il meccanismo si è inceppato, ma nessuno è ancora corso ai ripari.

E la stessa cosa sta accadendo negli Usa: le banche stanno ripianando le loro perdite e ricostituendo i loro margini di profitto a scapito della collettività! Si invoca un nuovo sistema di pagamenti internazionali e un altro New Deal per rilanciare la cosiddetta economia reale, ma in realtà ciò che realmente interessa è preservare il meccanismo di appropriazione parassitaria di plusvalore scaricandone i costi sempre più elevati sul già privatissimo proletariato mondiale. L’idea di dar vita a una seconda Bretton Woods e un altro New Deal in realtà nasconde la precisa volontà di perpetuare l’attuale stato delle cose, poco importa se tutto ciò condurrà alla catastrofe. Il capitale non ha altri scopi se non il raggiungimento del massimo profitto con ogni mezzo.

Un nuovo New Deal? Forse per rilanciare il sistema finanziario non certo per alleviare il disagio economico e sociale in cui la crisi sta scaraventando fasce sempre più ampie della popolazione dell’intero pianeta. Come è pensabile nell’attuale contesto economico che un altro New Deal possa aver successo? Forse in Cina, in parte in Europa, ma certamente non in tutti quei paesi già oberati da uno stratosferico debito pubblico e certamente non negli Usa che nel debito stanno già affogando. Ma soprattutto perché il settore manifatturiero, che è l’unico che in linea teorica potrebbe generare nuova occupazione e una consistente crescita dei salari, nel corso del tempo si è molto assottigliato tanto da costituire ormai solo una parte irrilevante del Pil. Nell’80 esso costituiva il 21 per cento del Pil e nel 2005 soltanto il 12. In questo stesso periodo però quello dei servizi è passato dal 15 al 21 per cento. Come si fa a rilanciare l’occupazione in fabbriche che non esistono e con settori, quello dei servizi finanziari ormai preponderante, in coma vegetativo irreversibile? E si sa: quando gli Usa piangono sono dolori per tutti.

Insomma, in un modo o nell’altro, in assenza di una poderosa ripresa della lotta di classe, il proletariato mondiale pagherà per questa crisi prezzi forse oggi neppure immaginabili.

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.