Gli operai Fiat sono soli

... Ma da questa consapevolezza può partire la lotta di classe contro falsi amici e veri nemici

Solo un politicante compiacente e colluso, solo un sindacato impegnato a battere ogni record di servilismo nei confronti del padrone, solo un pennivendolo non meno servile poteva credere o, meglio, fingere di credere al cosiddetto piano “Fabbrica Italia” annunciato due anni fa in pompa magna da Sergio Marchionne, amministratore delegato (AD) della Fiat. Ma di quelle tipologie umane la società è piena, anzi costituiscono il tessuto connettivo della borghesia, per cui, allora, chi denunciava l'inconsistenza del suddetto piano veniva tacciato di disfattismo e indicato come il vero nemico degli operai. Ma questi ultimi sapevano bene che il referendum “proposto” dall'azienda e sostenuto dai sindacati complici ( o più complici...) con cui veniva assicurata – così si proclamava – l'occupazione in cambio di... tutto (salario, orario, ritmi: in breve, la vita) era solo un cappio dentro cui la classe operaia era sollecitata a infilare il collo. Tra Pomigliano e Torino, gli operai, in maggioranza, scandalizzando la marmaglia elencata sopra, rifiutarono il ricatto, ma il loro coraggio venne ovviamente sommerso dal voto dei rassegnati, degli impauriti, di capi, capetti e ruffiani vari che sancirono “democraticamente” la vittoria del padrone. Tra parentesi, una prova in più che quando si sostituisce la scheda della democrazia borghese alla lotta e ai suoi naturali organismi di classe, si ha perso in partenza. Infatti, se di vittoria padronale si può indubbiamente parlare, è invece improprio – a rigore – parlare di sconfitta dei lavoratori, perché la classe operaia non ha combattuto una vera battaglia sull'unico terreno che le appartiene, quello del conflitto di classe aperto, senza mascheramenti pseudodemocratici, irriducibile. Nemmeno l’ «estremista» Fiom la chiamò alla lotta (vera), proclamando scioperi a oltranza in tutti i siti Fiat, cercando e organizzando la solidarietà attiva delle altre categorie del lavoro salariato. La gravità e l’arroganza dell’attacco padronale bastavano e avanzavano per un’«adunata generale» del proletariato, dentro e fuori il settore metalmeccanico, dentro e fuori le fabbriche. Ma la Fiom è solo un sindacato e per di più della nostra epoca…

Questo, ieri. Oggi, com’era appunto prevedibile, Marchionne, alla stregua di un pataccaro qualunque, se n’è uscito dicendo che i venti miliardi per la “Fabbrica Italia” non ci sono, che le condizioni sono cambiate in peggio e che di fatto abbandonerà gli stabilimenti italiani al loro destino, prospettando così una Termini Imerese generalizzata, o quasi. La manfrina e le promesse assai vaghe fatte a Monti sabato 22 settembre, continuano la commedia del manager giusto, e quindi severo, ma responsabile, che finora ha tenuto aperto gli impianti italiani per carità di patria, dato che gli unici siti redditizi sarebbero quelli del continente americano e dell’Est europeo. Dunque, benché benefattore, l’AD non può sfidare all’infinito le regole del libero mercato. Libero mercato? Dove, quando? Ammesso – si fa per dire – che sia mai esistito veramente, nel caso specifico della Fiat tutti sanno che essa ha sempre ricevuto una montagna di denaro e ha goduto di privilegi particolari più di qualunque altra impresa, da governi di ogni colore, dentro e fuori l’Italia. Per salvare la Chrysler, l’amministrazione USA ha “coperto” Marchionne di dollari, concessi a condizioni di favore e in parte a fondo perduto. In America Latina, i governi non sono e non sono mai stati meno disponibili, e lo stesso si può dire per le delocalizzazioni in Polonia e in Serbia, dove la Fiat ha ricevuto praticamente gratis la fabbrica di Kragujevac, oltre ai finanziamenti diretti dell’ordine di migliaia di euro per ogni posto di lavoro, facilitazioni fiscali, ecc.

Tutto ciò da parte delle amministrazioni pubbliche, mentre i sindacati, col solito gioco di sponda, hanno accettato condizioni di lavoro peggiorative, col pretesto di salvare l’occupazione operaia. Dalla Basilicata agli Stati Uniti, passando per la Serbia, la musica è sempre quella. Ora, alla Chrysler i neoassunti si sono dovuti accontentare di metà salario, a Kragujevac gli operai guadagnano, quando va bene, 350 euro al mese, in Brasile la metà o giù di lì rispetto all’Italia. Se a tutto questo si aggiunge che l’industria dell’auto è effettivamente oppressa dalla sovraccapacità produttiva – tanto che anche Ford, PSA, Opel annunciano chiusure in Europa – si capisce come Marchionne, per non chiudere in Italia, punti a ottenere condizioni generali di gestione che si avvicinino il più possibile a quelli dei siti esteri. Tempi duri si annunciano, quindi, per la classe operaia Fiat, ancor più duri di quanto non sia già costretta a subire; tempi fatti di sfruttamento intenso, incertezza estrema, cassa integrazione a volontà, che, se salvaguarda, momentaneamente, l’occupazione, riduce in maniera drammatica il salario e può arrivare a deprimere le potenzialità combattive della classe, insinuando ansia e rassegnazione.

In questa situazione, gli operai sono, una volta di più, soli. Non possono certo trovare degli alleati in Della Valle o Romiti, critici di Marchionne per motivi di bottega che nulla hanno a che fare con gli interessi proletari. Nemmeno nel centro-sinistra, a suo tempo sostenitore aperto o velato del diktat di Pomigliano e Mirafiori. Ancor meno nei sindacati, che, firmatari o no degli accordi capestro, al massimo proclameranno qualche sciopero, che, per le modalità solite in cui sarà attuato, farà a dir tanto il solletico a Marchionne e trista compagnia. Nel governo, allora? Su, siamo seri…

No, nessuno è dalla parte della classe operaia, ma il rendersi conto di questo, il rendersi conto che, soprattutto nella crisi, gli interessi del capitalismo sono inconciliabili con quelli della classe operaia, sarebbe già un passo in avanti, necessario per poter acquisire la consapevolezza che solo organizzandosi dal basso, sbarazzandosi dei sonniferi e delle camicie di forza sindacali, c’è la possibilità di non farsi prendere sistematicamente a pesci in faccia senza poter restituire i colpi. Sarebbe solo l’inizio della partita, ma almeno si giocherebbe, la partita.

CB
Lunedì, September 24, 2012

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.