Brevi considerazioni sui vaccini

L’intervento dell’eurodeputata Manon Aubry, della France Insoumise, ha suscitato un certo interesse mediatico e consensi non solo nell’ambito della sinistra più o meno radicale; l'esplicita accusa alla Commissione europea di essersi piegata ai diktat delle multinazionali farmaceutiche, di non aver saputo o voluto opporsi alla logica del mercato, di considerare pertanto la salute una merce qualsiasi e non un bene comune, non poteva non raccogliere, soprattutto nell’attuale periodo di penuria e incertezza vaccinale, un’ampia approvazione nell’opinione pubblica (d’altra parte anche l’ipocrita destra sovranista si presenta come ostile alle multinazionali ed acerrima nemica dei “burocrati di Bruxelles”). Mostrando in aula le pagine, quasi completamente secretate da linee nere, dei contratti relativi alla fornitura vaccinale, ha denunciato l’assente trasparenza dell’accordo su tutti gli aspetti essenziali: prezzi, consegne, scadenze e responsabilità. Gli ingenti finanziamenti pubblici che hanno consentito di giungere ai brevetti, ha ricordato l’eurodeputata, stanno garantendo astronomici guadagni alle multinazionali e forniture vaccinali del tutto inadeguate, data la drammatica situazione mondiale, alle popolazioni.

Secondo Oxfam (confederazione di organizzazioni no profit che si occupano della riduzione della povertà globale attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo –nella quale lavorò la stessa Aubry-) nel solo 2021 le tre industrie farmaceutiche produttrici dei vaccini attualmente approvati dai più importanti enti regolatori (Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca) guadagneranno circa 30 miliardi di dollari a fronte dei 100 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici ricevuti (1). Queste aziende potranno provvedere, sempre secondo Oxfam ed Emergency, alla copertura vaccinale solo di un terzo della popolazione mondiale entro l’anno.

Nella parte conclusiva del suo intervento Aubry ha chiesto una commissione di inchiesta per valutare le responsabilità della Commissione europea ed ha rivendicato, a fronte degli ingenti investimenti, la proprietà pubblica dei brevetti.

Una posizione, quest’ultima, analoga al direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha indicato nel superamento della proprietà intellettuale dei brevetti e nella condivisione della tecnologia l’unico mezzo per garantire una copertura vaccinale mondiale (l’obiettivo è raggiungere in tempi rapidi l’immunità di gregge, prima che nuove mutazioni aumentino la trasmissibilità del virus e possano rendere sempre più difficile il controllo della pandemia).

Com’è ampiamente noto, la protezione dei brevetti ha ritardato la diffusione della terapia antiretrovirale in ampie regioni dell’Africa, Asia ed America Latina, determinando la morte di milioni di persone affette da HIV; la proprietà intellettuale consente infatti di avere il controllo sui prezzi, la produzione e la distribuzione del medicamento.

Nei fatti la situazione si sta ripetendo con l’attuale Pandemia: agli inizi di febbraio su 108 milioni di persone vaccinate solo il 4% viveva nei paesi in via di sviluppo (in tutta la Guinea, uno dei paesi più poveri, sono state vaccinate 55 persone) (1); il 70% dei vaccini, come ha denunciato la stessa Aubry in una recente intervista, è stato somministrato in soli 10 paesi (2).

La protezione della proprietà intellettuale, dagli esponenti del capitale, viene presentata come un importante stimolo agli investimenti finalizzati allo sviluppo di prodotti o servizi innovativi; in termini concreti la produzione di merci o servizi innovativi è intrapresa soltanto se è sufficientemente remunerativa per il capitale.

Il settore farmaceutico, in questo senso, mette ben in evidenza le tendenze dell’economia contemporanea, ossia la crescente finanziarizzazione dell’economia e la creazione di oligopoli.

Nel periodo compreso fra il 2009-2015 dei 3 trilioni di dollari guadagnati dalle 18 maggiori compagnie farmaceutiche quotate in borsa (secondo Standard & Poor’s) solo 465 miliardi di dollari (il 16%) sono stati destinati al settore ricerca e sviluppo (3).

La maggior parte dei ricavi non finisce quindi nei laboratori, ma entra nel circuito della finanza; le società acquistano le loro stesse azioni per ridurne la quantità presente sul mercato innalzando il valore delle quote rimanenti.

Altra tendenza che si è sempre più accentuata negli ultimi anni è la corsa alla concentrazione e all’acquisizione di imprese; le grandi società farmaceutiche spesso preferiscono acquisire un competitore e rilevare un prodotto già sviluppato al posto di svolgere direttamente la ricerca (che comporterebbe ingenti spese con risultati non sempre garantiti). Le industrie ovviamente acquisiscono tecnologia e brevetti anche dalle università o dagli spin-off dei centri di ricerca.

La concentrazione e finanziarizzazione del settore farmaceutico sono fra i fattori più importanti della crescente spesa dei sistemi sanitari; si sono di fatto creati oligopoli in grado di dettare legge sui prezzi e sulle condizioni di distribuzione dei vaccini e dei farmaci (università e laboratori pubblici non hanno, tranne in rarissimi casi, le risorse per poter competere con le grandi società multinazionali del settore).

Ovviamente la recente pandemia non fa altro che enfatizzare e portare alla luce, fenomeni già ampiamente in atto; la produzione di vaccini umani si è sempre dimostrata estremamente redditizia per le aziende farmaceutiche: nel 2005 hanno fruttato circa 8,9 miliardi di dollari e nel 2009 ben 22 miliardi di dollari, per l’emergenza legata all’epidemia del virus H1N1 (la febbre suina) (3).

Con l’attuale pandemia si stanno bruciando tutti i record; si stimano infatti 120-150 miliardi di dollari di ricavi aggiuntivi nel solo 2021 per le grandi aziende del settore (4).

Sempre per ribadire l’ovvio, siamo tutti ampiamente consapevoli che le risorse messe in campo dai governi e dalle industrie farmaceutiche per l’attuale emergenza sanitaria sono dovute al coinvolgimento dei paesi capitalisticamente avanzati; nella periferia del capitale, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, malattie infettive come la malaria e la febbre dengue, non rappresentando un mercato redditizio, stimolano investimenti in medicamenti e vaccini di tutt’altra entità.

Dati relativi al 2018, poco prima della crisi pandemica, mettono in evidenza che circa un terzo della popolazione mondiale non ha accesso a quelli che l’Organizzazione mondiale della sanità indica come “farmaci essenziali” (ossia medicinali ritenuti indispensabili per fronteggiare le più comuni patologie); la percentuale sale a quasi il cinquanta per cento nei paesi della periferia capitalistica.

Considerando che circa il 95% dei farmaci essenziali non è più protetto dal brevetto, si può desumere come la proprietà intellettuale rappresenti solo una parte del problema; è la logica stessa del profitto, anche quando il mercato è “libero”, ad esclude buona parte della popolazione mondiale dal “diritto alla salute” (ovviamente la salvaguardia della salute è un problema ben più complesso del solo approvvigionamento dei medicinali) (5).

Giusto quindi denunciare quanto sta avvenendo nell’attuale campagna vaccinale, ma altrettanto doveroso è sottolineare che, tutto quanto sta accadendo, è figlio legittimo dell’attuale sistema economico; il profitto (o per meglio dire, la produzione di plusvalore) è lo scopo determinante, l’interesse è il motore e il risultato finale della produzione capitalistica in qualsiasi ambito.

La multinazionali fanno il loro lavoro, si potrebbe obiettare, ma spetterebbe allo stato (e agli organismi sovranazionali, come la Commissione europea) imporre leggi per ridimensionare le conseguenze e egli appetiti; in fin dei conti sono i soldi pubblici che rendono solvibile il mercato dei farmaci (nei fatti, attraverso il meccanismo delle aste, si mettono in concorrenza i diversi paesi per ottenere il prezzo voluto, accordandosi segretamente sugli sconti in base all’entità degli ordinativi).

Lo stato, nella sua versione “democratica”, si presenta come espressione della volontà popolare e pertanto come custode degli interessi comuni; le istanze particolari della base sociale vengono armonizzate in nome dell’interesse generale. Uno degli argomenti principali a supporto all’armonica teoria democratica è rappresentato dalle funzioni pubbliche svolte dello stato (sanità, istruzione, servizi di trasporto, sicurezza, legislazione del lavoro ecc.). Lo stato, tuttavia, come ogni altra istituzione, non può essere concepito come una potere posto al di sopra della società dalla quale origina; l’accentramento del potere dello stato moderno, come noi oggi lo conosciamo, è anzi figlio del mercantilismo, che contribuì in maniera decisiva ad ampliarne le funzioni.

A maggior ragione oggi, nella fase imperialistica (ossia del capitalismo oligopolista-monopolista/finanziario), dove la produzione di merci finalizzata al profitto è alla base di tutta la ricchezza nazionale e della riproduzione sociale del sistema, il solerte intervento dello stato (costantemente presente in tutta la storia del capitalismo) non può che essere finalizzato a favorire, in tutti i modi possibili, i processi di accumulazione del capitale.

Anche un’analisi approfondita delle attività di pubblica utilità svolte dallo stato, in questo senso, non farebbe altro che confermarne la natura di classe, del tutto funzionale alla preservazione e allo sviluppo dell’attuale ordinamento sociale (i trasporti per la distribuzione delle merci e per l’estensione del processo di sfruttamento, la sicurezza come controllo delle proteste che tentano di spingersi oltre agli angusti canali istituzionali, l’istruzione per una formazione della forza lavoro adeguata alle esigenze del mercato ecc.). La recente crisi dei sub prime (2008), con il salvataggio del sistema bancario sostenuto dalle finanze pubbliche, ben rappresenta il ruolo attivo dello stato ed il suo organico legame con gli interessi del capitale.

Per tornare ai vaccini, anche in questo ambito il legame fra stato ed impresa è quanto mai vivo; il governo degli Stati Uniti, tramite l’Istituto Nazionale di Sanità, finanzia la ricerca sui vaccini dal 1938 (fino ad ora ha speso più di trilione di dollari).

D’altra parte i farmaci e i vaccini, oltre a rappresentare un colossale giro di affari per le aziende farmaceutiche ed una risorsa per l’efficienza complessiva del sistema (non ci si deve dimenticare che anche i lavoratori - e pertanto il loro stato di salute- sono un prodotto essenziale per il processo di valorizzazione del capitale), hanno anche un ruolo strategico nel confronto inter-imperialistico.

La disponibilità di penicillina, per esempio, ha costituito un indubbio vantaggio strategico delle forze alleate nella seconda guerra mondiale; nel corso della guerra fredda gli statunitensi vietarono l’esportazione della penicillina verso i paesi del patto di Varsavia e la Cina, e le tecnologie legate alla sua produzione furono considerate segreti militari (6).

Il legame fra aziende farmaceutiche ed apparati militari dello stato è indubbiamente destinato a crescere, vista l’attuale possibilità pratica di produrre agenti letali infettivi in laboratorio (fra i quali i virus).

Che gli Stati Uniti (la prima potenza mondiale) difendano gli interessi delle società farmaceutiche presenti sul proprio territorio (ben due, le più performanti), visto il quadro delineato, non dovrebbe essere fonte di stupore (per quanto possa apparire cinico); anche le nazioni che si sono fatte promotrici dell’appello per l’abolizione dei brevetti sui vaccini (Sudafrica e India), non volendo sicuramente mettere in discussione il capitale e la sua logica distributiva, non hanno fatto altro che denunciare i rapporti di forza a loro sfavorevoli.

Nei fatti si sta procedendo in ordine sparso, ed ogni nazione è in corsa con le altre per poter uscire quanto prima dalla crisi e porsi in piena efficienza alla conquista dei mercati (per quanto la produzione non si sia mai del tutto fermata da nessuna parte); anche le donazioni di vaccini (la cosiddetta diplomazia sanitaria) che stanno tentando di perseguire alcuni paesi, come Cina, Russia e Francia, si sta dimostrando una strategia volta ad acquisire o rafforzare aree d’influenza e di egemonia.

Solo in una società comunista gli indubbi progressi scientifici e tecnologici conseguiti, come dimostra anche la produzione di vaccini efficaci contro il Covid-2, potranno divenire un patrimonio comune finalizzato alla soddisfazione dei bisogni umani.

(1) finanza.republica.it 5 febbraio 2021 “Covid, Oxfam: Con i monopoli Big Pharma impossibile vaccino per tutti.”

(2) Il manifesto 6 marzo 2021 “Intervista a Manon Aubry: La commissione si è piegata alle aziende farmaceutiche”.

(3) www. lastampa.it “Quanto valgono i vaccini? Ecco come funziona l’economia dell’immunizzazione”.

(4) Corriere della Sera 17 marzo 21 “Big Pharma, in ballo 150miliari. Il peso della Brexit e il ruolo di Pfizer”.

(5) La febbre dengue (DF), causata dal virus dengue, è un’arbovirosi caratterizzata all’inizio da febbre non specifica, che a volte evolve in forme più gravi con elevata permeabilità capillare ed emorragie (febbre emorragica dengue) e shock (sindrome da shock dengue o DSS).

(6) www.eine-welt.ch gennaio 2018 “Perché mancano i medicinali per i poveri?.+

(7) Il manifesto 21 marzo 21 “Geopolitica medica”.

Lunedì, April 12, 2021