Socialisme ou Barbarie

Pubblichiamo, sempre nel panorama della elaborazione teorica dei gruppi della Sinistra internazionale, un estratto del manifesto del raggruppamento francese «Socialisme ou Barbarie», apparso sul primo numero della rivista omonima. «Socialisme ou Barbarie» rappresenta un nucleo marxista rivoluzionario che maggiormente si sforza, sul piano della sinistra internazionale, per la definizione dei compiti dell'avanguardia della classe operaia.

Un secolo dopo il «Manifesto Comunista», trent'anni dopo la Rivoluzione Russa il movimento rivoluzionario dopo aver conosciuto clamorose vittorie e profonde disfatte, sembra scomparso, quasi un corso d'acqua che avvicinandosi al mare si disperde in acquitrini e infine svanisce nella sabbia. Non si è mai parlato tanto come oggi di «Marxismo», di «Socialismo», di classe operaia e di un nuovo periodo storico; e mai il vero marxismo è stato più beffato, il socialismo tanto vilipeso, e la classe operaia tanto venduta e tradita da coloro che si richiamano ad essa. Sotto le forme in apparenza più diverse, ma in fondo identiche, la borghesia «riconosce» il marxismo, tenta di snaturarlo accettandone una parte, riducendolo al rango di una concezione tra le altre. La trasformazione dei grandi rivoluzionari in icone inoffensive, di cui Lenin parlava quarant'anni fa, si effettua oggi ad un ritmo accelerato, e Lenin stesso non sfugge alla sorte comune. Il «Socialismo» sembra essere stato realizzato in paesi che contano 400 milioni di abitanti e quel tipo di «socialismo» appare come inseparabile dai campi di concentramento, dallo sfruttamento sociale più intenso, dalla dittatura più atroce, dal cretinismo più diffuso.

Nel resto del mondo la classe operaia si trova di fronte ad una grave e costante svalutazione del suo livello di vita; le sue libertà e i suoi diritti elementari, strappati a costo di lunghe lotte allo Stato capitalista, sono aboliti o gravemente minacciati. Si comprende sempre più chiaramente che siamo usciti dalla guerra solo per cominciarne un'altra, che sarà secondo l'avviso comune la più catastrofica e la più terribile che non si sia mai vista. La classe operaia è organizzata nella maggior parte dei paesi in sindacati e partiti giganteschi raggruppanti decine di milioni di aderenti; ma questi sindacati e questi partiti giocano sempre più apertamente e sempre più cinicamente il ruolo diretto di agenti del padronato e dello Stato capitalista, o del capitalismo burocratico che regna in Russia.

Un secolo fa il movimento operaio rivoluzionario si costituiva per la prima volta ricevendo dalla penna geniale di Marx e di Engels la sua prima carta: «Il Manifesto Comunista». Nulla indica meglio la solidità e la profondità di questo movimento, nulla può riempirci maggiormente di fiducia nei riguardi del suo avvenire quanto il carattere fondamentale e definitivo delle idee sulle quali si è costituito. Comprendere che la storia dell'umanità presentata sino a quel momento come una successione di casi, il risultato dell'azione dei «grandi uomini» o il prodotto dell'evoluzione delle idee, non è che la storia della lotta di classe; che questa lotta tra sfruttati e sfruttatori si svolgeva ad ogni epoca nel quadro dato dal grado di sviluppo tecnico e dei rapporti economici creati dalla società; che il periodo attuale è il periodo della lotta tra la borghesia e il proletariato, classe oziosa, sfruttatrice e oppressiva la prima, classe produttiva, sfruttata ed oppressa la seconda; che la borghesia sviluppa sempre maggiormente le forze produttive e la ricchezza della società, unifica l'economia, le condizioni di vita e la civiltà di tutti i popoli, mentre accresce per gli schiavi la miseria e l'oppressione; comprendere che non solo sviluppando le forze produttive e la ricchezza sociale, ma anche una classe sempre più numerosa, più coerente e più concentrata di proletari, che essa stessa spinge alla rivoluzione, l'era borghese ha permesso per la prima volta di porre il problema dell'abolizione dello sfruttamento e della costruzione di un nuovo tipo di società, non più partendo dai desideri soggettivi di riformatori sociali, ma dalle possibilità reali create dalla stessa società; comprendere che per questa rivoluzione sociale la forza motrice essenziale non potrà essere che il proletariato, spinto dalle sue condizioni di vita e dalla sua lunga pratica nel seno della produzione e dello sfruttamento capitalista, a distruggere il regime dominante e a ricostruire la società su basi comuniste. Comprendere e mostrare tutto questo con una chiarezza accecante, ecco il grande merito del «Manifesto Comunista.» e del marxismo nel suo insieme.

Ma se fin dall'inizio il marxismo ha potuto tracciare il quadro e l'orientamento del pensiero e dell'azione rivoluzionaria nella società moderna, se ha potuto anche prevedere e predire la lunghezza e le difficoltà della strada che il proletariato deve percorrere prima di giungere alla sua emancipazione, tanto l'evoluzione del capitalismo quanto lo stesso sviluppo del movimento operaio hanno fatto sorgere nuovi problemi, fattori imprevisti e imprevedibili, compiti insospettati prima, sotto il peso dei quali il movimento organizzato si è piegato, per giungere alla sua attuale scomparsa. Prendere coscienza di questi compiti, rispondere a questi problemi, ecco il primo obbiettivo sulla strada della ricostruzione del movimento proletario rivoluzionario.

A grandi linee si può dire che la differenza profonda tra la situazione attuale e quella del 1848 è data dall'apparizione della burocrazia in quanto strato sociale tendente ad assicurare il cambio della borghesia tradizionale nel periodo di declino del capitalismo. Nella cornice del sistema mondiale di sfruttamento, e pur continuando a mantenere le caratteristiche più profonde del capitalismo, sono apparse forme nuove della economia e dello sfruttamento, che rompono formalmente con la tradizionale proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione e si, accostano esteriormente ad alcuni degli obbiettivi che il movimento operaio si era proposti: la statizzazione o nazionalizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, la pianificazione dell'economia, il coordinamento internazionale della produzione. Contemporaneamente e legata a queste forme nuove di sfruttamento appariva la burocrazia, formazione sociale i cui germi esistevano già prima ma che ora per la prima volta si cristallizzava e si affermava come classe dominante in una serie di paesi e precisamente come l'espressione sociale di queste nuove forme economiche. Questo cambio della borghesia tradizionale da parte della nuova burocrazia in una serie di paesi è tanto più importante in quanto la radice della burocrazia sembra nella maggior parte dei casi essere lo stesso movimento operaio. Inoltre. sono gli obbiettivi del movimento operaio stesso quali la nazionalizzazione, la pianificazione etc. che sembrano venir realizzati da questa burocrazia e nello stesso tempo formare la base migliore per il suo dominio.

Cosi il risultato più chiaro di un secolo di sviluppo dell'economia e del movimento operaio sembra essere il seguente: da una parte, le organizzazioni - sindacati e partiti politici che la classe operaia creava costantemente per la sua emancipazione -si trasformavano regolarmente in strumenti di mistificazione e producevano inevitabilmente degli strati che si elevavano sul dorso del proletariato per risolvere la questione della loro propria emancipazione, sia integrandosi al regime capitalista, sia preparando e realizzando la loro propria ascesa al potere. D'altra parte una serie di misure e di articoli di programma, considerati prima come progressivi oppure come radicalmente rivoluzionari - la riforma agraria, la nazionalizzazione della produzione, il monopolio del commercio estero, il coordinamento economico internazionale - sono stati realizzati sovente dall'azione della burocrazia operaia, a volte anche dal capitalismo nel corso del suo sviluppo - senza che ne risulti per le masse lavoratrici altra cosa che uno sfruttamento più intenso, meglio coordinato e per meglio dire razionale.

I. Borghesia e burocrazia

La crisi del 1929 è esplosa con una violenza senza precedenti nella lunga storia delle crisi capitalistiche e può essere definita come l'ultima delle classiche crisi cicliche e l'entrata nel periodo di crisi permanente del regime capitalista che in seguito non ha più saputo ritrovare un equilibrio anche limitato e temporaneo.

I paesi imperialisti europei maggiormente maturi e provvisti di colonie si sono rivelati definitivamente incapaci di affrontare la concorrenza sul mercato mondiale.

Si apriva un nuovo periodo nel processo di concentramento mondiale delle forze produttive. Fino a quel momento il mondo era diviso tra molti paesi e gruppi di paesi imperialisti rivali che vivevano in una successione di stadi passeggeri di equilibrio e di squilibrio economico, politico e militare. Ci si orientava ora verso il dominio universale di un solo paese imperialista, il più forte economicamente e militarmente. La lenta e graduale convergenza del capitale e dello Stato, che si era manifestata dopo l'inizio dell'era industriale e sopratutto dopo il regno dei monopoli, si trovava ora considerevolmente accelerata.

L'economia imperialista «nazionale» diventando un tutto che dovrebbe bastare a se stesso, lo Stato capitalista, senza perdere il ruolo di strumento di coercizione politica, ne acquistava un altro che divenne ogni giorno più importante: esso si trasformava in un organo centrale di coordinamento e di direzione dell'economia. Le importazioni e le esportazioni, la produzione e il consumo dovevano essere regolate da una istanza centrale che esprimesse l'interesse generale degli strati monopolistici. Così l'evoluzione economica dal 1930 al 1939 è caratterizzata dall'importanza crescente del ruolo economico dello Stato in quanto organo supremo di coordinamento e di direzione dell'economia capitalistica nazionale e degli inizi della fusione organica tra il capitale monopolistico e lo Stato. E non è un caso se in Europa le espressioni più complete di questa tendenza sono state realizzate nei paesi che, per la mancanza di colonie, si trovavano nella posizione più sfavorevole in rapporto agli altri imperialismi, cioè nella Germania nazista e nell'Italia fascista.

La politica di Roosvelt negli Stati Uniti d'America rappresentava la medesima tendenza nel quadro di un capitalismo molto più solido. Ma questo breve periodo di ripiegamento sulle economie nazionali non è in realtà che una transizione passeggera. Questa reazione e l'autarchia che essa si proponeva come rimedio erano completamente utopistiche.

La prova fu fornita dalla Seconda Guerra Mondiale. Fu il capitale tedesco che tentò di giocare un ruolo unificatore, subordinando e raggruppando attorno a sé il capitale europeo. Non si trattava più, come durante la Prima Guerra Mondiale, di una nuova «divisione» del mondo. Gli obbiettivi della guerra erano molto più vasti: si trattava dell'annessione, a profitto dell'imperialismo vincitore, non solo dei paesi arretrati, dei mercati etc. ma dello stesso capitale degli altri paesi imperialisti, nel tentativo di organizzare l'insieme dell'economia e della vita del mondo in vista degli interessi di un gruppo imperialista dominatore. La disfatta della coalizione dell'«Asse» lasciò il campo aperto agli «Alleati» per il dominio mondiale. Ma se la Prima Guerra Mondiale non aveva dato che una soluzione passeggera ai problemi che l'avevano provocata, la fine della Seconda Guerra Mondiale non ha fatto che porre di nuovo in un modo molto più profondo, intenso ed urgente i problemi che erano alla sua origine.

Il fallimento di tutti gli imperialismi secondari e delle strutture «autarchiche» in Europa è diventato dieci volte più evidente e più acuto che prima. Gli imperialismi europei si sono dimostrati definitivamente incapaci, tanto di competere con la produzione sul mercato mondiale, quanto di vivere delle proprie risorse. Essi hanno riconosciuto che da questo momento in avanti non possono vivere che legati allo Zio Sam e sotto la sua tutela. Ma sopratutto la guerra ha messo a nudo l'ultima grande opposizione che sconvolge il sistema mondiale di sfruttamento: l'antagonismo e la lotta tra l'America e la Russia per il dominio universale.

Nel periodo attuale il concentramento supera la fase monopolistica e prende un aspetto nuovo: all'interno di ogni paese lo Stato diventa il perno della economica, sia perché l'insieme della produzione e della vita sociale è statizzato come in Russia e negli altri paesi satelliti, sia perché i raggruppamenti capitalisti dirigenti sono costretti ad utilizzare lo Stato come il miglior strumento di controllo e di direzione dell'economia nazionale come nei paesi del resto del mondo.

Ma il grande capitale non si è ancora identificato completamente allo Stato: formalmente, possesso e gestione dell'economia da una parte, possesso e gestione dello Stato dall'altra parte, rimangono distinti e solo l'identificazione del personale dirigente assicura il completo coordinamento.

D'altra parte la pianificazione dell'economia rimane confinata all'interno di ogni ramo della produzione: non fu che durante la Seconda Guerra Mondiale che l'economia venne sottomessa ad un coordinamento d'insieme, coordinamento che in seguito ha registrato un nuovo arretramento.

Nella zona russa e sopratutto nella stessa Russia il concentramento delle forze produttive è completo. Il beneficiario dello sfruttamento del proletariato è una immensa e mostruosa burocrazia (burocrati politici ed economici, tecnici ed intellettuali, dirigenti del partito «comunista», dei sindacati e dei militari etc.). La «pianificazione» dell'economia negli interessi della burocrazia è assolutamente generale. Sul piano dell'assoggettamento degli Stati secondari, gli Stati satelliti della Russia sono completamente assimilati a questa per quanto riguarda il loro regime economico e sociale, e la loro produzione è direttamente orientata secondo gli interessi economici e militari della burocrazia russa. Paragonato al «Piano Molotov» il Piano Marshall nella zona americana non è che un inizio del processo di assoggettamento che ha ancora una serie di tappe da percorrere e che non potrà completarsi se non attraverso la Terza Guerra Mondiale. Ma queste differenze, per profonde che possano essere, non devono far dimenticare che il loro sviluppo conduce i due sistemi ad identificarsi. La tendenza inesorabile delle classi dominanti, nell'uno e nell'altro sistema, ad aumentare i loro benefici e la loro potenza li obbliga sempre a cercare un terreno più esteso per esercitarvi il loro saccheggio. Così la guerra per il dominio mondiale diventa la forma ultima e suprema della concorrenza tra le produzioni concentrate. Allo stadio del concentramento totale, la concorrenza si trasforma direttamente in lotta militare, e la guerra totale sostituisce la competizione economica in quanto espressione tanto dell'opposizione degli interessi delle classi dominanti quanto della tendenza verso un concentramento universale delle forze produttive imposta dallo sviluppo economico.

Se il proletariato non interverrà per sopprimere questa opposizione e le sue basi, non solo la guerra sarà inevitabile ma sarà inevitabile anche l'unificazione del sistema mondiale di sfruttamento delle masse lavoratrici.

La guerra sarà comunque una svolta definitiva nell'evoluzione della società moderna, chiunque sia il vincitore. Essa accelererà l'evoluzione di questa società verso la barbarie a meno che l'intervento delle masse sfruttate e massacrate del mondo intero glielo impedisca, a meno che la rivoluzione proletaria mondiale invada la scena della storia per sterminare gli sfruttatori e i loro agenti e per ricostruire la vita sociale dell'umanità utilizzando, per liberare l'uomo e permettergli di crearsi lui stesso il proprio destino, le ricchezze e le forze produttive che la società attuale, dopo averle portate ad un punto sino ad ora sconosciuto, è incapace di impiegare altrimenti che come strumenti di sfruttamento, di oppressione, di distruzione e di miseria.

La sorte della umanità e della civiltà dipende direttamente dalla rivoluzione.

II. Burocrazia e proletariato

Sin dall'inizio della sua storia il capitalismo tende a fare del proletariato una materia prima dell'economia, un ingranaggio delle sue macchine.

Nell'economia capitalista l'operaio è un oggetto, una merce, e il capitalista cerca di acquistare la forza lavoro al prezzo più basso, poiché per lui l'operaio non è un uomo che debba vivere la propria vita, ma una forza lavoro suscettibile di produrre un profitto. Come per tutte le merci il capitalista cerca di estrarre dall'operaio il massimo di utilità, e per questo gli impone la più lunga giornata di lavoro possibile e il ritmo di produzione più intenso. Ma il sistema capitalista non può lasciare corso libero e illimitato alla sua tendenza fondamentale verso lo sfruttamento totale. Innanzi tutto questa tendenza è già in contraddizione con l'obbiettivo della produzione. Infatti la realizzazione completa dell'obbiettivo capitalista, che è lo sfruttamento illimitato della forza lavoro si oppone ad un altro obbiettivo capitalista egualmente essenziale: l'aumento della produttività. Se l'operaio è, anche dal punto di vista economico, qualcosa di più di una macchina, lo è perché produce per il capitalista più di guanto gli costi, e sopratutto perché dimostra nel corso del suo lavoro la creatività, la capacità di produrre sempre più e sempre meglio, capacità che le altre classi produttive dei periodi storici precedenti non possedevano. Quando il capitalista tratta il proletariato come un gregge di bestiame, egli impara rapidamente a proprie spese che questo bestiame non può rivestire la funzione dell'operaio, poiché la produttività degli operai supersfruttati si abbassa velocemente.

È qui che risiede la radice profonda delle contraddizioni del sistema moderno di sfruttamento e la ragione storica del suo insuccesso, della sua incapacità a trovare un equilibrio. Ma - e questo è ancora più importante - il sistema capitalista cozza con il proletariato in quanto classe cosciente dei suoi interessi; l'operaio prende rapidamente coscienza di questo fatto: che nell'economia capitalista deve produrre sempre più e costare sempre meno; e nella misura in cui comprende che lo scopo della sua vita non è di essere soltanto una fonte di profitto per il capitalista, da semplice sfruttato egli diventa cosciente dello sfruttamento e reagisce.

Mentre il regime capitalista produce e riproduce su una scala sempre più vasta lo sfruttamento, la lotta degli operai tende a diventare lotta per l'abolizione completa della sfruttamento. Questa lotta non è originaria della classe operaia; essa è esistita da quando esistono classi sfruttate. Quello che è proprio della lotta della classe operaia contro lo sfruttamento è che, da una parte, si sviluppa in un quadro che le permette la realizzazione del suo obbiettivo, poiché l'estremo sviluppo della ricchezza sociale e delle forze produttive permettono ora positivamente la costruzione di una società dalla quale siano assenti gli antagonismi economici; inoltre, che la classe operaia si trova nelle condizioni che le permettono di intraprendere e di portare al successo questa lotta.

Con il proletariato appare per la prima volta una classe sfruttata che dispone di una immensa forza sociale in grado di prendere coscienza della propria situazione e dei propri interessi storici. Gli operai, vivendo e producendo collettivamente, passano rapidamente dalla reazione individuale alla reazione e all'azione collettiva contro lo sfruttamento. Sapendo che essi sono i soli veri produttori, comprendendo il ruolo parassitarlo del padrone, essi arrivano a darsi come obbiettivo non solo la limitazione dello sfruttamento, ma la sua soppressione totale e la ricostruzione della società su basi comuniste, una società che sarà diretta dai produttori stessi e nella quale tutti i redditi proverranno dal lavoro produttivo.

È così che dagli inizi della sua storia la classe operaia tenta esperimenti grandiosi di soppressione della società di sfruttamento e della costruzione di una società proletaria, esperimento il cui esempio più avanzato è stato durante il XIX secolo la «Comune di Parigi». Questi esperimenti finiscono tutti in un insuccesso poiché le condizioni dell'epoca non sono ancora mature, poiché l'economia è insufficientemente sviluppata, poiché il proletariato stesso è ancora numericamente debole e non ha che una coscienza vaga dei mezzi che deve impiegare per arrivare ai propri scopi.

La Rivoluzione d'Ottobre soccombette alla controrivoluzione burocratica sotto la pressione combinata di fattori interni ed esterni, di condizioni oggettive e soggettive, che si collegano tutte a questo nucleo fondamentale: tra la seconda e la terza decade di questo secolo, né l'economia né la classe operaia erano mature per l'abolizione dello sfruttamento. La rivoluzione anche se vittoriosa, essendo isolata in un solo paese, non poteva essere che rovesciata; se non era dall'esterno attraverso l'intervento armato degli altri paesi capitalisti o dalla guerra civile, essa doveva esserlo dall'interno, attraverso la trasformazione del carattere del potere da essa stessa generato. La rivoluzione proletaria può riuscire nell'instaurazione del socialismo a condizione che essa sia mondiale... Questo non significa che essa deve essere simultanea in tutti i paesi del mondo, ma semplicemente che, cominciata in uno o più paesi, deve estendersi costantemente sino alla distruzione del capitalismo su tutta la terra. Questa idea, comune a Marx e a Lenin, a Trotsky e a Rosa Luxemburg, non è né una allucinazione di teorici, né il risultato della mania del sistema.

Il potere operaio e il potere capitalista sono inconciliabili sia all'interno di un paese che sul piano internazionale. Il socialismo non è un regime ideale immaginato da sognatori benevoli o da riformatori chimerici, ma una prospettiva positiva la cui possibilità di realizzazione si basa sullo sviluppo della ricchezza nella società capitalista.

La constatazione secondo la quale il socialismo è impossibile al di sotto di un certo grado di sviluppo delle ricchezze, per fondamentale che possa essere, è non di meno parziale e può condurre a conclusioni del tutto sbagliate, di cui la prima sarebbe che per definizione è impossibile instaurare un regime collettivista. Infatti è noto che mai la società capitalista svilupperà le forze produttive al punto necessario per passare immediatamente e direttamente da una economia di limitazioni ad una economia di abbondanza. Come già aveva visto Marx, tra la società capitalista e la società comunista si situa un periodo di transizione durante il quale la forma del regime non può essere altro che la dittatura del proletariato. Questo periodo di transizione può condurre al comunismo se provoca uno sviluppo rapido delle forze produttive, permettendo così da una parte un costante aumento del livello di vita delle masse, e d'altra parte una riduzione progressiva delle ore di lavoro e con questo un aumento del livello culturale delle masse stesse.

Durante questo periodo di transizione due evoluzioni sono possibili: o la società andrà in avanti delineando le tendenze comuniste dell'economia e sfociando in una società dell'abbondanza, o la lotta degli uni contro gli altri produrrà lo sviluppo contrario, l'accrescimento degli strati parassitari dapprima, di una classe sfruttatrice in seguito, e l'instaurazione di una economia di sfruttamento che riproduce sotto un'altra forma l'essenziale dell'alienazione capitalista. La realizzazione di una di queste possibilità e la soppressione dell'altra non dipendono né dal caso né da fattori sconosciuti e misteriosi, ma dipende dall'attività e dall'iniziativa autonoma delle masse lavoratrici.

In Russia, dopo il fallimento della rivoluzione comunista nei paesi occidentali, il problema della direzione e del potere dello Stato è stato risolto attraverso l'ascesa di una nuova categoria sfruttatrice: la burocrazia.

Nella nascita di questa nuova casta di privilegiati bisogna distinguere tra l'aspetto politico che ne fu l'espressione e le radici economiche infinitamente più importanti. Infatti dirigere una società moderna nella quale la grande maggioranza della produzione e soprattutto la parte qualitativamente decisiva è quella che proviene dalle fabbriche, significa innanzitutto dirigere effettivamente le fabbriche. È da queste che dipende l'orientamento e il volume della produzione, il livello dei salari, il ritmo del lavoro, e in una parola tutte le questioni la cui soluzione determina l'evoluzione della struttura sociale.

Ma per questo è necessario che il proletariato in quanto classe sia soprattutto l'arbitro dell'economia, sia sul piano della direzione generale che sul piano particolare di ogni fabbrica - due aspetti della stessa questione - .

Noi sappiamo ora che in Russia il «controllo operaio», formula che sostituiva l'effettiva direzione dell'economia da parte del proletariato, non ha avuto per risultato che il conflitto tra le masse dei lavoratori e la burocrazia largamente sviluppantesi; e si è risolto a profitto di quest'ultima. I tecnici e gli «specialisti» del vecchio regime mantenuti al loro posto per svolgervi compiti tecnici si sono fusi con il nuovo strato degli amministratori usciti dai ranghi dei sindacati e del partito e hanno richiesto il potere senza controllo. È in questo modo che le fondamenta economiche della nuova burocrazia sono state poste.

La ricaduta verso un regime di sfruttamento, risultato dalla degenerazione della rivoluzione non poteva esprimersi che in una nuova forma, attraverso l'ascesa al potere di un strato esprimente le nuove strutture economiche imposte dal movimento naturale della concentrazione. È in questo modo che la burocrazia passò alla statizzazione completa della produzione ed alla "pianificazione", cioè all'organizzazione sistematica dello sfruttamento dell'economia e del proletariato. Essa ha potuto così sviluppare considerevolmente la produzione russa, sviluppo che le è stato imposto dal bisogno di accrescere il proprio consumo improduttivo e soprattutto dalle necessità di espansione del suo potenziale militare simmetrico, distaccandosi completamente dalla classe operaia e perdendo ogni carattere rivoluzionario.

Essi si trasformarono gradualmente in strumenti tanto della politica estera della burocrazia russa quanto degli interessi degli strati allargati della burocrazia sindacale e politica dei rispettivi paesi, che la crisi e la decadenza del regime capitalista staccava dal regime stesso e dai rappresentanti riformisti tradizionali.

Ma il movimento operaio non si arresta qui.

La natura della burocrazia staliniana in quanto classe sfruttatrice viene acquisita istintivamente all'inizio, e coscientemente in seguito, da un numero sempre maggiore di operai di avanguardia. Malgrado la comprensibile mancanza di informazioni precise è evidente che il silenzio impressionante delle masse che viene dall'est e che le mille voci della demagogia staliniana non arrivano a coprire non fa che tradurre le condizioni di terrore mostruoso e l'odio che i lavoratori dei paesi dominati dalla burocrazia consacrano ai loro assassini Difficilmente possiamo supporre che i proletari russi conservino delle illusioni sul regime che li sfrutta, o su qualsiasi altro regime che non sia l'espressione del loro proprio potere. Nel medesimo tempo gli operai che hanno lungamente seguito i partiti staliniani nei paesi capitalisti cominciano a comprendere che la politica di questi partiti serve sia gli interessi della burocrazia russa che quelli della burocrazia locale, ma non i loro. In Francia e in Italia in modo particolare, la diserzione crescente degli operai dai partiti «comunisti» traduce questa coscienza ancora confusa.

Ma nonostante lo smarrimento molti sintomi ci dicono che la classe si trova di frante ad una svolta decisiva della sua evoluzione politica, e che essa comincia a porsi oggi molto più profondamente che nel passato e alla luce delle lezioni in esso contenute, i problemi cruciali della sua organizzazione e del suo programma, i problemi della organizzazione e del potere proletario.

III. Proletariato e rivoluzione

Tanto sotto la sua forma borghese che sotto la sua forma burocratica, il capitalismo ha creato nel mondo le premesse obbiettive per la rivoluzione proletaria.

Gli obbiettivi della rivoluzione proletaria non possono essere realizzati che dal proletariato stesso. La loro realizzazione non può essere compiuta da nessun altro. La classe operaia non può affidare la loro realizzazione nemmeno ai propri «quadri». Se non è il proletariato stesso nel suo insieme che in ogni istante mantiene l'iniziativa e la direzione delle attività sociali, durante e sopratutto dopo la rivoluzione, non saremo riusciti che a cambiare di padrone, e il regime di sfruttamento riapparirà, magari sotto altre forme, ma identico nel contenuto.

Il programma della rivoluzione proletaria non può rimanere ciò che esso era prima della Rivoluzione Russa e delle trasformazioni che hanno avuto luogo dopo la Seconda Guerra Mondiale in tutti i paesi della zona di influenza russa. Non si può continuare a credere che l'espropriazione dei capitalisti privati equivalga al socialismo e che sia sufficiente statizzare (o «nazionalizzare») l'economia per rendere impossibile lo sfruttamento.

Si è anche constatato che le statizzazioni e le nazionalizzazioni, provengano esse dalla burocrazia staliniana, dalla burocrazia laburista o dai capitalisti stessi, anziché impedire o limitare lo sfruttamento del proletariato lo intensificano unificandolo e coordinandolo.

I marxisti e Trotsky in particolare, avevano già dimostrato che a differenza della rivoluzione borghese, la rivoluzione proletaria non può limitarsi ad eliminare gli ostacoli ereditati dall'antico mondo di produzione. Per il successo della rivoluzione borghese, occorre ed è sufficiente che gli ostacoli ereditati dal regime feudale (corporazioni e monopoli feudali, proprietà feudale del suolo etc.) siano aboliti. Da questo momento il capitalismo si costruisce e si sviluppa da solo, attraverso l'automatismo dell'espansione industriale. Ma l'abolizione della proprietà borghese è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per la costruzione e lo sviluppo di una economia socialista.

A datare da questa abolizione il socialismo non può realizzarsi che coscientemente, cioè attraverso ad una azione cosciente e costante delle masse, in grado di superare la tendenza naturale a ritornare verso un regime di sfruttamento, dell'economia al punto in cui la lascia il capitalismo. Inoltre nella rivoluzione proletaria per la prima volta la classe che prende il potere non può esercitare quest'ultimo per «delega», essa non può affidarlo in un modo stabile e duraturo ai suoi rappresentanti, al suo «Stato» o al suo «partito».

Solo le masse, diceva Lenin, possono veramente pianificare, perché esse sono dovunque nello stesso tempo. La rivoluzione proletaria non può, sotto pena di fallimento, limitarsi a nazionalizzare l'economia e ad affidarne la direzione a competenti o ad un «partito rivoluzionario», anche con un controllo operaio più o meno vago. Essa deve affidare la gestione delle fabbriche e il coordinamento generale della produzione agli operai stessi, ad operai costantemente controllati, responsabili e revocabili.

L'organizzazione politica dell'avanguardia è storicamente indispensabile perché si basa sulle necessità di mantenere e di diffondere in seno alla classe la coscienza chiara dello sviluppo della società e degli obbiettivi della lotta proletaria malgrado le circostanze temporanee e le diversità corporative, locali e nazionali della coscienza degli operai. L'avanguardia organizzata considererà come suo primo compito la difesa della condizione e degli interessi degli operai, ma si sforzerà sempre di elevare il livello delle lotte, legando attraverso ogni tappa gli interessi del movimento nel suo insieme.

Di fronte alla continua decadenza ed alla crescente barbarie dei regimi di sfruttamento, una sola forza può rizzarsi in piedi nel mondo attuale, quella della classe produttrice, del proletariato socialista. Estendendosi costantemente grazie all'industrializzazione dell'economia mondiale, sempre più concentrato nella produzione, guidato dalla miseria e dall'oppressione alla rivolta contro le classi dominanti, avendo ora la possibilità di fare il bilancio delle proprie «direzioni», il proletariato matura attraverso una serie di difficoltà e di ostacoli crescenti. Ma questi ostacoli non sono insormontabili. Tutta la storia del secolo scorso prova che il proletariato rappresenta per la prima volta nella storia dell'umanità una classe che non solo si rivolta contro lo sfruttamento, ma che è positivamente capace di vincere gli sfruttatori e di organizzare una società libera ed umana. La sua vittoria e la sorte dell'umanità non dipendono che da lui solo.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.