Sui coordinamenti operai

Da Battaglia comunista n, 12 - settembre 1977

I Coordinamenti operai che qua e là sorgono come tentativo della base operaia di dare un seguito a particolari episodi di lotta al di fuori e talvolta contro i sindacati, sono - il più delle volte - il prodotto della volontà di alcune frange della sinistra extraparlamentare del 1968 (e di Lotta continua in particolare) che pur tentando di reagire al trionfante socialdemocraticismo della politica sindacale e picista, rifiutano il necessario travaglio teorico e politico attraverso il quale, solo, è possibile uscire dalla attuale fase di "impasse" del movimento operaio, che non sa dare una ragione alla lotta fuori e contro i piani di ristrutturazione e di conversione dei padroni e del sindacato. La classe non sa dare una ragione alla lotta fuori e contro i piani di ristrutturazione-riconversione della borghesia e del sindacato, pur iniziando a mostrarsi sfiduciata in essi e nelle "lotte" per il loro sostegno (vedi l'esiguità di presenza operaia durante lo sciopero del 9-10 a Milano, dove mancava per la prima volta lo striscione dell'Alfa).

La sfiducia non sa tradursi in risposta attiva per due motivi, essenziali e interconnessi:

  1. la crisi non ha ancora raggiunto il fondo e non ha ancora impresso tutti gli stimoli oggettivi alla risposta operaia;
  2. quelle che dovrebbero essere le sue avanguardie politiche non hanno ancora superato l'abisso in cui le ha precipitate un cinquantennale corso contro rivoluzionario e si attardano o restano addirittura atterrate dagli ostacoli ideologici e politici lasciati in eredità dalla terza internazionale staliniana.

Nei coordinamenti prevale così la logica politica propria ai gruppi di origine nonché la loro problematica interna. Poiché sono i gruppi politici estranei ad una linea rivoluzionaria, il tentativo di fare di questi coordinamenti le appendici sostitutive della organizzazione di fabbrica dei gruppi stessi, inficia alla base ogni possibilità di un loro orientamento rivoluzionario.

In altri casi siamo di fronte a raggruppamenti autonomi - sganciati cioè da qualsiasi esperienza od organizzazione di gruppo. In essi si nota con maggiore evidenza il prevalere del concretismo immediatista che pretende di risolvere i problemi nodali della classe attraverso la conduzione di “esperienze concrete di lotta” a prescindere e in falsa alternativa al dibattito chiarificatore.

Fenomeni di questo genere non possono essere spiegati semplicisticamente attraverso un giudizio moraleggiante sulla vacuità delle posizioni e dei personaggi che le esprimono.

Questi fenomeni trovano al contrario origine e sono contemporaneamente espressione della estrema contraddittorietà del momento attuale che, se da una parte vede il fiorire di tentativi episodici di sfuggire alla cappa soffocante della socialdemocrazia (PCI e sindacato) mostrando con ciò i primissimi germi di una possibile ripresa di classe sotto l'incalzare della crisi, dall'altra esprime lo sfacelo ideologico e politico che vive la classe nel suo complesso.

L'assenza o la perdita dei principi fondamentali della scienza proletaria non genera di per sé e automaticamente nei lavoratori la necessità di una loro ricerca e riappropriazione. L'opera distruttiva del corso controrivoluzionario è alla base dei comportamenti "irrazionali" delle stesse frange più avanzate del proletariato. Nulla può far credere che i fallimenti, le frustrazioni, il dissanguamento, che volta a volta colpiscono queste organizzazioni spontanee bastino a riportare questi proletari alla necessità di un preciso orientamento politico ed organizzativo. È dunque la organizzazione dei rivoluzionari che può far fronte a questa necessità.

Non si tratta di guidare od orientare questi coordinamenti secondo la linea del partito. L'azione risulterebbe affatto inutile e vanificherebbe gli sforzi dei militanti. È invece necessario partecipare ai lavori e alle attività di questi organismi sulla base di precise discriminanti politiche che devono vedere i compagni costantemente attestati nella difesa di una corretta prassi rivoluzionaria e dei principi essenziali di dottrina e programma rivoluzionari. Questo al fine di ricostruire sulle precise basi della rete operaia internazionalista quanto la pratica distrugge giorno per giorno. La situazione di crisi economica e di sfacelo politico genera continuamente queste esperienze che altro non sono dunque che il travaglio della base operaia (nelle sue frange di punta) alla ricerca di una alternativa di lotta sul piano concreto. Ma la stessa situazione generale e la condizione di subalternità della classe impediscono che questo travaglio superi i limiti del rivendicazionismo e della rabbia immediata.

Sta esattamente ai rivoluzionari organizzati raccogliere le istanze profonde del momento riorganizzando sul piano politico quel materiale che il ribollire di base fa emergere nelle diverse situazioni. Ciò è possibile alla sola condizione che i rivoluzionari operino sulle loro precise posizioni politiche senza transigere sugli aspetti negativi e di ritardo che queste esperienze prevalentemente esprimono.

Non si deve lasciare spazio alla illusione che rivoluzionari e controrivoluzionari (quali noi definiamo i gruppi sessantotteschi) possano convivere in organismi territoriali prolungatisi oltre i limiti della fabbrica e della lotta contingente.

La organizzazione rivoluzionaria, non della classe ma delle sue avanguardie politiche, si muove ed agisce necessariamente sul terreno politico ed è oggi rappresentata dai Gruppi di Fabbrica comunisti internazionalisti e dalla loro rete organizzativa. È questa che funge da strumento di intervento del partito nel cuore della classe, nelle fabbriche e nel territorio oggi, negli organi del potere proletario (i consigli) domani. Non è ammissibile alcuna confusione dunque fra questi organi della classe in fase rivoluzionaria in cui, come insegna la esperienza bolscevica, il lavoro dei rivoluzionari tenderà - in polemica ed opposizione alle formazioni opportuniste - al loro orientamento in senso comunista, e fra le attuali forme di coordinamento e organizzazione di alcune frange di operai.

Riconoscere questa sostanziale diversità deve portare, pena l'impotenza politica, al rafforzamento e al perfezionamento del lavoro della rete operaia rivoluzionaria.

Al di là della denominazione formale, che in una prima fase può essere di importanza affatto secondaria, gli organismi nei quali operano gli internazionalisti, mostrano evidente il segno della loro presenza rivoluzionaria.

Ciò può configurarsi in due modi, come ci dice l'esperienza:

  • con la diretta iniziativa da parte dei nostri militanti nel raccogliere e organizzare gli elementi d'avanguardia presenti nella fabbrica e nel territorio;
  • con la enunciazione continua della realtà in cui i coordinamenti si muovono e la conseguente propaganda per l'organizzazione dei proletari sul piano della continuità di lavoro politico; questo fino alla spaccatura, se necessario e al recupero di quanto si presenta recuperabile ai fini del rafforzamento della rete operaia internazionalista e dell'allargamento del nostro contributo al processo di decantazione politica.