Uscire dalla tempesta della crisi capitalista

Le meditazioni provenienti dalle stipendiate intelligenze borghesi (alcune vantano di essersi elevate al di sopra delle consorterie del “libero pensiero”..) annaspano attorno a diagnosi e medicine basate sul presupposto che ci si trovi a fronteggiare soltanto una serie sregolatezze finanziarie, per lo più riconducibili a una spesa pubblica eccessiva e ad azzardati giochi speculativi. Altri scoprono che se, al contrario, non si aumenteranno le spese in beni e servizi (già, ma con quali “capitali”?) continuando sulla strada dei tagli ai consumi, l’economia non uscirà dalla recessione. Le chiacchiere prolificano al seguito di logiche di stampo bizantino, sull’onda agitata dello spread e dei listini borsistici.

Al seguito di tali paradigmi cala il sipario sul fatto concreto che - d a quando è nato -- il capitalismo si “muove” innanzitutto nel settore produttivo da dove, unicamente, si ottiene l’estorsione di plusvalore dallo sfruttamento della forza-lavoro di uomini e donne. Ed è qui che quando il saggio medio di profitto tende a diminuire, i movimenti del capitale industriale rallentano; non è certo la finanziarizzazione delle imprese industriali la causa del peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita del proletariato sulle quali si abbattono gli effetti della crisi del capitale.

Quando parliamo di una necessaria ricerca delle cause originarie di ogni fenomeno, e di una messa in luce delle contraddizioni reali che in momenti particolari esplodono, siamo malvisti come dei presuntuosi teorici che pretenderebbero di andare alla ricerca del sesso degli angeli con la pretesa di una superiore capacità intellettuale agli altri negata…. “Altri” che ci sbattono in faccia porte e finestre, mentre tutti i mezzi di cui dispone il capitale (stampa e televisione) si mobilitano nel persuadere - secondo i modelli ufficiali - la “pubblica opinione” ad accettare le idee dominanti.

Nelle investigazioni borghesi non rientra (confondendola con una indebita deriva meccanicistica e deterministica - che qui invece c’entra come i cavoli a merenda! - e ignorando ogni valenza di metodo dialettico applicato alla totalità delle contraddizioni di cui “soffre” il capitalismo) quella “caduta tendenziale del saggio di profitto”, cioè la vera radice delle crisi capitalistiche. Ed è proprio la stessa concorrenza tra i singoli capitalisti (invocata come “sana e costruttiva”!) che finisce per ottenere un risultato opposto alle intenzioni: invece di aumentare, i profitti diminuiscono. Quindi l’eventualità della crisi è insita nell’anarchia strutturale che caratterizza il modo di produzione capitalistico. Per tale ragione i profitti e, di conseguenza, i salari, tendono a diminuire, quantomeno in termini relativi . E nella crisi si verifica l’impoverimento progressivo dei lavoratori, i quali formano la massa dei consumatori. Per acquistare le merci che il mercato offre, occorrerebbero acquirenti solvibili, ma le masse proletarie vedono i propri “redditi” diminuire, tagliati dalle esigenze di un capitalismo alle prese con una crisi che si complica col sottoconsumo dei lavoratori (sottoposto a riduzioni di salario e di orario, a flessibilità e licenziamenti): i consumi di massa sono costretti ad una contrazione proprio quando il mercato avrebbe “bisogno” di estendere la vendita di merci.

Anche senza indossare paramenti scientifici è evidente, camminando con gli occhi aperti, che l’attuale modo di produzione e distribuzione contiene connaturate in sé le cause delle crisi periodiche che si abbattono su di esso. L’unica alternativa a questo stato di cose è quella di una fuoriuscita radicale, globale e definitiva, da un capitalismo storicamente destinato a catastrofici eventi.

I lavoratori devono strappare i mezzi di produzione dalle mani dei capitalisti, rompere la loro gestione sia privata che statale, per poter procedere ad un totale rivoluzionamento del modo di produrre e di distribuire, rivolgendosi non a chi ha il denaro per acquistare merci ma rispondendo ai bisogni reali di ciascun membro della comunità umana. Il valore d’uso, non più quello di scambio, deve essere determinante per annullare un consumo imposto dal mercato per le esigenze della legge del profitto; legge che nega alla stragrande maggioranza della specie umana l’appagamento dei suoi bisogni, da quelli più naturali a quelli che il progresso scientifico e tecnologico ha sviluppato. Questo significa la eliminazione di tutte le categorie che caratterizzano il capitalismo, dal lavoro salariato alla merce, dal denaro al capitale e al profitto. Questo l’obiettivo programmatico del comunismo.

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.