Crisi, autoritarismo, neofascismo

Nell’ultimo anno sempre più azioni propagandistiche e violente di gruppi fascisti sono balzate agli onori delle cronache. Tra gli altri: la celebrazione dei caduti repubblichini a Milano in aprile, le proteste contro lo Ius Soli, le ronde anti-immigrati in spiaggia d’estate, l'irruzione di un manipolo di balordi nella sede di “Como senza frontiere” con annessa lettura di un delirante proclama anti-immigrazionista e la successiva irruzione alla sede di Repubblica, l'exploit elettorale di Casapound a Ostia a novembre… il tutto accompagnato, negli ultimi anni, da centinaia di aggressioni e violenze ai danni di immigrati e militanti della sinistra un po' in tutto lo stivale (tra il 2011 e il 2016, 240 denunce e 10 arresti a carico della sola Forza Nuova, cit. L'Espresso 51/2017).

Non solo gli ambienti militanti, sempre più ridotti all'osso, ma anche gli “osservatori” e i giornalisti democratici registrano, da alcuni anni a questa parte, un costante e progressivo aumento della presenza dei camerati nei territori e nelle istituzioni. Forze variegate, a seconda dei gusti: dalla più istituzionale Lega, alla “culturale” Casapound, alla catto-integralista Forza Nuova, fino a una babele di sigle tutte inequivocabilmente nazionaliste, razziste e schierate a fiera difesa della proprietà privata. Queste organizzazioni dell’estrema destra raccolgono picchiatori – di fatto o aspiranti tali – tanto, per i capi e capetti, tra figli della borghesia benestante, quanto, per la bassa manovalanza, tra i settori dell’emarginazione sociale, arrivando a strappare consensi anche in alcuni settori della classe lavoratrice, sempre più allo sbando.

Appellarsi alla democrazia violata, alla Costituzione, al rispetto dei valori della convivenza civile e del confronto democratico come fanno gli antifascisti più o meno istituzionali, per noi, ha poco o, meglio, nessun senso; il punto centrale ci sembra invece quello di cercare di capire i tratti peculiari di questo fenomeno in ascesa, tratti che ne determinano il significato in rapporto alla maturazione delle contraddizioni del capitalismo odierno e della sua crisi.

Il fenomeno dell'avanzata della destra estrema non è solo fenomeno Italiano bensì, almeno, europeo. Forze nazionaliste e razziste stanno occupando settori sempre più significativi della vita politica nell'Est Europeo, in Grecia, in Francia, Germania, le forze di estrema destra sono un pilastro del Governo austriaco, occupando tre ministeri chiave... fino all'elezione del razzista Trump negli USA, al ripresentarsi di governi che rivendicano la continuità con le dittature degli anni ‘70 in Sud America, per non citare molti paesi dell’ex Unione Sovietica.

Il dato più significativo che accomuna tutta questa feccia, figliastra legittima del capitalismo contemporaneo, ovvero della sua crisi, della sua irrazionalità e anarchia di mercato, è il tentativo di scaricare politicamente sugli immigrati e sui alcuni settori – tra cui quelli più emarginati – della società (zingari, omosessuali, comunisti, ebrei, barboni...) la responsabilità di un decadimento generale e, nello specifico, delle condizioni economiche e sociali per la popolazione lavoratrice e disoccupata. Ma noi sappiamo che tutto questo è la naturale conseguenza dello “sviluppo” del modo di produzione capitalista. Così, puntando il dito verso un nemico che non è mai il sistema che genera tale barbarie, si è iniziato – ad onor del vero a partire da Israele – ad erigere muri, barriere per arginare l'ondata migratoria, facendo leva sugli istinti più bassi delle popolazioni, sulle paure, per fomentare il nazionalismo, tentando in tal modo di presentare l’appartenenza ad una fantomatica comunità nazionale come la ricetta alle brutture del mondo moderno. Nel frattempo, è storia dell’ultimo anno, il “fronte del contrasto all'immigrazione” – la vera e propria guerra agli immigrati – viene sempre più spostato verso sud, dai muri per ostacolare la rotta balcanica, agli hot spot ai respingimenti nel Mediterraneo, fino agli interventi militari nell'area sub sahariana, passando attraverso finanziamenti milionari a regimi criminali come quello turco o libico.

Da ormai quasi 50 anni, il capitalismo sta vivendo la sua più lunga e profonda crisi di sempre, la cui spirale produce disoccupazione, tagli, aumento della concorrenza, bolle speculative, guerre, immigrazioni etc..., esprimendosi via via più velocemente, senza soluzione di continuità e il mondo ne sta risultando sempre più profondamente trasformato. Ovunque vi è disoccupazione di massa, sottoccupazione, precariato, i giovani fanno sempre più fatica ad entrare nel mercato del lavoro, mentre le riforme pensionistiche obbligano i vecchi a morire sul lavoro e del lavoro, i tagli e le privatizzazioni stanno devastando il welfare, dove era presente. È per gestire queste condizioni sociali sempre più pesanti e le tensioni che inevitabilmente ne derivano, che tutti i governi, indipendentemente dal loro colore politico formale, stanno portando avanti politiche sempre più autoritarie, attraverso le quali lo Stato diventa di anno in anno più aggressivo rispetto alle condizioni economiche, autoritario nell'apparato legislativo, repressivo e violento nelle piazze. Questo in Occidente; il “Sud del mondo”, fonte tra l'altro di alcune tra le principali materie prime da cui dipende la produzione industriale capitalista, è sempre più teatro di guerre devastanti (le immagini della città di Aleppo sono negli occhi di tutti), i progetti di sviluppo dei “paesi in via di sviluppo” sono da tempo abortiti. Insomma, il quadro offerto dalla crisi del capitalismo contemporaneo è un quadro nel quale le tensioni sociali, le guerre e l'immigrazione continueranno ad aumentare, facendo lievitare le contraddizioni sociali sulla base delle quali la destra cerca di crescere, di radicare il suo stupido messaggio di odio e violenza, ma anche il suo ideale di genuino servilismo verso i più potenti, contro i più deboli.

Tornando in Occidente, dagli anni ‘90 abbiamo assistito al costante declino delle sinistre che hanno totalmente smesso di riferirsi, seppure platonicamente, ad un’alternativa di sistema. Le forze della sinistra che si erano illuse di “assaltare” lo stato a colpi di riforme e partecipazioni elettorali hanno dimostrato – ultimo Tsipras in Grecia – la miseria e il fallimento al quale è destinato ogni delirio riformista e opportunista. Il terreno perso dalla sinistra nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle scuole diventa terreno di conquista per il neofascismo... tanto che larga parte del programma riformista della sinistra è stata fatta proprio dalla destra: centri sociali e occupazioni abitative, assistenza alle fasce più povere della popolazione, distribuzione di cibo, salario sociale, lotta ad alcune riforme governative... ma in chiave razzista e patriottarda e strumentale alla loro crescita elettorale.

Nel quadro che abbiamo cercato di delineare dovrebbero essere chiari tre fattori:

  1. La deriva autoritaria, razzista, violenta delle politiche Statali non è la conseguenza dell'emergere delle forze neofasciste, ma, esattamente al contrario, è la normale risposta dello Stato borghese alla possibilità dell’emergere delle tensioni sociali; è tale tendenza autoritaria dello Stato “democratico” contemporaneo a favorire e proteggere l'emergere di formazioni politiche nazional-patriottiche.
  2. Non avendo i governi e gli stati nessun mezzo per spegnere le tensioni sociali prodotte dalla crisi, dal capitalismo e dalla divisione in classi della società, l'unico modo per evitare che l'odio e la rabbia delle grandi masse si possa rivolgere contro i potenti, i governi e i padroni, è favorire l'odio contro l'immigrato, giocare la carta del nazionalismo, del patriottismo, in ultima istanza stimolare lo schieramento delle popolazioni lavoratrici e disoccupate sui fronti della borghesia ed eventualmente della guerra imperialista.
  3. La falsa convivenza democratica delle fasi di sviluppo economico lascia lo spazio al vero autoritarismo statale con l'avanzare della crisi. Questo è quanto abbiamo imparato a partire dal periodo tra le due guerre mondiali, questo è quanto abbiamo osservato negli ultimi 70 anni nei quali il sistema politico ed economico capitalista ha dimostrato ripetutamente, ad ogni latitudine, il suo costante fallimento.

Il problema del diffondersi delle organizzazioni squadristiche pone ai rivoluzionari due ordini di problemi politici, uno immediato, l'altro di prospettiva. Il primo è la difesa degli spazi di agibilità politica residua, la denuncia della violenza fascista contro i più poveri e gli immigrati, pratica che non può in alcun modo essere confusa con l'antifascismo militante, democratico per definizione, ma deve essere caratterizzata come normale pratica dei rivoluzionari di denuncia ed organizzazione contro i cani da guardia del Sistema del profitto e dello sfruttamento. Il secondo aspetto, di prospettiva, fa perno sul rilancio di una prospettiva rivoluzionaria e anticapitalista, perché questi servi del capitale non solo non sono portatori di nessuna alternativa al capitalismo, ma ne sono i più conseguenti interpreti e difensori – basti considerare il comprovato e strettissimo legame che hanno con le forze dell'ordine. Per questo i comunisti devono far rivivere e organizzare nella classe il senso dell'alternativa e del comunismo in opposizione alle buffonate politiche di destra e di sinistra, la centralità della lotta tra le classi in opposizione all'idiozia della comunità e della solidarietà nazionale, la fratellanza tra i lavoratori e i disoccupati di tutti i paesi in opposizione al patriottismo e allo schieramento delle classi sfruttate sui fronti della guerra imperialista.

Lotus
Martedì, January 2, 2018