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Home ›Siria: la caduta di Damasco
Nella già martoriata Siria si è riaperta la guerra civile. Gli interpreti di questa guerra contro Assad
appartengono alla galassia jihadista di tutto il Medio oriente, come gli ex qaedisti capeggiati dalla organizzazione Tahrir al Sham e rappresentata da Abu Muhammad al-Jolani, “discepolo” di al Zarqawi, leader di al Qaeda in territorio iracheno, e di abu Bakr al Baghdadi, il califfo proclamatosi discendente di Maometto e capo dello Stato islamico sino alla sua morte. Sono loro che guidano la coalizione militare di gruppi come quelli filo turchi, dei vari militanti jihadisti provenienti dalle zone caucasiche, miliziani uzbechi, avanzi dell’Isis e persino i musulmani cinesi (uiguri) provenienti dallo Xinjiang cinese.
Questa galassia jihadista è partita all’assalto del governo di Assad e in poco tempo è arrivata ad occupare Aleppo e una vasta area territoriale, ponendosi di fatto come un possente esercito in grado di condurre una guerra civile contro il governo centrale, vassallo dell’imperialismo russo.
Ovviamente la potenza di fuoco dell’esercito jihadista e la velocità con cui si è conquistata Aleppo non cadono in terra di Siria come un fulmine a ciel sereno.
Siamo solo agli inizi, ma la riorganizzazione militare e l’apparente facilità con cui i miliziani jihadisti si sono mossi dipendono da due importanti fattori senza i quali difficilmente una simile operazione militare avrebbe avuto successo. Innanzitutto va valutata la situazione interna della
Siria. La lunga guerra civile, che dura dal 2011, si è aggravata in questi ultimi anni. Alla profonda crisi economica si è aggiunta una instabilità sociale e politica che hanno fatto di Damasco un territorio di facile conquista. In secondo luogo, l’alleanza con l’imperialismo russo che ha sempre operato a difesa del regime di Bashar el Assad, in questa fase, si è dimostrato meno presente. Non perché la Siria sia venuta meno al suo ruolo strategico di importante pedina nel Mar Mediterraneo con i suoi porti di Tartus e Latakia, sedi irrinunciabili della flotta russa, ma perché Mosca è duramente impegnata nella “campagna” di Ucraina e può dedicare meno risorse alla difesa del suo storico alleato, anche se non farà mancare il suo sostegno, sempre che ne abbia la forza e che l’andamento degli eventi lo consentano... e non l’hanno consentito.
In aggiunta, va denunciato come la riorganizzazione militare dello jihadismo anti-Assad e anti-russo abbia abbondantemente usufruito degli aiuti finanziari, militari e politici, sia pur per strategie geopolitiche diverse, degli imperialismi di Usa, di Israele e della Turchia.
Per gli Usa il discorso del suo appoggio allo Jihadismo è scontato. Biden, prima di lasciare definitivamente la sua presidenza a Trump, ha voluto porre in essere in Siria una situazione che avrà ripercussioni su tutto il Medio oriente. Sostenere gli islamisti (un tempo giudicati come maledetti tagliagole e oggi riabilitati ad un ruolo di “democratici”combattenti contro il dispotismo di Assad e l'invasore russo) significa indebolire ulteriormente Mosca, il suo alleato iraniano che, sorpreso dalla velocità dell’avanzata jihadista non è riuscito, come aveva promesso, a mandare immediatamente contingenti di Pasdaran per difendere Aleppo. E, di conseguenza, non è riuscito a inviare un forte segnale al terzo incomodo, la Cina che fa parte di questa cordata imperialistica e che rappresenta il nemico numero 1 con cui, prima o poi, si dovranno fare i conti su uno scenario di crisi molto più vasto e pericoloso. Nel frattempo, gli Usa vogliono mantenere una postazione militare in territorio siriano-giordano per controllare alcuni pozzi petroliferi di pertinenza delle loro imprese, e sempre utile per qualsiasi evenienza bellica.
Per Israele l’appoggio, anche se in parte reticente, allo jihadismo sunnita dei “ribelli” siriani, che non nascondono di avere nel mirino, oltre al regime di Assad, lo sciismo degli Hezbollah, come il suo alleato iraniano, è una opportunità da sfruttare fino in fondo. Prima ancora della formale dichiarazione di un cessate il fuoco in Libano tra Beirut e Tel Aviv, mai entrato realmente in vigore, Netanyahu aveva già iniziato il suo progetto di destabilizzazione di tutta la regione, Siria compresa. Lo scopo ultimo, dopo aver distrutto Gaza, dopo aver annientato Hamas e gli Hezbollah e reso innocua la Siria, è quello di potersi concentrare sul suo nemico principale: l’Iran degli Ayatollah, per dare vita ad un nuovo ordine mediorientale di cui Tel Aviv ambisce essere il principale cardine. Intanto, si assicura la continuazione del possesso delle strategiche alture del Golan che occupa ininterrottamente dal 1967.
Per la Turchia l’avanzata dello jihadismo in Siria può solo rappresentare un vantaggio. Già a partire dal 2022 ci sono stati accordi segreti tra il governo turco e Tahrir al Sham, che hanno comportato aiuti finanziari, militari e protezione politica per queste bande jihadiste in via di ricostruzione. Non solo, ma i suoi membri, che organizzavano attentati in zone siriane e si rifugiavano in Turchia, se arrestati, venivano immediatamente rilasciati. Questo atteggiamento del governo turco fu anche oggetto di un'inchiesta parlamentare che, come al solito, venne insabbiata. Il governo turco ha avuto tutto l’interesse ad appoggiare l’avanza jihadista per una serie di motivi. Innanzitutto per punire il reiterato rifiuto di Assad di normalizzare le relazioni con Ankara. Poi è prevalsa l’ostilità nei confronti di Damasco per la sua opposizione al trasferimento di territori curdo-siriani sotto il controllo turco nella fase della guerra contro lo Stato Islamico di abu Bakr al Baghdadi. Inoltre, c'è sempre stata l’accusa ad Assad di avere concesso ospitalità a formazioni armate legate al Pkk. Infine, Ankara ha sempre guardato ad alcuni territori siriani a popolazione curda come a un focolaio di terroristi da annettere per meglio contrastare le mire “nazionalistiche” del PKK. Quindi, quale migliore occasione per tentare di usufruire della crisi di Damasco indotta dall'avanzata dei jihadisti? Per cui Erdogan ha dato via libera ai jihadisti, li ha finanziati, armati, con lo scopo di impadronirsi di parte dei territori siriani, di tenere sotto stretto controllo i suoi nemici curdi e di sbarazzarsi di milioni di profughi siriani che si sono rifugiati in Turchia a partire dal 2011. Per poi far sentire più perentoriamente la sua voce in tutto il Mediterraneo.
In conclusione, la destabilizzazione della Siria fa comodo a molti, USA compresi, i quali usano lo jihadismo, che condannano e usano a seconda delle circostanze, e che, come al solito, lavorano dietro le quinte senza rinunciare a qualche incursione militare come nello Yemen e sulla stessa Siria. L’asse imperialistico Washington -Tel Aviv sta toccando con mano la possibilità di dare vita ad una pesante punizione nei confronti dell’Iran e di instaurare in Medio oriente un forte baluardo imperialista occidentale che ridisegni i rapporti di forza in tutta l’area. A questo è servita la falsa dichiarazione sul 7 ottobre del “noi non ne sapevamo nulla”, come premessa al perseguimento di questo progetto di ormai lunga gestazione. Della Turchia abbiamo detto l’essenziale. Sembrano mancare forti reazioni di Mosca, Teheran e Pechino. In realtà Mosca si è mossa in simbiosi con l’esercito siriano di Assad bombardando le avanzate delle milizie jihadiste ma con poca determinazione e zero risultati. Teheran aveva promesso di mandare forze militari in aiuto di Assad, ma, come detto sopra, la velocità degli avvenimenti l'ha letteralmente sorpresa. La Cina per il momento tace, ma non può non far sentire, prima o poi, la sua voce, non fosse altro perché nel mirino dell’imperialismo occidentale ci sono i suoi due maggiori alleati, entrambi fornitori di gas e petrolio (Russia e Iran, che destina alla Cina il 95% dei suoi giacimenti energetici). Ma, come si diceva in apertura dell’articolo, “siamo solo agli inizi”. La faglia degli imperialismi internazionali si allarga sempre di più.
La presa di Damasco
Come era prevedibile dopo Iblid, Hama e Homs anche Damasco è caduta nelle mani delle forze jihadiste. Il regime di Bashar el Assad si è squagliato come, (a suo tempo) quello iracheno di fronte all’avanzata dell’Isis e il presidente si è dato alla fuga sulla via di Mosca lasciando il suo popolo in balia dei “taglia gole” armati, finanziati e politicamente sostenuti da Usa, Turchia e Israele per tutte le ragioni che abbiamo precedentemente espresso. La vittoria jihadista, voluta e guidata dai suddetti imperialismi sta mettendo in seria difficoltà la Russia e l'Iran sino a ieri alleati e sponsor del regime di Assad. Ora Putin se vuole mantenere la presenza navale nei porti siriani di Latakia e Tartus, fondamentali per la sua presenza ne Mediterraneo dovrà vedersela, oltre che con il nuovo governo transitorio di Mohammed al Bashir, con Washington e Tel Aviv e la Turchia che, presumibilmente, gli renderanno cara la vita se non impossibile. L’Iran ha perso tutti i suoi tentacoli (Hamas, Hezbollah, le forze sciite in Iraq) e dovrà ridimensionare la prospettiva di giocare un ruolo determinante in Medio oriente. Situazione che avvantaggia tutti gli attori interni ed esterni dell’area anche in chiave, non dimentichiamolo, anti cinese che resta per gli Usa il vero e principale nemico. Il più recente esempio e dato da una fornitura di 38 carri armati M1A12 Abrams a Taiwan ai fini di una modernizzazione delle difese militari nella prospettiva di un attacco da parte di Pechino. Questa sarebbe solo una prima fornitura che prevede altri 108 carri per un ammontare economico pari a 1,2 miliardi di dollari. I primi contingenti di carri armati sono già presenti nel territorio dell’isola presso una base di addestramento americana nei pressi di Hsinchu nelle vicinanze della capitale Taipei , . La vicende siriane che daranno un duro colpo alla Russia, sia nel Mediterraneo che in Europa, nella guerra contro l’Ucraina, e all’Iran degli Ayatollah che dovrà pesantemente ridimensionare il suo ruolo di imperialismo d’area, sono di fatto un allarme per Pechino. Per una prima conclusione possiamo dire che nello scontro tra i due agglomerati imperialistici si ha che quello occidentale (Usa, Israele, UE) sta conducendo le danze mentre quello orientale (Russia, Iran,Cina) per il momento segna il passo.
Nella stessa prima conclusione dobbiamo anche drammaticamente ripetere che il capitalismo mondiale è sempre più crisi, sempre più teatri di guerre si aprono e sempre più brutali barbarie si compiono. Per gli oppressi di tutto il mondo che rischiano di essere coinvolti sempre di più in questa mortale spirale, un solo slogan può valere: “guerra alla guerra, per un mondo più umano dove gli ultimi non saranno i primi ma come tutti gli altri e mai più carne da macello per gli ignobili interessi degli imperialismi”.
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08/12/24
I neri avvoltoi dell'imperialismo volteggiano sulla carcassa della Siria
Come già detto i rapaci avvoltoi israeliani, “grazie” all’infame attacco del 7 ottobre, di cui erano perfettamente a conoscenza, hanno potuto mettere in atto il loro piano che giaceva sulla carta sin dal 2009. L’obiettivo di Netanyahu è sempre stato quello di impedire in tutti i modi che il progetto dei “due popoli e due stati” prendesse corpo nelle strategie di una parte della geopolitica internazionale. Risale infatti a quella data la tattica di sostenere con finanziamenti ed armi la neo nata Hamas (1987) per staccarla dalla ANP di Arafat prima e di Abu Mazen poi, per il semplice motivo che, in quegli anni, la ANP era l’avversario più temibile e accreditato sul terreno della rivendicazione nazionalistica di uno stato palestinese. Le vicende successive hanno rovesciato i rapporti di forza tra le due formazioni politiche palestinesi, così come hanno modificato la strategia di Israele. Il 7 ottobre non solo ha consentito a Tel Aviv di distruggere Hamas, di uccidere i suoi capi, uno dopo l’altro, ma di creare anche le condizioni per ridefinire i rapporti di forza in tutto il Medio oriente. L’esercito israeliano dopo aver completamente raso al suolo Gaza city, tutte le città della Striscia, si è rivolto contro gli Hezbollah libanesi sino ad arrivare a bombardare Beirut, la valle della Bekaa, i nuclei jihadisti in Iraq, senza dimenticare di inviare nugoli di missili verso l’odiato nemico iraniano che si è limitato a mimare una flebile risposta.
Fatto questo, ovvero annientati i nemici “vicini di casa” e immobilizzata Teheran, Netanyahu si è rivolto al “giardino” del vicino siriano che, come è notorio, è sempre più verde. Dopo aver consolidato il possesso e la relativa permanenza nello strategico Golan (conquistato nel “67”), è andato oltre impossessandosi di una fascia di “sicurezza” tra Libano e Siria da cui controlla la città di Damasco. Non contento ha mosso l’esercito israeliano occupando il versante siriano del monte Hermon, altro punto strategico a non più di 60 chilometri da Damasco, chiudendo in una morsa la capitale siriana e controllando contemporaneamente le eventuali future mosse di Siria e Libano.
Per “finire” c’è stata una penetrazione in altre località siriane a seguito di una serie di raid dell’aviazione israeliana su presunti siti militari, sistemi radar, depositi di armi e su navi della Marina siriana. Il tutto mentre Egitto, Qatar e Arabia Saudita si sono mossi denunciando Israele di sfruttare al massimo la debolezza e la confusione presenti in Siria dopo la caduta del regime di Assad arraffando l'arraffabile, e di violare ancora una volta il diritto internazionale. Nel frattempo non vanno dimenticati i persistenti bombardamenti sulla popolazione di Gaza e le profonde e violente intrusioni in Cisgiordania dei coloni e dell’esercito di Tel Aviv con l’unico scopo di terrorizzare e di scacciare dalle proprie case e dai propri territori la popolazione civile .
Gli Usa che sono stati al contempo artefici e complici di questo programma a fianco di Israele nella prospettiva di indebolire l’Iran e il suo programma nucleare, di mettere in difficoltà la Russia cercando di togliere le sue basi navali nei porti siriani di Tartus e Latakia, hanno consentito ad Israele, pur fingendo di “borbottare” sugli eccessi (per salvare la faccia), di arrivare sino in fondo al suo programma contro tutti e tutto. Contro la popolazione palestinese e siriana, contro la Corte Penale Internazionale, contro l’Unifil, contro l’Unwra e contro qualsiasi ostacolo interno o internazionale, fisico o giuridico che si presentasse sul suo programmato cammino. E quando c'è stata la necessità gli Usa hanno anche usato il diritto di veto all'interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per evitare una risoluzione di condanna ad Israele per crimini contro l’umanità.
L’imperialismo americano non si è limitato a questo. Ha messo in ginocchio le mire russe sul Medio oriente e nel Mediterraneo orientale, ha di fatto contribuito pesantemente con aiuti finanziari, e soprattutto militari a Tel Aviv, di indebolire anche l’Iran, ovvero i due terzi del fronte imperialistico avversario avendo così l’opportunità di concentrasi, per il futuro, sul terzo rimasto, la Cina e le sue ambizioni imperialistiche nell’Indo pacifico e non solo. Nel frattempo si è anche espresso in termini bellici diretti bombardando bersagli militari in Siria con la scusa che fossero nelle mani dell’Isis, ha risposto con lancio di razzi alle provocazioni degli Houti dello Yemen del nord come unico garante occidentale per il controllo controllo del Bab el Mandeb . Infine ha operato militarmente nel sud della Siria, quasi ai confini con la Giordania per difendere una sua postazione militare (900 militari) vicina a pozzi petroliferi di interesse energetico oltre che strategico. In una facile quanto veritiera sintesi il governo Biden è riuscito a liberarsi di Assad, ad indebolire il fronte russo-cinese, ad immobilizzare la repubblica degli ayatollah. In altri termini, grazie al suo sostegno all’alleato israeliano ha creato le basi per ridisegnare i rapporti di forza in Medio oriente, nel bacino del Mediterraneo, così come, armando e finanziando l’Ucraina sta indebolendo la Russia. Oltretutto facendo pagare il peso della guerra nell’est dell’Europa all’Europa stessa in termini di aumento delle spese militari, in termini energetici, sottraendo tutta l’Ue alle forniture di gas e petrolio russe, in termini commerciali imponendo il divieto di trattare con Mosca su qualsiasi scambio di forniture di merci industriali o agricole, nonché di inibire qualsiasi transazione finanziaria.
L’imperialismo turco dopo la caduta di Damaso e il relativo crollo del regime di Assad si è immediatamente reso operativo per superare i confini siriani a nord est e nord ovest, nelle zone di Afrin, Tal Abyad e Ras as Alin in una sorta di penetrazione preventiva del vasto territorio nelle mani del forze democratiche curdo-siriane ( SDF) che tanto si erano date da fare per eliminare il despota di Damasco. Per Erdogan era imprescindibile produrre una mossa di quel tipo in previsione di annientare la presenza curda a sud dei suoi confini, con la solita scusa di terrorismo in quanto le forze dello SDF sarebbero state in stretto contatto con il PKK, eterno spauracchio curdo domestico di Ankara. Altra importante occasione per rimestare nelle macerie di quello che per 70 anni è stato un ostacolo alle sue mire espansionistiche, mettere le mani anche sulle questioni negoziali del prossimo governo, presieduto in via transitoria, da Mohammed al Bashir, per continuare ad essere la potenza militare, l’hub energetico più importante del Mediterraneo. In questa prospettiva nell’area di Manbij (territorio sotto l’influenza delle forze curdo-siriane, l’esercito Nazionale siriano, con la ingombrante gestione della Turchia, hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco, ufficialmente per difendere la popolazione locale. Nei fatti Erdogan ha ritenuto opportuno mettere le mani su questi accordi sia per controllare le forze curdo-siriane, sia per avvicinarsi alle coste mediterranee della Siria, agli strategici porti di Tartus e Latakia, in gestione russa ma in via di dismissione, controllando il vicino e strategico retroterra di cui Manbij è il capoluogo. Non da ultimo si è recato recentemente nel Corno d’Africa (Gibuti) per tentare di consolidare il suo ruolo anche nel cuore del Mar Rosso nonostante l’agguerrita presenza degli imperialismi euro asiatici.
Infine per i vincitori ci sarà il business della ricostruzione in tutti i teatri di guerra del Medio oriente. Dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania, dal Libano alla Siria. Ne saranno esclusi ovviamente gli imperialismi perdenti, l’Iran e la Russia. Per Mosca ci sarà il grave problema di dover rimpiazzare i porti siriani di Tartus e Latakia, anche se Mohamed al Jolani, in versione “democratica” ha espresso inizialmente la possibilità di trattare con Mosca della sua permanenza. Ipotesi di difficile praticabilità perché troverà la strenua avversione di Israele, degli Stati Uniti e della stessa Turchia che non vedono l’ora di cancellare la presenza russa dal Mediterraneo. Tant’è che Putin si è immediatamente attivato per correre ai ripari dirigendosi in Libia alla corte di Haftar nella speranza di ottenere ospitalità per la sua flotta militare.
L’attore imperialista cinese non si è presentato, almeno ufficialmente né sul palcoscenico europeo né su quello medio-orientale. Non ha lesinato le critiche alla devastante determinazione israeliana, ha ribadito l’alleanza con Mosca ma ha concentrato i suoi strali e le sue mosse militari contro gli Usa nel teatro dell’Indo-pacifico. Nel consueto discorso di Capodanno rivolto alla alla nazione, il presidente cinese Xi Jinping ha fermamente dichiarato che "nessuno può fermare" l'unificazione con Taiwan. Secondo Xi, usando una vecchia formula, "i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sono un'unica famiglia. Nessuno può recidere i nostri legami di sangue e nessuno può fermare la tendenza storica della riunificazione della madrepatria", lanciando il messaggio sui media statali. Per cui Xi non ha gradito che l’Amministrazione Biden, negli ultimi giorni del suo mandato, avesse approvato l'ennesimo rifornimento di materiale militare a Taipei per un ammontare di 571 milioni di dollari ai quali si sommano altri 295 stanziati dal Ministero della Difesa. In aggiunta, per il 2025 il budget del Pentano salirà a 895 miliardi di dollari nella previsione di un ulteriore aiuto a Taiwan. La risposta di Xi non poteva che essere dura e minacciosa:“Una mossa pericolosa che mina stabilità e pace nello Stretto” accusando gli Usa di”star giocando col fuoco”
Intanto si accumulano le navi cinesi che controllano lo stretto di Taiwan con la partecipazione di navi russe, e sulle due sponde del mar cinese si esibiscono come trofei i nuovi missili intercontinentali a testate nucleari (di fabbricazione cinese ed americana) come reciproca deterrenza, per il momento. (fonte ISPI). Ecco la ragione per la quale Pechino ha disertato i due teatri di guerra per concentrarsi su quello che più le preme e che gli stessi Usa temono come il vero e definitivo conflitto che dovrà determinare l’imperialismo vincitore.
Per tornare in MO. per centinaia di migliaia di diseredati, proletari, inermi civili non ci sarà nulla da spartire sia che appartengono ad un fronte della guerra o al suo opposto. Per loro continuerà ad esserci morte , fame e miseria come l’imperialismo mondiale impone a difesa dei suoi irrinunciabili interessi. Se andrà bene saranno gli schiavi salariati della ricostruzione a condizioni di vita basse se non infime.
Purtroppo questo sistema infame voluto da pochi, le classi dominanti, sopportato da molti, proletari e diseredati, combattuto da pochi, deve essere eliminato. Ci rivolgiamo a qui pochi che oggi resistono alla barbarie del sistema, che si oppongono al capitalismo e alle sue guerre, affinché diventino tanti e annullino i tragici privilegi di pochi. Invertendo l’ordine dei fattori il risultato cambierebbe.
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15/12/24
Inizia da qui...
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