Assenteismo o autoprotezione?

Mai come in questo periodo la stampa padronale si è accanita così tanto contro quel fenomeno, non poco complesso, che è, per usare termini cari all'informazione borghese, l'assenteismo operaio.

Esso rappresenta uno dei "mali oscuri dell'era industriale" riferisce il "Corriere della Sera" e attraverso la bocca del prof. Antoniotti ci spiega che esiste "un rilasciamento generale sui doveri che ha il lavoratore verso la società e verso se stesso. Ciò è particolarmente riprovevole nella fase in cui il nostro paese è impegnato in una azione riformatrice. I lavoratori dovrebbero capire che con l'assenteismo e la disaffezione colpiscono seriamente la produzione. Come mai tutti vogliono le riforme e nessuno vuole lavorare?".

Una domanda questa, che merita una adeguata risposta.

Una risposta non certo diretta al prof. Antoniotti che, certamente, non così tanto come sembrerebbe, conosce fin troppo bene le cause più profonde di questo "strano" comportamento dell'operaio in fabbrica.

Gli incidenti sul lavoro

Cominciamo a rispondere con delle cifre; riferiamo i dati ufficiali INAIL certamente assai eloquenti per chiarire almeno un aspetto del problema, anche se risalgono a qualche tempo fa e perciò assolutamente non aggiornati.

In Italia muoiono 10 lavoratori al giorno (3500 all'anno). L'attivo degli invalidi permanenti è, nel nostro paese, di un milione (il dato risale al 1968).

Dal 1946 al 1966 si sono avuti 22 milioni di incidenti sul lavoro e i dati, naturalmente, non si riferiscono ai casi riguardanti gli incidenti di cui son vittime ragazzi sotto i 14 anni che, specie nel Sud, costituiscono una vera piaga, una vergognosa realtà della società del profitto.

Dal '55 al '68, 46 % di aumento di infortuni. Nel '68, in particolare, gli incidenti sono stati 1.208.000 con 2500 morti; 13.000 casi di malattia professionale nel '55; 51.600 nel '68.

Di fronte a queste impressionanti cifre, i vari Antoniotti replicherebbero, e non si esentano dal farlo, che la gran parte degli incidenti sul lavoro dipendono da negligenza e disattenzione; una conseguenza insomma della cosiddetta "disaffezione al lavoro" da parte operaia.

Ma le radici dell'assenteismo non sono da ricercarsi solo in questo aspetto del problema: strettamente collegati ad esso agiscono vari fattori che si riconducono inevitabilmente al proprio punto di origine che è lo sfruttamento.

L'alienazione del lavoro

L'alienazione del lavoro è un prodotto delle condizioni stesse del lavoro; quando cioè questo, non essendo soddisfazione di reali bisogni umani, diventa costrizione, lavoro forzato; quindi una condizione esterna all'operaio stesso che, non avendo modo alcuno di esprimersi liberamente, lavorando si nega; l'attività fisica diventa assoluta passività morale.

Il lavoro rimane pertanto, un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso e "l'esteriorità del lavoro - conferma Marx - si palesa in questo: che il lavoro non è cosa sua ma di un altro; che non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a sé, bensì ad un altro".

Una prima ricerca sulle cause dell'assenteismo cade, senza alcun dubbio, sull'alienazione del lavoro che si manifesta ancor prima di osservare le condizioni particolari degli ambienti dove si svolge l'attività produttiva.

È nel tipo di rapporto di produzione capitalistico (che estranea l'individuo, il lavoratore, dalle proprie mansioni in quanto è esso stesso estraneo al rapporto), il primo elemento costitutivo della disaffezione e dell'assenteismo.

La denuncia condotta da Marx, ai tempi in cui esso viveva, rimane validissima ancor oggi; il capitalismo, pur potenziandosi a livello mondiale, lascia strutturalmente identici quei rapporti di produzione; modifica, evolve, rivoluziona i mezzi e le forze della produzione, ponendo la scienza a suo esclusivo servizio ma lo fa, tuttavia, all'interno di quei rapporti che lo accompagneranno, a prescindere dalla durata storica della sua presenza nel mondo, fino alla morte.

E il rivoluzionamento dei suddetti mezzi e forze della produzione avviene in funzione del profitto e di una sempre maggiore capacità di estorcere plus-valore, presupposti fondamentali, ieri come oggi, del suo stesso esistere.

Se le condizioni del lavoro appaiono diverse da quelle del capitalismo giovane in fase di crescita, oggi, pervenuto alla sua piena maturità, anzi alla fase parassitaria e di decadenza storica, necessita al suo sopravvivere di maggiori spinte nella produzione; accompagnate dalla ricerca di sempre nuovi mercati e, sul piano interno, dalla corsa sfrenata al consumo.

L'alto livello di produttività industriale coincide, pertanto, con la spinta alla parcellizzazione del lavoro e i ritmi lavorativi assumono velocità tali da obbligare sempre più seriamente i movimenti stessi del lavoratore.

La salute in fabbrica

È chiaro che in un siffatto contesto di tutto si potrà parlare meno che di affezione al lavoro da parte di chi, questo lavoro, è costretto a subire mortificando, per dirla con Marx, il corpo e lo spirito; sentirsi obbligato a mero ingranaggio di un meccanismo di cui è parte, la meno importante, e nel quale una distrazione, un movimento falso, un banale malessere, potrebbe essergli fatale.

Ma esistono delle misure di sicurezza idonee alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore in fabbrica?

In Italia, per esempio, sono ridotte al minimo e la totalità degli incidenti è dovuta alla quasi totale mancanza di queste o a difetti, improvvisi, delle macchine spesso vecchissime, intorno alle quali il lavoro è un rischio continuo, un continuo "giocare" con la morte.

C'è da osservare pertanto che la maggior parte degli incidenti avvengono nelle ultime ore della giornata lavorativa, o negli ultimi giorni della settimana, quando cioè, l'operaio, stordito dal rumore, ridotto a pezzi dai ritmi seguiti, fatalmente cede con i tristi risultati che tutti conosciamo.

Nemmeno gli organismi preposti a tutelare la salute in fabbrica riescono a svolgere le proprie funzioni istituzionali: in conformità agli interessi dei padroni fan sì che questi ultimi possano decidere vita e morte del lavoratore.

La salute e la vita degli operai in fabbrica, dal momento che non obbediscono alla logica del profitto, essendo possibile sostituire o ricambiare continuamente mano d'opera efficiente senza alcuna spesa, valgono meno di un soldo bucato (la riduzione dei tempi e dei ritmi e il sistema di sicurezza costerebbero di più).

A tale proposito è da rilevare la funzione assolta dal medico di fabbrica che potrebbe sembrare una tutela alla salute dei lavoratori ma che è in realtà un valido strumento di cui si serve il padrone contro i lavoratori stessi.

In base all'articolo 2087 del Codice Civile, infatti, l'imprenditore è tenuto ad adottare misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori, tenendo conto delle particolarità del lavoro, della tecnica, dell'esperienza ecc.

Ne deriva invece che il medico, dipendendo direttamente dal padrone, resterà in fabbrica solo se torna utile ai profitti di questo, riducendosi ad essere adoperato come un semplice "medico fiscale".

I sopralluoghi da parte dell'Ispettorato del Lavoro, che dovrebbe intervenire in caso di violazione delle leggi protettive, diventano una farsa bella e buona se si pensa che l'imprenditore viene sempre preventivamente avvisato e le multe inflitte sono così lievi da essere più convenienti all'adottare un adeguato sistema di prevenzione.

Per quanto riguarda le malattie contratte sul luogo del lavoro, le cosiddette malattie professionali, queste sono di esclusiva competenza del padrone (o di chi per esso), che le denuncia allorquando costituiscono una seria minaccia all'adempienza dei compiti da parte del lavoratore.

I casi più frequenti, quali la nevrosi e la psicosi invece, non solo non vengono denunciati ma non sono addirittura contemplati nella "lista" delle malattie professionali.

Assenteismo come autoprotezione

L'assenteismo - dicono i portavoce padronali - è in aumento ovunque; esso è un portato negativo della società industriale e costituisce un grave problema, una pesante minaccia per la produzione e quindi per tutta la società".

Il fenomeno, che un efficiente indicatore delle serie e preoccupanti insufficienze strutturali inerenti al luogo di produzione, e non di variabili individuali, costituisce una chiara denuncia delle condizioni dei lavoratori in fabbrica.

E queste condizioni, se pur sommariamente, abbiam visto quali sono; per tali ragioni, quindi, l'assenteismo rappresenta un mezzo di autodifesa che si assume l'operaio nei confronti dei meccanismi del sistema produttivo: una evidentissima forma di autoprotezione fisica e psichica contro il carattere alienante, frustrante e patogeno del modo di lavorare; contro lo sfruttamento che trova sempre più vaste accentuazioni nei ritmi e nei tempi di lavoro (nelle "giostre", per esempio, cioè le linee di montaggio razionalizzate al massimo, i ritmi, i tempi, i gesti, i movimenti e lo sforzo non sono legati all'individuo e neppure determinati dal cottimo individuale o di squadra, bensì dalla centralizzazione dei comandi dove viene stabilita la velocità di tutta la linea produttiva).

Un piccolo male, che in condizioni di normalità può essere facilmente sopportato, diventa un grande male nel momento in cui tutti i movimenti dell'individuo vengono meccanicamente obbligati. È questa una legge del modo capitalistico di produzione che giudica l'uomo in base alle esigenze della produzione invece di giudicare la produzione in base alle esigenze dell'uomo.

L'assenteismo è dunque, e ci sembra una tesi assai pertinente, una reazione al modo di lavorare.

Ma per Ferrari, esponente "tipo" di una certa borghesia illuminata, invece è "un fatto di comportamento che coinvolge tutti".

Dopo aver spiegato che la colpa non è tutta dell'industria e del conseguente sfruttamento, arguisce: "L'operaio entra in fabbrica e si porta con sè tutte le frustrazioni derivanti dagli squilibri sociali".

Ciò è vero. Indubbiamente. Ma forse che gli squilibri sociali non hanno le loro motivazioni più profonde nei meccanismi del rapporto di produzione?

E quando l'operaio, leso nel fisico e nella mente non ne può più, "si dà malato", sapendosi indifeso persino da quello che dovrebbe essere il suo normale mezzo di difesa, il Sindacato; la protesta, politicamente vuota dell'assenteismo, investe duramente anche i sindacati stessi.

Sentendo l'inconsistenza eli una sua azione sul piano della lotta politica, l'operaio si rifugia in queste forme di sterile e passiva opposizione al sistema produttivo.

Ma col crescere delle contraddizioni (e questa particolare fase del capitalismo sembra ben diretta verso questo senso), il rifiuto della lotta sindacale non potrà avere che un unico sbocco, un solo significato: quello della lotta rivoluzionaria per la presa del potere condotta dal proletariato con alla testa il suo Partito.

Franco Migliaccio

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.