Un libro sulle origini del nostro partito

L'uscita del libro di D.Erba, “Il Partito Comunista Internazionalista, nascita e morte di un partito rivoluzionario” ci ha fatto uno strano effetto: “A leggere il titolo del libro mi sono sentito come uno zombie in un film di Romero!” ha esclamato qualcuno; effettivamente la sensazione spiacevole di sentirsi dare del “cadavere” - per chi, come molti giovani compagni, ha avuto la forza e il coraggio di raccogliere e fare propria la bandiera del PCInt - è il difetto più evidente di un libro nel complesso interessante.

Innanzi tutto è piacevole il tono ed il linguaggio della narrazione, la quale non da mai nulla per scontato e si rivolge anche ad un pubblico non composto da “vecchie scarpe” (a differenza del libro sulla storia del PCInt di Saggioro, uscito nel luglio 2010, che oltre ad offrire una lettura dei fatti di parte smaccatamente bordighista, si rivolge ad un pubblico di “addetti ai lavori”).

Nella trattazione sull'origine del PCInt è assente il riferimento al “Comitato d'Intesa” del 1925 - primo campanello d'allarme contro la degenerazione nazionalcomunista del PCd'I e dell'internazionale - , il racconto parte invece dalla nascita della frazione all'estero, la quale organizzava i quadri della Sinistra, espulsi dal PCd'I stalinizzato, dal 1928. Vengono qui accennati i primi contrasti con la componente che verrà successivamente detta “bordighista” e che romperà il partito nel 1952 dando vita a “Il Programma Comunista”. Sono quindi ben descritti i primi passi della nascita del partito nel 1943 - che raggiunse i duemila iscritti nel 1944 - i rapporti con la CGL “rossa”, il Movimento “Bandiera rossa” e la Frazione di Sinistra dei Comunisti e dei Socialisti Italiani al sud la quale nel 1945 si sciolse aderendo al PCInt e il continuo tentativo dei nostri compagni di intessere relazioni con le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, tentativo che culminò nella proposta del “fronte unico proletario contro la guerra” all'inizio del 1944.

Interessante è la descrizione del clima conflittuale che visse il proletariato italiano durante la guerra stessa, con numerosi scioperi e mobilitazioni che il PCI fece fatica a domare e che spesso trovarono nel PCInt un valido punto di riferimento. Emerge con palese evidenza come la prima preoccupazione delle parti borghesi in guerra fosse l'impedire che il proletariato si potesse esprimere sul suo piano indipendente di classe, che non si creassero pericolosi vuoti di potere all'interno dei quali avrebbero potuto prendere piede episodi di lotta di classe potenzialmente dirompenti, fino al favorire il disfattismo nelle fila dell'esercito tedesco in ritirata. Furono queste le preoccupazioni che ispirarono molte delle scelte dei belligeranti: dalle modalità dello sbarco anglo-americano del luglio 1943, all'armistizio dell'8 settembre, dalle modalità dell'avanzata degli Alleati e del ritiro dei nazisti, ai bombardamenti sui quartieri proletari e al terrorismo adottato nelle campagne meridionali, dal ruolo del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, al riassorbimento dei fascisti nel sistema post-liberazione, fino al ruolo svolto dal Comitato di Liberazione Nazionale e dal PCI nell'inquadrare il movimento partigiano e gli scioperi in una funzione subalterna alla strategia bellica degli Alleati.

In tutta questa fase il PCInt costituì una costante spina nel fianco per i nazionalcomunisti, venendo spesso indicato dal PCI, preoccupato dal possibile radicamento di un partito autenticamente proletario alla sua sinistra, come un covo di spie della Gestapo. Numerosi furono gli atti di infamia condotti nei confronti dei nostri compagni, fino all'omicidio politico.

Approfondita e dettagliata è la descrizione dell'organizzazione internazionalista che nel 1945 arrivò ad avere più di 70 sezioni in tutta Italia, vengono ricordati numerosi compagni ed episodi che caratterizzarono i primi anni di vita della nostra organizzazione, i numerosi lutti che essa dovette subire.

Viene quindi affrontata la problematica collaborazione di Bordiga. Emerge come i suoi contributi fossero ispirati ad una differente analisi della situazione. Bordiga pensava infatti che il partito non dovesse essere costituito ed i suoi contributi lasciavano trasparire questo atteggiamento, fino alla maturazione di una linea politica autonoma che portò, con il suo ingresso ufficiale, alla scissione del 1952 i cui passaggi sono descritti in maniera non troppo approfondita. Non affronteremo qui i termini della scissione che sono invece trattati altrove (1).

I temi della polemica tra le due anime del partito sono comunque accennati: modalità e significato dell'intervento nelle lotte operaie, ruolo del sindacato, lotte di liberazione nazionale, natura del partito di classe, analisi dell'URSS.

Ampio spazio trovano, invece, l'analisi delle lotte proletarie nel dopoguerra e della repressione, costantemente appoggiata dai nazionalcomunisti, che ne seguì, emerge ruolo che il PCInt tanto nelle città industriali quanto nelle campagne seppe spesso giocarvi.

Superficiale, infine, abbiamo trovato l'idea conclusiva secondo la quale il PCInt sarebbe andato incontro al declino degli anni 1950 perché incapace di leggere la nuova composizione di classe negli anni del “boom economico” post piano Marshall ed il nuovo scenario imperialista.

Al di là di errori di valutazione sempre possibili tra chi agisce, sul terreno di classe, e non si limita a osservare o, peggio ancora, a pontificare, il motivo del suo sostanziale ridimensionamento va ricercato nell'aprirsi di nuovi spazi riformisti. La nuova fase doveva prima favorire l'espansione del PCI e poi, dopo il 1968, il proliferare di una miriade di gruppetti più o meno richiamantisi al comunismo. Questi gruppi (che dopo un periodo di “gloria” più o meno lungo, si sono tutti sciolti) accompagnarono ad un estremismo verbale una pratica radical riformista che corrispondeva all'istanza di miglioramento qui ed ora (ossia fermo restando il capitalismo) di ampi strati della piccola borghesia e proletari. Gli spazi di agibilità per i rivoluzionari andavano inevitabilmente restringendosi.

In queste condizioni gli internazionalisti erano condannati ad una posizione ultra-minoritaria, ma non morirono. Nonostante un significativo ridimensionamento seppero mantenere con continuità, pur tra mille difficoltà, una posizione di critica rivoluzionaria che ci legittima oggi come un punto di rifermento valido per tutti coloro i quali sono in cerca di un orientamento capace di trasformare in pratica la necessità della costruzione del partito rivoluzionario.

Nel libro è estremamente riduttiva la nota sulla storia del PCInt dopo il 1952 e per riempire questa lacuna dovremmo noi stessi fare qualche sforzo in più.

Insomma, un libro che merita di essere letto nonostante l'evidente limite di voler relegare l'esperienza del PCInt ad un passato ormai sepolto, quando si tratta invece di rivendicarne l'attualità e la capacità di persistenza.

Diego

(1) Prometeo 5/2011 “Alcune considerazioni sul libro Nè con Truman Nè con Stalin” e le varie pubblicazioni di partito sul tema.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.