Uscire dal capitalismo e dalle sue crisi

Nei giorni 26 e 27 maggio si è tenuta a Parma un’assemblea generale della nostra organizzazione. Una parte della riunione è stata dedicata all’analisi della crisi economica. Riportiamo alcuni contenuti emersi dalla relazione di apertura e dal dibattito.

La crisi apertasi con lo scoppio della bolla speculativa legata ai mutui subprime è stata fatta passare dai media e da gran parte degli economisti come una crisi semplicemente finanziaria. Come abbiamo avuto modo di ribadire più volte, il cuore della crisi è rappresentato invece dalla crescente difficoltà incontrata dai capitali a realizzare profitti nella sfera produttiva (nell’economia reale). Questa difficoltà ha spinto i capitali verso attività strettamente speculative. Lo scoppio delle bolle finanziarie - risultato della speculazione - si riversa a sua volta sull’economia reale, aggravandone le condizioni.

L’attività finanziaria, sotto diverse forme, ha accompagnato gran parte della vita del capitalismo, ma negli ultimi decenni ha assunto un peso abnorme e caratteristiche particolarmente parassitarie. Attualmente nel mondo circola un capitale finanziario pari a 10-11 volte il PIL mondiale. Un capitale che gira nei mercati borsistici e finanziari alla ricerca di una valorizzazione ottenuta semplicemente attraverso attività speculativa, ovvero non legata all’economia reale. Ci troviamo quindi di fronte a una massa gigantesca di capitale finanziario che sfugge dalla sfera produttiva - capitale fittizio - senza mai farne ritorno.

L’attività speculativa è alla base anche della guerra tra le divise che si sta combattendo, in particolare tra dollaro e euro. Recentemente stiamo assistendo ad un forte attacco alla zona euro da parte della borghesia americana. Il dollaro cerca di recuperare almeno parte del terreno perso da quando è entrata in vigore la moneta europea. Prima della comparsa dell’euro infatti oltre il novanta per cento degli scambi internazionali avvenivano attraverso l’uso del dollaro. Questo permetteva agli USA di stampare una grossa quantità di moneta per alimentare quel meccanismo di appropriazione parassitaria di plusvalore che più volte abbiamo analizzato sulla nostra stampa.

Dopo dieci anni dall’entrata in vigore dell’euro il peso del dollaro negli scambi internazionali risultava già sostanzialmente dimezzato. Il ridimensionamento della moneta americana ha riguardato anche la compravendita del petrolio e di altre materie prime. Molti speculatori, inoltre, tendono ad acquistare titolo di Stato europei sottraendo così grossi capitali al finanziamento dell’enorme debito americano. La comparsa dell’euro insomma ha creato non pochi problemi all’economia USA, tanto da portare il gotha della borghesia statunitense ad interrogarsi più volte sul come mettere in difficoltà l’euro per favorire il dollaro.

Sono passati ormai più di quattro anni dall’apertura di questa ulteriore fase della crisi, ma non si vedono reali segnali di ripresa. La borghesia internazionale, ovviamente, si pone il problema di come gestire questa grave situazione. Recentemente, infatti, lo stesso ministro Passera ha sottolineato che potrebbero esserci in Italia momenti di instabilità sociale dovuti alla stanchezza di chi oggi sta pagando la crisi, il proletariato.

Tra le prime azioni messe in campo della borghesia internazionale per gestire la crisi spicca l’attività di sostegno alle banche. Governi e banche centrali hanno messo a disposizione - sotto forma di aiuti e immissione di liquidità - ingenti capitali per risanare la sofferenza degli istituti bancari; sofferenza aggravata anche dalla crescente difficoltà nel risparmio da parte della famiglie che comporta una diminuzione dei flussi di capitali verso gli istituti bancari. L’azione di sostegno alle banche è stata giustificata dal seguente ragionamento: salviamo le banche per mettere poi queste in condizioni di potere svolgere il loro ruolo, ovvero di poter poi finanziarie le imprese e alimentare l’economia reale. Messi a posto i conti, le banche - ovvero, la borghesia che le manovra - si sono mosse in direzione completamente diversa. Hanno stretto i rubinetti del credito - in particolare verso le piccole e medie imprese - e allo stesso tempo hanno ripreso le loro attività nella sfera speculativa. Per esempio, recentemente la BCE ha immesso una montagna di liquidità sotto forma di prestiti alle banche, erogati ad un tasso di interesse bassissimo. Gli istituti bancari a loro volta hanno investito questi capitali prevalentemente in titoli di Stato, alla ricerca di un profitto ampio e sicuro, scavalcando anche in questo caso la sfera produttiva.

Dopo il risanamento delle banche, secondo i piani della borghesia, ci dovrebbe essere la tanto decantata crescita. Stati e governi quindi dovrebbero intervenire per favorire tale crescita. Da questo punto di vista c’è da sottolineare una dato fondamentale: l’entità del debito pubblico. Gli Stati oggi non sono nelle condizioni - visto l’ammontare del debito - di attuare un intervento pubblico tale da poter dare ossigeno all’economia reale, per esempio attraverso l’investimento in lavori pubblici. Per molti paesi (Spagna, Italia, Grecia, USA, Gran Bretagna, ecc. ecc.) la situazione debitoria è veramente disastrosa.

Sì è passati quindi ad analizzare alcuni aspetti specifici riguardanti la gestione della crisi in Italia. La grave situazione economica italiana ha spinto la borghesia a disfarsi dell’ormai ingombrante governo Berlusconi per far spazio ad un più incisivo governo tecnico. Risanamento delle banche, tagli, tasse, sacrifici per i proletari. Questa la ricetta seguita dal governo Monti. Particolare attenzione è stata data all’ennesima riforma delle pensioni: innalzando l’età pensionabile, l’INPS eroga meno pensioni, in questo modo lo Stato risparmia ma il meccanismo ha ulteriori ripercussioni sulla disoccupazione giovanile, ormai alle stelle. Precarietà e disoccupazione diffusa trai giovani è la caratteristica che accomuna tutti i paese ed è tra i dati che meglio sottolinea lo stato attuale del capitalismo.

Il ragionamento che “la crisi c’è e che quindi da qualcuno deve essere pagata” ormai è ampiamente diffuso. Si va da chi sostiene che i sacrifici devono essere equamente ripartiti, a chi - riformismo radicale - punta l’attenzione sulle banche che dovrebbero accollarsi il costo della crisi; come se la cosa fosse possibile. Tutte queste soluzioni si tengono bene alla larga dal mettere seriamente in discussione il sistema di produzione capitalistico. Il problema infatti non sta nella distribuzione ma è nella produzione, la questione quindi non è individuare chi paga la crisi, ma puntare l’attenzione contro il modo di produzione che ha generato questa crisi strutturale. La crisi non è una calamità naturale ma l’approdo del moto di produzione capitalistico.

Denunciare il carattere strutturale della crisi economica, e sfatare le varie soluzioni riformiste, rientra certamente nel lavoro che devono portare avanti i comunisti ma non basta. Bisogna andare oltre la critica alla crisi, fare emergere quindi quella che è l’alternativa al capitalismo. Lo stesso “anticapitalismo” infatti può assumere una veste vaga. I comunisti devono sottolineare chiaramente la necessità di un nuovo modo di produrre e di distribuire ricchezza. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, in riunione è stata anche sottolineata l’importanza del lavoro di formazione e di elaborazione teorico/politico per quanto concerne la fase di transizione. Un lavoro fondamentale nel quale dovranno impegnarsi i comunisti di oggi e di domani per mostrare chiaramente l’alternativa comunista al capitalismo.

NZ
Sabato, June 9, 2012

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.