Movimento, classe e partito

Scomparse le classi - questa è la scoperta di certa moderna sociologia, di moda soprattutto fino a poco tempo fa nei salotti bor­ghesi ed oggi, in verità, un po' meno ostentata - sarebbero ad esse subentrati degli "aggregati di persone", accomunati da interessi mutevoli nel tempo e nello spazio e quindi da considerarsi come "insiemi" anch'essi variabili. Quando e se questi insiemi di persone arrivano a muoversi nella società in modo conflittuale, lo farebbero soltanto per ricercare il soddisfacimento di qual­che loro bisogno o la soluzione di qualche loro problema. Cosa che potrebbe avere una possi­bilità di appagamento soltanto attraverso suc­cessive mediazioni con i gruppi di potere. Que­sta in definitiva sarebbe la "questione sociale" del XX secolo, il secolo del trionfo globale del capitalismo, anche se questa sua apoteosi si presenta ormai come una bancarotta universale, naturalmente pagata a caro prezzo dalla classe operaia!

Il conflitto principale della società - secondo una concezione trasversale a tutti i partiti e le ideolo­gie oggi dominanti - non sarebbe più quello che ha caratterizzato l'Ottocento e buona parte del Novecento, vale a dire la lotta tra borghesia e proletariato (quest'ultimo oggi in... "auto-disso­luzione"). Non esisterebbe più la contrapposizione antagonistica tra classi carat­terizzate da interessi obiettivamente e perma­nentemente inconciliabili. Al suo posto sarebbe­ro invece subentrate delle "dispute" fra insiemi di singoli individui che, portati ad assumere ruoli sempre più differenti per la complessità e la dinamica della società moderna, post-industria­le, si aggregherebbero e si organizzerebbero in modo solo temporaneo dando luogo al manife­starsi di conflitti particolari. In definitiva, gli interessi degli uni e degli altri risulterebbero conciliabili nell'ambito del sistema sociale ed economico vigente, tutt'al più e adeguatamente sottoposto ad alcune correzioni. Eccoci alla lotta - quanto più "democratica" possibile, s'intende -dei "movimenti", finalizzata a continue trasfor­mazioni (miglioramenti, per i sociologi progressisti) del sistema... naturale oggi impe­rante, il capitalismo, teorizzato come "perma­nente" nei secoli e per i secoli.

Viene perciò messa in soffitta la lotta per il possesso-dominio dei mezzi di produzione (lo­gicamente, da parte di chi già li possiede!) e quindi per la trasformazione del dominante modo di produzione e distribuzione; si ammette sem­mai una "battaglia" per l'influenza e il cambia­mento dell'azione decisionale, esercitata dai gruppi egemoni ai quali compete la direzione politica del sistema. In sostanza, l'obiettivo sa­rebbe quello di amministrare al meglio il capita­lismo. Una funzione che - si dice - oggi più che mai risulterebbe favorita dall'enorme sviluppo scientifico, il quale fra l'altro avrebbe contribuito anche a determinare nella società uno spostamento e una dispersione dei centri decisionali, rendendo quindi più democratica la pur neces­saria egemonia (in realtà saldamente centraliz­zata dal capitale!).

I ruoli e le funzioni degli individui - nella concezione dei fautori del "movimentismo" che sono poi i principali teorizzatori-interpreti del tutto - diventerebbero continuamente intercambiabili durante l'esistenza di ciascuno: oggi operaio (o precario o disoccupato), do­mani operaio qualificato, dopodomani lavora­tore part-time, poi ecologista, poi pacifista, poi cittadino alle prese con la burocrazia, eccetera. Di volta in volta questo individuo verrebbe a trovarsi accomunato ad altri individui mediante la specificità dei problemi che un dato ruolo, occupato in quel momento nella società, deter­minerebbe. Il desiderio del soddisfacimento di un bisogno si oggettivizza mediante una mani­festazione del conflitto, in opposizione a chi questo bisogno lo nega, nella forma del movi­mento di lotta a sé stante e non sotto quella di un obiettivo di classe antagonista e contrapposto a quello della classe dominante. Le condizioni di sfruttati e sfruttatori si dissolvono poi nel comune ruolo di "cittadini", al massimo separati da ingiusti privilegi che dunque andrebbero me­glio regolati.

È indubbio che questi concetti, fatti propri e strombazzati anche dai mass-media, hanno influenzato ampi settori della società, contri­buendo a disorientare ed a confondere le fila del proletariato stesso. Ovunque si fantastica sulla scomparsa delle ideologie (innanzitutto del marxismo), sul rifiuto dell'organizzazione politica in quanto tale (il partito rivoluzionario) e della lotta di classe, aggrappandosi al pragmatismo e all'immediatismo come unici principi universali e applicabili. Ma l'artificiosità di queste costruzioni di pensiero è dimostrabile proprio da quello sviluppo del capitalismo, che negli ultimi decenni ha accentuato anziché atte­nuare la divisione della società in classi e ha approfondito il solco che divide una minoran­za, la borghesia, da un stragrande maggioran­za di proletari sempre più in difficoltà ad avere "garantiti" i mezzi di sussistenza indispensabili. Tant'è che non potendo negare l'esistenza di profondi conflitti nella società, la sociologia borghese non ha potuto far altro che cercare di teorizzare la possibilità di una loro conciliazio­ne nell'ambito del sistema capitalistico, sosti­tuendo la lotta democratica dei movimenti alla lotta rivoluzionaria di classe.

I movimenti certamente esistono ed esprimono il profondo disagio che pervade tutti i settori della società, compresi quelli del cosiddetto ceto medio e della piccola borghesia. Persino della bor­ghesia stessa, alle prese da decenni con una crisi strisciante senza vie d'uscita, e che vede formarsi al proprio interno fazioni litigiose e spinte all'uso dei mezzi più estremi per accaparrarsi quote maggiori di plusvalore, all'inter­no dei propri confini nazionali e in campo internazionale.

La composizione di questi movimenti è sicura­mente molto variegata; essa comprende gli indi­vidui delle diverse componenti sociali che avver­tono le gravi condizioni a cui va incontro la loro esistenza. Ma i movimenti, tra le cui fila il proletariato è ben presente, manifestano non tanto la nuova forma storica di espressione del conflitto sociale, quanto il ritardo dell'affermarsi nel proletariato della coscienza di classe e l'ingabbiamento di quest'ultimo dietro le ban­diere ideologiche e politiche della borghesia. Ebbene, i sussulti sempre più devastanti della crisi economica in corso possono spingendo il proletariato alla ricerca della sua identità di classe e quando ciò avverrà le attuali teorie dei movimenti si potranno dissolvere dimostrando fino in fondo ciò che esse sono: volgare apologia del sistema capitalistico e conservazione della società divisa in classi antagoniste, sfruttatori e sfruttati, dagli interessi inconciliabili.

Quello che sta oggi di fronte a molti gruppi e singoli proletari, è un difficile percorso che può condurre ad una presa di coscienza veramente e concretamente rivoluzionaria solo nella misu­ra in cui il necessario sforzo teorico e politico si indirizzi e si concluda verso il definitivo superamento dei tanti ostacoli, fra cui anche quelli ideologici, che li circondano e li tengono prigionieri. Un corso controrivoluzionario, du­rato lunghi e tragici decenni, ha precipitato anche le forze migliori del proletariato in un abisso dalle cui oscure profondità non si risale senza un duro "lavoro" di critica teorica e di chiarificazione politica che prepari la classe alla lotta e non più alla passiva attesa di una correzione di quei bestiali istinti che il capitale scatena nella società borghese, trascinandola verso la barbarie.

Sono destinate al fallimento, e peggio ancora ad aggravare lo sfacelo ideologico e politico in cui annaspa gran parte della intera classe ope­raia, quelle scorciatoie basate sulla rincorsa di esperienze fallimentari sostenute dall'illusione di poter risolvere, in un clima di pace sociale e collaborazione nazionale, í problemi nodali che da tempo ci stanno di fronte. Tutto questo a prescindere o in falsa alternativa ad una seria e approfondita analisi critica. È evidente che l'assenza o la perdita dei principi fondamentali del marxismo, in quanto scienza della rivoluzio­ne proletaria, non genera di per sé ed automa­ticamente nei lavoratori il bisogno di una loro ricerca e riappropriazione. L'opera distruttiva del lungo corso controrivoluzionario, che ha avuto nello stalinismo il suo massimo rappresen­tante ideologico e politico, è alla base dei comportamenti spesso ancora incoerenti e con­traddittori che caratterizzano le stesse frange più avanzate del proletariato. Frange che si consumano a volte in quella stessa pratica alla quale essi affidano le loro speranze.

Sarebbe profondamente sbagliato credere che i fallimenti, le frustrazioni e il dissanguamento che volta a volta colpiscono i gruppi coinvolti in queste avventure, siano sufficienti a riportare quegli stessi proletari verso la necessità di darsi un preciso orientamento politico e organizzativo. Soltanto la presenza di un chiaro punto di riferimento, necessariamente ancora minoritario come organizzazione politica dei rivoluzionari ma in possesso di una salda piattaforma teorico-politica e di un chiaro programma strategico, può far fronte a questo difficile fase storica.

Uno dei punti cruciali, l'ostacolo contro il quale e in molti casi s'infrangono tentativi e percorsi, è costituito dall'incomprensione del ruolo fonda­mentale che il partito - che alcuni pur pretende­rebbero di costruire - deve svolgere per intro­durre una precisa coscienza di classe nel prole­tariato stesso, per guidarlo alla trasformazione sociale dei rapporti di produzione capitalistici. In questo la classe non ha un potere di parto spontaneo della propria teoria rivoluzionaria e c i autodeterminazione politica, come una diffu­sa "mentalità" piccolo-borghese sostiene gene­rando effetti pratici controrivoluzionari.

Sarebbe una idealistica prospettiva l'aspettarsi che la classe generi dal suo corpo sociale, quale entità metafisica, la coscienza e il programma della propria emancipazione. Ciò che la classe poteva maturare in esperienze tragicamente vissute nel suo costante scontro di interessi con la borghesia, la classe lo ha dato in particolar modo nei momenti più cruciali della propria esistenza. Sta ai rivoluzionari trarre le lezioni storiche da quanto fin qui accaduto e forgiare ciò che appunto l'esperienza di classe richiede: il Partito internazionale del proletariato, capace di attestarsi saldamente quale polo di riferimen­to in lotta aperta contro l'ideologia e il potere politico e statale borghese.

Il bagaglio indispensabile con il quale il partito avanza nel suo cammino organizzativo e si sforza di rendere concreta la propria attività politica, è costituito da un corpo di tesi, da un programma che definisce teoricamente la pro­pria strategia rivoluzionaria. Senza questo pro­gramma non si costruisce alcunché e si annaspa nel vuoto. Naturalmente non si tratta di scatole chiuse, il cui contenuto non sia verificabile sugli accadimenti reali della vita della classe, non solo, ma anche dello sviluppo stesso e ormai degenerativo del capitalismo e delle involuzioni che sta subendo la società borghese. Non è neppure sufficiente la sola esistenza di questo bagaglio, se tenuto semplicemente in un arma­dio; è necessario che le forze sane della classe si convoglino verso di esso per una concreta rea­lizzazione della strategia contenuta nel pro­gramma rivoluzionario. Diventa quindi quasi superfluo aggiungere che il partito comunista è tale quando si dimostra capace di articolare il proprio ruolo di direzione politica a fronte dei reali problemi della lotta politica. Il partito inteso quindi non come un gabinetto di studio in pas­siva e messianica attesa dello svolgersi cinema­tografico della storia.

Sta di fatto però che l'esistenza del programma, fondato su una teoria e una critica rivoluzionaria, costituisce la premessa politico-organizzativa indispensabile per la costruzione di un partito fortemente radicato nelle masse operaie e capa­ce di interpretarne le spinte anticapitaliste, nel­l'ambito di un concreto movimento teso al superamento del presente stato di cose. Quindi, l'orientamento e l'aggregazione delle avan­guardie operaie è possibile soltanto in presenza di un chiaro programma politico e una precisa impostazione di metodo.

Detto questo, non sarebbe del pari esatto far derivare da quanto detto una concezione della stessa formazione del partito come una semplice crescita attorno ad un corpo di tesi e ad una piattaforma politica, secondo un processo line­are che si dovrebbe svolgere attraverso la sola propaganda e agitazione. La storia del passato non ci fornisce esempi di placidi corsi lungo i quali si sia affermata una organizzazione di classe. Al contrario si sono verificate lunghe battaglie politiche, scontri e riavvicinamenti dove alla fine ha avuto ragione solo la solidità della linea politica, la sicurezza sui principi cardini della dottrina politica marxista. È vero solo ciò che la storia della lotta di classe dimostra vero. La prassi è l'unica verifica definitiva della teoria, fermo restando il costante riferimento alla classe e alla lotta di classe.

Una prima conclusione è quella che assegna come significato concreto dell'essere partito il possesso di una piattaforma e programma ade­guati al compito storico rivoluzionario; della capacità, implicita nel programma, di svolgere il ruolo di guida che la storia della lotta fra proletariato e borghesia assegna al partito stes­so, e cioè di preparare gli strumenti politici e organizzativi necessari a tale compito.

Nella lunga storia ed esperienza che hanno accompagnato l'esistenza della Sinistra italia­na, prima, e del Partito comunista internaziona­lista, poi, quei postulati sopra espressi non sono mai venuti meno: l'ampia documentazione testi­monia l'esistenza di una solida piattaforma teorica, in grado di resistere alle terribili ondate controrivoluzionarie abbattutesi in quasi un se­colo contro la classe operaia; capace di mante­nere quella solidità di linea e di "sicurezza marxista" che devono essere irrinunciabile pa­trimonio di chi vuoi fare politica rivoluziona­ria e che consentono un'utile messa in discussio­ne di sé e del proprio ruolo di fronte alla classe. A questa "discussione" (oltre che al confronto serrato, non alla polemica spicciola, e all'even­tuale chiarimento delle rispettive posizioni) non ci siamo mai sottratti. Anzi, l'abbiamo sempre ricercata con il solo condizionamento della massima serietà e coerenza.

Non abbiamo mai preteso di fare prediche a chicchessia, ma fornire elementi di analisi e di critica validi a un giudizio più propriamente politico. Accusati, per questo, di ...settarismo, siamo stati opportunisticamente ignorati o re­spinti da quanti si muovono su piattaforme spes­so incomplete o addirittura non espresse e ri­mandare al... domani. Una ennesima dimostra­zione fin troppo evidente della confusione, dei

ritardi e della incapacità con le quali viene affrontata in realtà questo grave e fondamentale problema.

Siamo di fronte in molti casi ad una inadegua­tezza nel trattare i problemi teorici e politici del movimento comunista, che si traduce nella pra­tica opportunista, e del tutto insensata, di lancia­re sciocchi anatemi di "settarismo" per coprire la propria mancanza o scarsa conoscenza delle origini e dei metodi di tante diverse posizioni, a volte fra loro antitetiche, che hanno prodotto e producono in continuazione confusione e di­spersione. Una situazione dalla quale non si esce certamente con compromessi ma soltanto con un approfondito chiarimento sulle premesse teoriche della prassi politica. Lo esigono due ragioni essenziali:

  1. per sfuggire ad una qual­siasi lotta di fazioni e lavorare invece seriamen­te nel confronto con le forze politiche, i rivoluzio­nari devono sempre fare riferimento al quadro dei principi e del metodo di classe costantemen­te verificato nel concreto della vita economica e sociale;
  2. in quel terreno si attua la chiarifica­zione essenziale fra gruppi, e sulla cui base soltanto è possibile la effettiva ripresa del partito di classe.

Il Partito comunista internazionalista è sorto (1943) come momento conclusivo e di sintesi di un processo di elaborazione e di difesa del marxismo portato avanti nel corso del processo controrivoluzionario che, avviatosi nei primi anni Venti, era sfociato nella Seconda Guerra imperialista. Nella sola Italia si concretizzò il patrimonio di teoria e di azione rivoluzionaria difeso tenacemente dalla Sinistra comunista ita­liana, costretta anche all'estero per tutti gli anni Venti e Trenta. In quanto programma centrale e nucleo organizzativo in grado di farlo vivere in rapporto con le esperienze della classe, il partito era nato e ha saputo mantenere fino ad oggi (nel senso esatto di continuamente verificarla alla luce degli accadimenti di classe) la piattaforma e l'indispensabile seppure minimo apparato operativo di quella organizzazione politica che chiamiamo a giusto titolo "partito".

È attorno a questo nucleo centrale teorico e politico, attorno alle sue tesi e al suo ruolo storico, che vanno concentrati e rafforzati tutte le nostre volontà per costruire il tessuto organizzativo valido ad inserirsi nel movimento della classe contro le barriere che il capitale ha eretto in difesa della sua sopravvivenza. Contemporane­amente, e in dialettico rapporto, occorre contri­buire attivamente alla costruzione dell'organi­smo politico della classe proletaria nel suo fon­damentale esistere sopranazionale: il partito internazionale del proletariato.

Davide Casartelli

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.