Rifondazione Comunista: una nuova variante della controrivoluzione

II crollo dell’impero sovietico ha impresso al corso storico una generale accelerazione. Fatti politici nuovi si sono prodotti ovunque, anche in aree non immediatamente legate all’economia e ai regimi dell’Est. L’occidente, già alle prese con i problemi di una crisi economica contrassegnata attualmente da una perdurante recessione, ha dovuto fare i conti con i contraccolpi politici maturati con il mutare dello scenario internazionale. Tutto il mondo politico borghese ha cominciato a ribollire nella affannosa ricerca di forme di potere più adeguate ad affrontare i problemi delineatisi sullo scacchiere internazionale e all’interno di ogni singola nazione. In Italia la situazione si è presentata ancora più complessa a causa di una economia strutturalmente più debole di quella di altri paesi e dell’ingigantirsi delle conseguenze sociali legate ad un più che sclerotizzato quadro politico che in circa quaranta anni non ha fatto altro che preoccuparsi delle modalità con cui tutti i partiti, nessuno escluso, dovevano appropriarsi della ricchezza prodotta dalla classe operaia. Con il crollo dei regimi dell’Est si sono definitivamente consumati i logori schemi della contrapposizione, tutta interna al sistema borghese, tra i sostenitori del cosiddetto socialismo reale e quelli delle democrazie occidentali. Pertanto si è sbloccata quella situazione che fino a pochi anni fa pareva destinata ad un eterno perpetrarsi. Improvvisamente, sotto l’incalzare tumultuoso degli avvenimenti, lo scenario politico borghese si è messo in movimento; da una parte si è determinato il nuovo fenomeno leghista, foriero di reazionarie contrapposizioni regionaliste, dall’altra sono venuti meno i tradizionali motivi ideologici di contrapposizione tra il Pci e le altre forze politiche di governo.

La nascita del Partito democratico della sinistra, quale definitivo abbandono del Pci dei residui riferimenti e legami con l’esperienza del socialismo reale e quale ennesimo tentativo di inserimento, con una palese e dichiarata veste socialdemocratica, nei giochi di potere borghesi, ha indubbiamente aperto degli spazi politici nella sinistra borghese. Questo e il fatto che l’ex Pci contasse ancora su una base elettorale in parte proletaria ha consentito la nascita di Rifondazione comunista, una organizzazione che si prefigge lo scopo di rilanciare la sinistra. Dunque, una nuova forza si delinea all’orizzonte del travagliato corpo sociale proletario che oggi, per il peggioramento delle sue condizioni di vita, è più disponibile a far proprie nuove indicazioni ed organizzazioni politiche. II fatto che Rc possa in futuro avere un’influenza sulla classe operaia e sul proletariato in generale ci spinge ad esaminare la sua proposta politica nonostante, lo premettiamo fin da ora e lo evidenzieremo nella successiva analisi, la sua completa estraneità al marxismo e la sua impronta marcatamente socialdemocratica e piccolo borghese.

Chi sono gli uomini e le forze ispiratrici di Rc? Innanzi tutto troviamo alcuni dei massimi dirigenti dell’ex Pci come Sergio Garavini e Armando Cossutta tanto per citare i più famosi. Con loro poi vi è tutta la sinistra e la componente kabulista del vecchio Pci. Si tratta degli uomini che hanno partecipato direttamente, attraverso il partito o la Cgil, alla politica di strangolamento della classe operaia che negli ultimi quindici anni, cioè da quando la chiusura della fase espansiva del ciclo di accumulazione ha esaurito gli spazi economici per la concessione di parziali miglioramenti retributivi, ha letteralmente martellato i lavoratori a colpi di ristrutturazioni, licenziamenti, intensificazione dello sfruttamento e arretramenti salariali. Stalinisti convinti che non hanno esitato a sottoscrivere con le organizzazioni imprenditoriali borghesi i peggiori accordi antioperai pur di sostenere il capitale e le sue esigenze di gestione della crisi. Uomini che, ricorrendo ad ogni sotterfugio ideologico, si sono incaricati di importare nella classe operaia la strategia e gli interessi del capitale italiano dimostrando di essere in quest’opera insostituibili.

A loro si sono unite, in un grande guazzabuglio politico, ciò che rimaneva di Democrazia proletaria e la trotzkista Lega comunista rivoluzionaria. Colpisce la spregiudicatezza con la quale si sono aggregate forze notoriamente contrapposte come quelle staliniste e trotzkiste che, se da un lato dimostra a quale grado è giunto l’opportunismo, dall’altro indica le confusissime basi programmatiche di questa operazione politica.

Di ciò ne dà conferma lo stesso Garavini quando afferma:

Se ci si dice che non abbiamo ora una teoria compiuta ...possiamo rispondere soltanto che è vero: siamo in grado più di affermare una certezza politica che di presentare un compiuto approfondimento teorico. Che fare?... Un marxista può benissimo rispondere: non so, non perché sia impossibile sapere, ma perché non so ancora. E frattanto agire, sapendo che si muove all’interno di un limite teorico che dovrà superare. (1)

La giustificazione all’opportunismo è già stata trovata con un espediente dialettico. Oggi, con il venir meno di tutte le vecchie certezze, non si può elaborare un compiuto programma politico comunista e pertanto è necessario anteporre ad ogni teoria l’azione pratica pur di riprendere l’iniziativa; ecco il ragionamento col quale Garavini afferma il primato del pragmatismo e giustifica ogni sorta di alleanza opportunistica. Nel momento in cui il proletariato necessiterebbe di un chiaro orientamento programmatico rivoluzionario fondato sulla saldezza teorica della scienza marxista e su un esauriente bilancio critico delle vicende storiche passate e presenti per ritrovare la forza e la sicurezza per una nuova iniziativa di classe, si teorizza invece il contrario ovvero la possibilità della prassi ancor prima della teoria. In questo modo la confusione si aggiunge alla confusione e si ottiene solo di disorientare ancora di più il proletariato. Si arriva a teorizzare, accettando in pieno la corrente tesi borghese che sostiene che viviamo nell’epoca della fine delle ideologie, tesi che in realtà mira esclusivamente a negare l’ideologia comunista intesa come un programma rivoluzionario formato da un corpo di tesi scientificamente elaborate con la metodologia marxista, la necessità di una forza comunista senza che questa abbia un programma comunista. Un vera contraddizione di termini! La teoria comunista ha sempre sostenuto la necessità per il proletariato di avere un definito programma rivoluzionario fondato sulla critica della società capitalistica e sulla definizione degli obiettivi strategici e tattici dell’azione di lotta proletaria.

Se si sostiene che ciò oggi è impossibile è solo perché non si hanno gli strumenti teorici per farlo. Come potrebbe essere diversamente per chi fino a questo momento ha confuso il capitalismo di stato dei paesi dell’est con il socialismo e non è perciò stato in grado di comprendere e criticare un aspetto fondamentale della vita del moderno capitalismo monopolistico?

L’affermazione di Garavini è oltre tutto falsa perché, come vedremo, Rc ha un programma politico. Esso, ben definito nelle sue linee generali, si ispira al riformismo del Pci stile anni sessanta e settanta quando quest’ultimo vagheggiava riforme di ogni tipo del sistema capitalistico e aveva residue velleità emancipatrici, non chiaramente definite, per la classe operaia. Su questa base Rc ha innestato le più recenti elaborazioni della sociologia borghese prima fra tutte quella che sostituisce alla contraddizione fondamentale della società capitalistica, quella tra lavoro salariato e capitale, altre contraddizioni: tra uomo e donna, tra uomo e natura, tra i diversi ruoli sociali che l’attività umana impersonifica durante lo svolgimento della propria vita. (2) Accettando la teoria della scomparsa delle classi sociali, il programma di Rc si riduce a genericissime rivendicazioni di giustizia e libertà individuali unite ad altrettante genericissime rivendicazioni di giustizia sociale e di riforma del sistema capitalistico. Si tratta perciò di una variante dei tanti programmi politici della sinistra borghese.

Le radici sono staliniste

Abbiamo citato lo stanilismo di Rc. Infatti, nonostante l’inesistenza tra i documenti di costituzione di Rc di una approfondita ed organica analisi del socialismo reale, da una serie di proposizioni politiche ufficiali se ne deduce la piena identificazione, almeno fino ad alcuni anni fa, delle società dell’est con il socialismo. Non si separano assolutamente i primi anni dell’esperienza rivoluzionaria bolscevica in cui chiara era la visione internazionalista della trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici da quelli in cui lo stalinismo, stravolgendo uno dei principi cardine del marxismo, quello dell’impossibilità di costruire il socialismo in aree economiche isolate ed arretrate, dichiarava di poter procedere verso l’edificazione di un socialismo nazionale. Pertanto, accettando la piena continuità tra questi due periodi, accettando quindi la continuità tra leninismo e stalinismo, Rc finisce per accettare gli assunti economici e politici che caratterizzano il corso controrivoluzionario che per comodità d’analisi noi facciamo partire dal 1925, da quando cioè si elabora nel partito bolscevico la strategia della costruzione del socialismo in un solo paese. Dal punto di vista economico la pietra miliare dello stalinismo è l’identificazione tra socializzazione e statalizzazione dei mezzi di produzione.

Secondo questa impostazione la sostituzione della proprietà privata con quella statale costituirebbe la base sufficiente di una società socialista. Con questa giustificazione lo stalinismo ha spacciato la nascita e lo sviluppo del capitalismo di stato per socialismo e su questa base ha costruito l’apparato ideologico che ha permesso alla nuova borghesia, i funzionari che occupavano i posti di comando nell’apparato economico e politico sovietico, di compiere ogni genere di misfatti ai danni della classe operaia sfruttata. (3)

Sentiamo Rc:

la Rivoluzione d’ottobre ha aperto una speranza che le tragedie successive non cancellano. Pur nei limiti di uno Stato, di una potenza militare con una politica ambigua, l’Urss è stata un riferimento alle lotte dei popoli per la libertà, contro il colonialismo. Venti milioni di morti nella Seconda guerra mondiale sono la tremenda dimostrazione del prezzo pagato dall’Unione Sovietica per salvare il mondo dalla barbarie nazista. D’altra parte le rotture rivoluzionarie sono passate dall’Urss alla Cina, al Vietnam, a Cuba. (4)

Come si vede, per Rc il socialismo si è affermato non solo in Urss ma in tutte quelle esperienze nazionaliste conclusesi con la statalizzazione dei mezzi di produzione. Che poi queste esperienze siano entrate immediatamente in conflitto tra loro, fino in alcuni casi alla guerra, a causa della concorrenza economica e alla necessità della valorizzazione massima del capitale nazionale che le ha spinte a praticare una politica imperialistica di reciproco brigantaggio, per Rc è semplicemente il risultato di una politica estera ambigua.

Quanto all’intervento imperialistico sovietico nella Seconda guerra mondiale, la malafede e la spregiudicatezza di Rc è all’altezza della migliore tradizione stalinista che ha sempre sottaciuto, tanto per fare un esempio, i patti tra Stalin e Hitler per la reciproca spartizione militare della Polonia. Stalin non ha esitato ad accordarsi con il nazismo per estendere la sfera di influenza dell’Urss; egli ha dovuto rispondere militarmente alle truppe tedesche solo quando Hitler, allora sicuro di sconfiggere velocemente l’Unione sovietica, ha tradito la fiducia accordatagli. Questi per Rc sono dettagli di poco conto. Peccato, ce lo ricorda essa stessa, che siano costati la vita a venti milioni di proletari spinti al massacro con il borghesissimo pretesto della difesa della patria... socialista. Insomma, una volta accettato il capitalismo di stato come socialismo si trova sempre il modo per giustificarne la sua politica imperialista anche travestendola di nobili intenti umanitari.

Dunque per Rc il socialismo è esistito ed è pure andato in crisi a causa delle politiche in esso adottate:

il processo aperto dalla Rivoluzione d’ottobre, nell’isolamento in Urss del successo rivoluzionario, ha accentuato un carattere durissimo dell’esperienza avviata nella guerra civile... nell’arretratezza delle condizioni sociali ed istituzionali del tempo, è parsa possibile solo una trasformazione imposta dai vertici dell’organizzazione, con un’autorità derivante dall’identificazione tra lo Stato e il Partito. Si è cosi perduta l’idea comunista della trasformazione della società su basi di uguaglianza, di autonomia nella gestione economica, di democrazia diretta... In questo ambito, le stesse modalità di organizzazione dell’economia da un lato sono state realizzate entro una generale proprietà dello Stato ma, dall’altro, nelle tecnologie e nell’organizzazione del lavoro delle imprese, sono state prevalentemente mutuate dal mondo capitalistico. È una contraddizione che si è tradotta in rigidità, burocratismo e stagnazione, nell’economia e nella società. (5)

L’isolamento e l’arretratezza economica non rendevano durissima l’esperienza socialista avviata con la rivoluzione ma, al contrario, la negavano completamente vincolandola esclusivamente al successo della rivoluzione nei paesi capitalistici più avanzati, in primo luogo nella Germania. È questa la strategia originaria di Lenin e del partito bolscevico, strategia calpestata da chi, successivamente, ha imposto l’idea della via nazionale al socialismo. Per Rc, invece, isolamento ed arretratezza hanno influito sui modi di edificazione del socialismo improntandoli all’autoritarismo burocratico e ai modelli tipici del capitalismo. Ne sarebbe venuto fuori in definitiva un socialismo imperfetto progressivamente degenerato. In sintesi, Rc accetta lo stalinismo criticandolo esclusivamente per i modi con cui esso ha amministrato la società; con questo, Rc non ne mette a nudo la vera natura cioè quella di un regime fondato sul capitalismo e quindi sulla difesa degli interessi della borghesia di stato e sullo sfruttamento della classe operaia.

Ritenuta adesso definitivamente conclusa l’esperienza del cosiddetto socialismo reale, a Rc non rimane che teorizzare un nuovo tipo di socialismo, sempre nazionale e statalistico ma nel contempo libertario e democratico. Consisterebbe in questo l’originalità e la modernità della sua proposta politica. Più avanti vedremo invece che dietro queste presunte novità, assolutamente indefinite nella loro formulazione, si nasconde invece esclusivamente il sostegno alla libertà e alla democrazia borghesi e, in definitiva, al sistema capitalistico.

Gramsci, la Resistenza, la Costituzione: tre punti fermi di Rc

Se Rc ammette di non avere le idee chiare sul futuro, per quanto riguarda il passato non ha dubbi. Essa recupera tutto quanto di peggio si è prodotto nel Partito comunista d’Italia riconoscendosi nel corso, avviatosi col congresso di Lione del gennaio 1926, di liquidazione del patrimonio rivoluzionario elaborato dalla sinistra bordighiana e in tutto il processo di riformulazione di un programma riformista in chiave nazionale. (6) Nel 1926 avviene la svolta nel Pci d’Italia. Da una parte la corrente della sinistra comunista, con a capo Bordiga, in aperta opposizione allo stalinismo, dall’altra il gruppo Gramsci, Togliatti e Terracini che asseconda le linee politiche di Mosca e che si impadronisce, ricorrendo anche a metodi illeciti, della direzione del partito per riformularne la linea politica con le cosiddette Tesi di Lione. (7)

La visione primitiva della lotta politica in puri termini di scontro fra operai e capitalisti, classe contro classe, fu superata dal nostro Partito comunista già nel 1926, nel Congresso di Lione, nel delineare l’esigenza di un blocco complesso di forze per la rivoluzione... E Togliatti tornò in Italia, dopo l’8 settembre, non per gridare frasi rivoluzionarie ma per indicare la via della lotta democratica, del nuovo partito di massa. (8)

Come si vede, Rc tiene a ribadire la sua estraneità alle tesi elaborate dalla sinistra comunista nel secondo congresso del Partito comunista d’Italia del l922 (Tesi di Roma) e la sua adesione a quel corso politico, di cui Gramsci fu il principale esponente teorico, che ridefinì totalmente il partito trasformandone l’originaria strategia rivoluzionaria. Se Gramsci pose le basi teoriche e politiche per fare del Partito comunista d’Italia un partito riformista, Togliatti completò l’opera facendolo approdare a una attiva e aperta politica borghese che si espresse compiutamente, nel corso della Seconda guerra mondiale, con il sostegno alla guerra quando organizzò, assecondando le direttive di Mosca (allora prioritario per Stalin era indebolire la Germania aprendole un fronte militare interno), l’intervento in guerra dei partigiani contro il nazi-fascismo. Ripescando in quei torbidi avvenimenti e assumendo in proprio ciò che più contraddistinse la Resistenza, Rc rilancia oggi il programma democratico del vecchio Pci, quel programma che in realtà si fondava sulla difesa della democrazia borghese:

Che la sinistra non si confonda con una manovra sociale e istituzionale moderata e autoritaria...che la sinistra riproponga una piattaforma sociale, e sia lanciato su questa base un nuovo sviluppo della partecipazione democratica, che comincia dalla Resistenza e dalla Costituzione. (9)

La piena affermazione della democrazia costituzionale sarebbe il mezzo per sconfiggere le forze della reazione. Rc, che esclude qualsiasi modifica strutturale dell’economia, che esclude quindi l’abbattimento del capitalismo, vede la dialettica politica come perenne contrapposizione tra le forze del progresso e quelle della reazione riducendo così il suo programma a programma per il cambiamento delle forme di governo piuttosto che per il cambiamento dei rapporti di potere tra le classi. Così come il Pci, durante la guerra, alla lotta anticapitalista ha sostituito la lotta antifascista, così oggi Rc sostituisce alla lotta anticapitalista la lotta antiautoritaria:

Avanzano una svolta a destra e una grave stretta economica... Sarebbe ora necessaria... una politica indirizzata ad un allargamento della democrazia e della responsabilità, della solidarietà ispirata a forti valori morali... Alla svolta autoritaria contrapponiamo la piena attuazione della Costituzione e dei valori che essa esprime. (10)

Il nerbo della Costituzione è l’esistenza e la tutela della proprietà borghese; tutto il resto sono corollari per la definizione e l’organizzazione dello stato borghese e dei suoi mezzi coercitivi con l’aggiunta, per la buona pace delle forze socialdemocratiche, di alcuni vaghi principi di giustizia sociale. In questo quadro costituzionale, tutto interno ai rapporti di produzione capitalistici, Rc traccia le linee gradualiste, tanto care al riformismo, di evoluzione della società.

Rifondazione Comunista si propone come un movimento che, vivendo dentro la società, vuole coglierne le esigenze e che, partendo dai bisogni della gente, aspira alla capacità di proporre cambiamenti che, da quella base, intervengano per adeguare le istituzioni, influenzino lo Stato. Ci riportiamo a un orientamento, a una radice che si ricollega a Marx, alle istanze libertarie ed egualitarie da cui siamo nati. (11)

Un bel condensato di idiozie, non c’è che dire, per una forza che pretenderebbe di ricollegarsi a Marx. Si nega il partito leninisticamente inteso (Rc si propone come movimento), si nega la necessità della rivoluzione sociale (vivendo dentro la società), si negano le classi sociali e si dichiara il più sfacciato interclassismo (cogliere le esigenze della società è partire dai bisogni della gente), si riafferma il proprio riformismo fatto di piccoli passi (proporre cambiamenti) e si sostengono i più genuini principi liberali borghesi (ci riportiamo alle istanze libertarie e egualitarie).

Rc è una organizzazione interclassista che pone al centro della sua azione politica la scalata, per via parlamentare, alle vette del potere borghese. Essa perciò si prefigge di diventare un forte partito con una base elettorale socialmente ampia.

Abbiamo nettamente proposto e attuato una linea: un partito di massa, una lotta democratica di massa. È una linea che ha un contenuto teorico e politico e una storia alle sue spalle. Non pensiamo ad un gruppo di intellettuali che organizzi e guidi le masse. (12)

Come si vede, si ribadisce, deformando le posizioni della sinistra del Pc d’Italia, quelle che avevano elaborato autonomamente in Italia una concezione leninista del partito e che certo non prevedevano questa separazione tra intellettuali e masse proletarie, la piena continuità con il pensiero di Gramsci e di Togliatti per quanto riguarda la visione di un partito di massa e popolare contrapposto a un partito di avanguardie. Inoltre si attualizza, peggiorandola, tale visione:

costruire un nuovo Partito comunista ha dunque un senso strategico se esso si afferma come forza capace di costruire un preciso punto di riferimento progettuale e politico per i vari soggetti e le varie esperienze di segno antagonista, con l’obiettivo di far vivere una nuova cultura di opposizione e di aggregare un blocco sociale alternativo. (13)

Non partito della classe operaia quindi, secondo quanto lo stesso Gramsci concepiva, ma partito aperto a chiunque condivida un non precisato antagonismo. Non si tratta certo dell’antagonismo al capitale dato che, come vedremo, Rc lo rifiuta ma di un antagonismo limitato alle attuali forme di gestione del potere borghese. Quindi, una concezione del partito strumentale, finalizzata a raccogliere sul piano elettorale l’attuale malcontento sociale del proletariato e della piccola borghesia.

Il programma economico

Non utilizzando gli strumenti di indagine economica della metodologia marxista e facendo ricorso a piene mani alle categorie concettuali elaborate dal pensiero economico borghese, Rc si guarda bene dal prendere in considerazione il problema del declino del modo di produzione capitalistico e della crisi come crisi strutturale dell’accumulazione. Per Rc la crisi economica è solo conseguenza delle inadeguate politiche finora attuate e della cattiva gestione svolta dalle forze che hanno governato finora:

avanzano una svolta a destra ed una grave stretta sociale... Difficoltà e contraddizioni hanno così origine in una crisi economica profonda... L’Italia è in particolari condizioni di debolezza in ragione della pesante crisi finanziaria dello Stato, della fragilità del suo apparato produttivo, del degrado profondo dei servizi pubblici, del deterioramento dell’ambiente, della corruzione del sistema politico. (14)

La crisi vista come specifica e particolare del capitale italiano e non come specifico momento della crisi strutturale del capitalismo mondiale, la implicita negazione di tutte le sue conseguenze sociali, quali la necessità obiettiva per la borghesia di attaccare il proletariato e di attrezzarsi per un più alto livello di scontro economico, politico e militare sul mercato internazionale, fa proporre a Rc un demagogico rilancio dello sviluppo economico che, tradotto nei termini obiettivi, ha come unico significato il tentativo di sostenere l’accumulazione e la concentrazione del capitale:

sarebbe ora necessaria una politica capace di costruire un nuovo tipo di sviluppo, basato su una profonda riorganizzazione e riqualificazione dell’economia... La riorganizzazione dell’apparato produttivo comporta l’orientamento a un nuovo tipo di sviluppo. C’è da riequilibrare e modernizzare l’industria, sviluppandone i settori fragili, intensificando la ricerca, e da trasformare l’agricoltura in direzione di un sistema agro-alimentare... In generale occorre perseguire un riequilibrio, una concentrazione di risorse pubbliche e private in grandi ‘poli’ industriali, una finalizzazione programmata dell’ingente trasferimento delle risorse pubbliche all’industria, oggi praticamente a fondo perduto, senza programmazione, e con il privilegio di pochi grandi gruppi privati. Inoltre è mancata, e deve realizzarsi, una politica di oculato sostegno alla media e piccola industria e all’artigianato, oggi minacciata da seria crisi in più comparti, per effetto della unificazione europea. (15)

Eccoli i nuovi comunisti in veste di programmatori economici per conto del capitale. Oltre a proporre una serie di fesserie come quella del sostegno alla piccola impresa, come se nel capitalismo la grande concentrazione monopolistica non impedisse obiettivamente il sostegno indiscriminato ai diversi settori del capitale, i rifondazionisti si ergono apertamente a sostenitori del processo di accumulazione rivendicando la capacità (poveri illusi!) di saper meglio di altri gestire l’economia.

Il limite di concepire la politica come lotta tra reazione e progresso, lasciando intatto il rapporto di produzione capitalistico, conduce Rc, quando definisce le sue proposte di politica economica, a contrapporre il borghese neoliberismo all’altrettanto borghese neokeynesismo. Ereditando la mistificante concezione del Pci secondo cui l’investimento del capitale di stato avrebbe una particolare valenza sociale, Rc ripropone la centralità del ruolo dello stato in economia nonostante rivendichi, lo si legge qua e la nei suoi documenti ufficiali, di avere una vocazione antistatalista. Programmazione economica e rilancio degli investimenti dello stato sarebbero i punti centrali della sua proposta per superare la crisi. Ecco cosa afferma Garavini:

c’è un’alternativa. Sta nel rilancio di politiche programmate e di programmi di intervento pubblico... riproporre criticamente un indirizzo di programmazione e l’utilizzazione di strumenti economici pubblici... (16)

Gli fa eco il programma elettorale quando afferma che è fondamentale “la difesa e la riforma del settore pubblico contro la crescente subordinazione dello Stato ai grandi gruppi privati” (17) e che, in altre parole, significa l’aperto sostegno al capitale pubblico e alla sua ulteriore concentrazione. Rc ripropone il keynesismo apportandogli dei correttivi e degli affinamenti. Non più il finanziamento indiscriminato dello stato all’economia ma un finanziamento selettivo, finalizzato sì a creare domanda aggregata ma, nel contempo, a stimolare i settori del capitale a più alta produttività e competitività, quelli cioè tecnologicamente avanzati e in grado di ben inserirsi sul mercato internazionale. Anche la spesa sociale, altro importante aspetto del keynesismo, viene trattata con lo stesso criterio, quello dell’efficienza:

lo Stato sociale - dalle pensioni alla sanità pubblica, all’assistenza, ai servizi di carattere sociale - non va liquidato come vorrebbero i gruppi dominanti ma riformato allo scopo di ottenere risultati in molti casi maggiori, in altri uguali, a parità di costi. (18)

Lo scopo, non dissimile da quello neoliberista, è quello di drenare dal mercato capitale finanziario per dirottarlo verso l’accumulazione. Esso non viene sottaciuto:

un nuovo corso economico richiede una radicale riforma del prelievo fiscale e della spesa pubblica... una operazione di grande spessore che... renderà disponibili risorse cospicue per il rientro dall’anomalo disavanzo pubblico, per il rilancio e la conversione dell’economia... (19)

Questo programma economico, qualora fosse realizzato, non risolverebbe la crisi del capitale dato che essa trova origine nei più interni meccanismi dell’accumulazione, quei meccanismi descritti da Marx nel primo e terzo libro de Il capitale e che conducono inesorabilmente alla generale caduta del saggio del profitto. Esso, semmai, servirebbe solo a concedere temporaneamente qualche chances al capitale italiano sul mercato internazionale andando però a gravare sul proletariato. Infatti aumento della competitività del capitale vuol dire inevitabilmente aumento della produttività del lavoro e, quindi, disoccupazione e attacco alle condizioni di vita del proletariato; inoltre, riqualificazione della spesa pubblica, termine usato e abusato dai partiti borghesi, significa solo restringimento dei servizi sociali dello stato. Di questo ne è consapevole la stessa Rc quando passa a concretizzare il suo programma di politica sociale. Con i presupposti visti sopra, la riduzione dei costi come vincoli di bilancio, essa finisce per riproporre lo stesso armamentario di menzogne di ogni programma elettorale borghese. Da una parte la dichiarazione di difesa dei ceti sociali meno abbienti, dall’altra una serie di riforme concrete per attaccarli.

Consideriamo, ad esempio, le questioni che più toccano direttamente i proletari. “I processi di trasformazione devono garantire l’occupazione e adeguati livelli reali delle retribuzioni” (20), si afferma da una parte; “la difesa del valore reale delle retribuzioni ed il loro adeguamento sono del tutto compatibili con le esigenze di mercato se si avviano adeguati processi di riorganizzazione produttiva... l’occupazione si garantisce prima di tutto con lo sviluppo e con la sua qualità” (21) si afferma dall’altra, si sancisce un diritto e lo si nega immediatamente per tenere conto del mercato e delle leggi del capitale. Difesa del salario ma a condizione che i lavoratori innalzino la produttività (aumento dello sfruttamento); difesa dell’occupazione ma a condizione che essa sia consentita dallo sviluppo dell’accumulazione. Bene, questo è esattamente quello che il capitale normalmente impone alla classe operaia.

Quanto ai licenziamenti, oggi spesso mascherati dalle cosiddette procedure di mobilità, essi vengono accettati da Rc nonostante gli opposti proclami:

le leggi in vigore non consentono di governare in modo adeguato i problemi della mobilità. (22)

Ecco in cosa consiste la sua protesta. Accettando la mobilita dei lavoratori e contestandone solo i modi con i quali essa viene realizzata, Rc sostiene in realtà i processi di riduzione della forza lavoro occupata. Anche in questo caso Rc mostra di tradurre la sua politica del lavoro in una politica contro il lavoro e a favore del capitale.

Spesa sanitaria:

Bisogna respingere l’idea che la spesa sanitaria sia in sé insostenibile... ma insieme si deve registrare che questa spesa è gonfia di sprechi, di irrazionalità: il suo risanamento è dunque necessario ed urgente e con esso si potrebbero ottenere più prestazioni con pari spesa o pari prestazioni con minori spese. (23)

Guai a chi volesse aumentare la spesa sociale! Su questo Rc non ha dubbi come non ha dubbi nel riproporre, fino alla ripetizione esatta delle parole, gli stessi argomenti di coloro che stanno, di legge finanziaria in legge finanziaria, tagliando e privatizzando i servizi assistenziali dello stato dichiarandoli nel contempo essenziali per la tutela dei lavoratori.

Pensioni. Anche in questo caso, a conferma che il concretismo di cui si vanta Rc abbinato all’accettazione delle leggi capitalistiche si traduce solamente in politiche antiproletarie del tutto uguali a quelle ufficiali, non si fa che riproporre quanto i partiti borghesi hanno intenzione di attuare:

è urgente una riforma delle pensioni... l’età pensionabile deve rimanere quella attuale e si deve concedere al cittadino la facoltà di continuare, per una scelta volontaria, la propria attività oltre quell’età. (24)

È esattamente quanto proposto dal Psi nell’ultimo anno. Ciò che furbescamente viene nascosto, facendo intravedere illusoriamente una riforma nell’interesse dei lavoratori, è che quest’ultima nasce proprio dalla necessità di tagliare le pensioni e che la cosiddetta volontarietà, a fronte di un trattamento economico ancora più misero di quello attuale che obbligherebbe il lavoratore a prolungare negli anni la propria attività, è solo un ennesimo artifizio per far digerire alla classe operaia una ulteriore salassata.

Per brevità non proseguiamo. Riteniamo di aver sufficientemente mostrato il carattere antiproletario della politica di Rc. II suo programma è infarcito di moralismo e di demagogia ma solo per gettare confusione tra il proletariato:

Ha un ruolo di primo piano la questione morale... Democrazia, trasparenza, partecipazione dei cittadini... ideali di libertà, di uguaglianza, di eliminazione di ogni sfruttamento, di pieno sviluppo della democrazia... attuazione dei diritti civili... (25)

Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Sciocche riproposizioni delle più tradizionali mistificazioni socialdemocratiche per far presa sulla componente proletaria dell’elettorato. Chiacchiere per carpire la buona fede dei lavoratori, per trarne un beneficio elettorale e per confondere il proletariato e costringerlo ad un disorientamento maggiore e a una ulteriore sottomissione al sistema borghese. Come ogni organizzazione politica borghese che fa del parlamentarismo la sintesi ultima della propria azione politica, Rc è a caccia di voti tra le file delle diverse classi sociali. Per questo accompagna il suo programma economico con una serie di richiami ai movimenti sociali piccolo-borghesi che si sono prodotti negli ultimi anni. Ne deriva un programma che vorrebbe coniugare il sostegno al capitalismo con la soluzione dei problemi che il capitalismo stesso ha prodotto e continua a produrre. Rc vorrebbe un capitalismo pacifico e disarmato, democratico, rispettoso dei diritti dei lavoratori, rispettoso dell’ambiente, un capitalismo capace di soddisfare i più svariati bisogni, quelli delle donne, degli immigrati, degli emarginati, un capitalismo in grado di dare pari opportunità sociali e culturali a tutti i cittadini, un capitalismo fondato sulla fraterna collaborazione tra gli uomini. Tralasciamo di citare il programma elettorale a questo proposito tale è la banalità di queste proposizioni. Si sa che quando si tratta di voti ogni genere di menzogna può tornare utile.

La questione sindacale

Non è affatto semplice delineare un blocco sociale che costituisca la base della opposizione per l’alternativa. La composizione della società è mutata profondamente e in particolare vi è stata una vera e propria dispersione dei lavoratori fuori dalle precedenti, ora sempre più limitate, concentrazioni operaie. Lo stesso problema delle alleanze sociali va posto diversamente che nel passato. Bisogna impegnarsi per riportare in primo piano le esigenze di chi lavora ma avendo presente la complessità di una classe di lavoratori sempre più dispersi nei servizi, il peso crescente di un lavoro intellettuale non meno soggetto ad alienazione e sfruttamento, la spinta verso un lavoro non formalmente dipendente e quindi all’esprimersi anche in termini imprenditoriali. E bisogna valutare come determinate contraddizioni del processo capitalistico si ritorcano su tutta la società e non solo sui ceti subalterni come nel caso dell’ambiente. (26)

Da questi presupposti muove l’analisi di Rc. Si accetta la teoria della progressiva scomparsa della classe operaia con l’argomentazione della sua dispersione, si afferma l’articolazione delle contraddizioni relative al mondo del lavoro ritenendo superata la contraddizione tra capitale e lavoro salariato marxisticamente intesa, si gettano le basi per recepire le istanze di categorie piccolo borghesi imprenditoriali, si stempera la questione operaia mettendola sullo stesso piano di altre questioni che, secondo Rc, riguarderebbero tutte le classi sociali. II decentramento produttivo, la crescita dei lavoratori del terziario, la nascita di professioni, apparentemente autonome ma fortemente ricattabili dal grande capitale e il manifestarsi dei fenomeni della decadenza del capitalismo come quello del degrado ambientale, dovrebbero solo far riflettere sulle conseguenze del dominio del capitale sulla società, quello che Marx ha definito come il dominio reale del capitale. Rc pensa invece ad altro. Innanzi tutto la sua limitata visione nazionalistica non le permette di accorgersi che la classe operaia sta complessivamente crescendo nel mondo a dispetto della stabilità numerica che essa ha assunto nei paesi di antica tradizione industriale. Poi la mancanza di una metodologia marxista non le consente di comprendere il grande processo di proletarizzazione che si sta compiendo proprio in questi ultimi paesi e che abbraccia le figure professionali impiegatizie dell’industria e dei servizi privati e pubblici. Tanto meno essa può comprendere la fragilità delle nuove professioni autonome che, per la loro dipendenza dal grande capitale, sono oggettivamente assimilabili ad una condizione semi proletaria. La preoccupazione di Rc è di rivolgersi alla piccola borghesia costretta a subire le conseguenze, anche ambientali, del degrado sociale capitalistico spezzando cosi anche quell’indissolubile legame che vi è tra soluzione del problema dello sfruttamento dell’uomo e problema dello sfruttamento ambientale, soluzione che richiede il superamento del modo di produzione capitalistico.

Quindi non è tanto necessario delineare un sistema precostituito di alleanze sociali da perseguire, quanto trarre, dall’analisi delle contraddizioni in atto, le ragioni per unire schieramenti sociali e di cultura tra i quali è stato ed è fondamentale il ruolo dei lavoratori. (27)

Ecco ridotto il ruolo dei lavoratori a punto di aggregazione di altre stratificazioni piccolo borghesi per la costituzione di un movimento sociale finalizzato al sostegno del riformismo di Rc. Prosegue con queste proposizioni quella politica di indebolimento della coscienza di classe perseguita negli anni scorsi dal sindacato quando, nelle assemblee di fabbrica, affermava ripetutamente il ridimensionamento numerico e di ruolo della classe operaia.

Completamente errato è il giudizio sul sindacato.

La crisi del sindacato italiano non è solo il risultato oggettivo e inevitabile del processo della ristrutturazione ma assai più quello soggettivo del patto sociale che le ha spianato la strada. Il compromesso sociale ha trasformato un sindacato collaborativo in un appendice del quadro istituzionale, sulla base di un interesse generale al profitto rivolto contro i bisogni dei lavoratori. (28)

Ecco ancora il capovolgimento della metodologia marxista. Non la struttura economica ma i fenomeni della sovrastruttura, che invece ne sono il riflesso, diventano fattori determinanti delle manifestazioni del mondo politico. La crisi del sindacato viene spiegata come crisi soggettiva, come conseguenza di una politica compromissoria e capitolarda. In realtà quest’ultima è solo il riflesso di una modificazione strutturale del capitalismo che, superato il periodo liberista della manifattura e giunto alla sua fase monopolistica, avuta pertanto a disposizione una forza in grado di assorbire e attenuare le conseguenze delle rivendicazioni operaie, ha chiuso definitivamente e oggettivamente gli spazi economici per il sindacalismo. Il limite del sindacalismo, quello cioè di operare per l’ottenimento del miglior prezzo della forza lavoro all’interno dei limiti posti di volta in volta dall’accumulazione del capitale, si è sposato a questo punto con le nuove esigenze del grande capitale che, a causa delle sue dimensioni, per essere investito ha preteso la conoscenza anticipata e più certa possibile dei costi di produzione per poter minimizzare i rischi di insuccesso dell’investimento stesso. Proprio il costo della forza lavoro, legato fondamentalmente alla soggettiva accettazione della classe operaia delle necessità economiche del capitale, era quello che poteva nascondere le incognite maggiori. Il sindacato, per la peculiare capacita di essere organizzazione interna alla classe operaia, si presentava come il migliore strumento per assolvere il compito della pianificazione del salario.

Ciò ha determinato la progressiva integrazione del sindacato nelle istituzioni borghesi, in primo luogo nello stato, con la precisa funzione di organismo preposto alla programmazione del costo del lavoro e al controllo politico della classe operaia. (29) Una funzione che è apparsa evidente solo quando la crisi economica del capitale ha eliminato la possibilità di concedere alla classe operaia dei miglioramenti salariali, tipici delle fasi espansive del ciclo di accumulazione, e ha richiesto invece la riduzione dei salari e delle condizioni di vita operaie. In questo momento, siamo negli anni settanta, il sindacato ha dovuto partecipare a pianificare, attraverso la contrattazione, il costo della forza lavoro in termini opposti a quelli precedenti incaricandosi di imporre alla classe operaia la difficile politica dei sacrifici. In questo momento e con queste cause oggettive nasce e si sviluppa la crisi del sindacato. Quindi sindacato in crisi oggettiva e non soggettiva come afferma Rc. Quindi sindacato costretto a vivere oggettivamente il declino del capitale in crisi in quanto sua integrante istituzione. Quindi, ancora, sindacato costretto oggettivamente a schierarsi contro i lavoratori con una vera e propria dittatura che, implacabilmente, non concede alcuno spazio alle istanze dei lavoratori stessi. Per questo, usando la terminologia di Rc, il sindacato non è, ne potrà esserlo, democratico. Ciò ovviamente non vuol dire che non sia possibile per i lavoratori fare della lotta economica in difesa dei propri interessi di classe ma vuol dire che non è possibile fare della lotta economica muovendosi dai presupposti del sindacato cioè quelli di accettazione delle leggi capitalistiche e dei vincoli che ne conseguono.

La battaglia per una nuova politica del lavoro esige un sindacato di classe, antagonista e democratico, che sia diretta espressione dei lavoratori e non dominio delle burocrazie. (30)

-

[Inoltre] un obiettivo unificante comune per tutte le diverse forme di aggregazione in cui oggi si esprime la militanza e la lotta dei lavoratori è quello della democrazia sindacale. (31)

Ecco gli impossibili traguardi di Rc. Che si tratti di una mistificazione è evidente. I dirigenti di Rc, ben avvinghiati al sistema capitalistico e alle sue istituzioni, ben inseriti anche nell’organizzazione sindacale, tremano al pensiero della loro frantumazione. Mentre i lavoratori stanno imboccando, faticosamente e con mille contraddizioni, la strada della ripresa autonoma delle lotte, mentre si intravedono gli embrioni di una riorganizzazione autonoma delle lotte fuori dalle organizzazioni sindacali, e ciò perché i lavoratori si sono resi conto con l’esperienza che è impossibile pretendere rappresentatività dal sindacato stesso, Rc si impegna ad arginare il declino di una organizzazione che svolge con grande determinazione ed efficienza la sua funzione, organica al capitale, di imposizione sulla classe delle linee politiche ed economiche borghesi. La democrazia sindacale; chi conosce il funzionamento delle confederazioni conosce bene la vacuità di questa parola d’ordine. Né la soluzione si trova nell’ipotesi del ricambio degli uomini alla direzione sindacale in quanto sarebbe la crisi stessa del capitalismo che imporrebbe a chiunque volesse rimanere sul terreno delle compatibilità del mercato, e abbiamo visto che Rc è dichiaratamente vincolata a queste compatibilità, di perseguire ne più, ne meno, le stesse finalità dell’attuale sindacato. L’esperienza degli ultimi anni ha già mostrato la falsità della tesi di Rc. A ogni rinnovo contrattuale il sindacato è stato letteralmente subissato da mozioni approvate nelle assemblee dei lavoratori che contestavano, modificavano o respingevano le proposte o gli accordi sindacali. Le confederazioni non hanno mai considerato tali richieste ed hanno sempre confermato le loro scelte, anzi le hanno sistematicamente peggiorate in occasione del successivo accordo. Aver fatto della democrazia borghese un feticcio porta Rc a riconoscersi in tutte le istituzioni del capitale e a schierarsi obiettivamente contro il processo di ripresa della lotta di classe. Ecco la funzione dei rifondazionisti: riportare il malcontento operaio nell’alveo sindacale, evitare che sfugga al controllo istituzionale, impedire che si formi un’opposizione fuori e contro il sindacato che ostacoli i piani della borghesia, impedire il crollo definitivo del sindacato, l’organismo che funge da cane da guardia della classe operaia. Rc sa bene cosa sta accadendo nelle fabbriche e in generale nei luoghi di lavoro. Crollata la credibilità del sindacato, presa coscienza della sua irrecuperabilità, frange di lavoratori si stanno sforzando, secondo linee politiche ed organizzative ancora confuse e contraddittorie, di organizzare una autonoma difesa. Questa difesa tende a organizzarsi sempre più fuori e contro la struttura e la linea sindacale. Rc, che sa opportunisticamente guardarsi intorno, è pronta a saltare in groppa ai movimenti di lotta che si dovessero produrre per riportarli nel seno delle confederazioni sindacali. Nell’ultimo brano citato si legge il riferimento a “le diverse forme di aggregazione in cui oggi si esprime la militanza e la lotta dei lavoratori”; si dice anche di volerle unificare con l’obiettivo della democrazia sindacale; ecco con quale accorgimento tattico Rc nel periodo prossimo cercherà, svilendo i tentativi della classe operaia di operare autonomamente, di conquistare maggiore potere all’interno delle confederazioni sindacali.

Se inquadriamo il sindacalismo di Rc nella sua strategia generale ritroviamo la vecchia ideologia gramsciana del controllo operaio riveduta in termini interclassisti e annacquata da finalità apertamente riformiste. Noi abbiamo criticato questa concezione di Gramsci per il gradualismo e l’idealismo a cui si ispirava. (32) Nonostante questo, rimane comunque il fatto che Gramsci, pur con il limite di una metodologia di analisi estranea al marxismo, aveva come finalità strategica la lotta di classe e la rivoluzione proletaria. Il controllo operaio veniva perciò concepito come un passaggio del processo rivoluzionario con il quale la classe operaia si sarebbe “impadronita” della produzione e poi del potere. Rc, richiamandosi a Gramsci, parla ancora del controllo ma lo riferisce non più alla classe operaia e alle fabbriche ma a un non precisato popolo che dovrebbe incaricarsi di condizionare, nel quadro dei rapporti di produzione capitalistici, le scelte governative riguardanti la politica industriale e in generale la società.

La qualità del lavoro e dello sviluppo è un terreno fondamentale per il conflitto di classe... è importante riproporre un controllo popolare e dei lavoratori su cosa, come, per chi produrre, sulle scelte di economia industriale, sui prodotti e gli assetti del territorio. (33)

Per inciso notiamo il riferimento al conflitto di classe. Esso dimostra solo quanta confusione e quanto poco rigore vi sia nelle analisi di Rc che usa, secondo i casi, delle categorie concettuali e quelle ad esse opposte. Tornando al problema del cosiddetto controllo, già la vecchia interpretazione del Pci ne rappresentava una involuzione quando lo riduceva a compartecipazione della classe operaia alla politica industriale della borghesia; ora, Rc lo declassa ulteriormente proponendone una versione interclassista. Anche Gramsci, in questo modo, esce piuttosto malconcio dall’interpretazione che ne fa Rc.

Se consideriamo quello che Rc concretamente propone in materia squisitamente sindacale, troviamo le stupidità equivalenti a quelle proposte sul terreno politico. Abbiamo già evidenziato che questa organizzazione concepisce la difesa del salario e del posto di lavoro subordinandole all’aumento della produttività e a nuovi investimenti. Lo sottolineiamo ancora per meglio evidenziare che, partendo da questi presupposti, i proclami rivendicativi di Rc si riducono a mistificazioni della peggior specie nel momento in cui essi cozzano contro quelle compatibilità del capitale che la stessa Rc tiene tanto a rispettare.

Costruzione di comitati di lotta per il lavoro per rivendicare tutte le possibilità di lavoro esistenti a livello locale... reddito minimo garantito... riduzione dell’orario senza riduzione del salario... sicurezza del lavoro... lotta contro il drastico peggioramento delle tutele delle lavoratrici madri... difesa della scala mobile... diritto alla salute e a una prestazione sanitaria gratuita... una reale e forte redistribuzione del reddito... (34)

Sognare ad occhi aperti sarebbe bello se ciò non costasse alla classe operaia il prezzo di una ennesima scottante delusione! La classe operaia ha il sacrosanto diritto di rivendicare tutto ciò ma, o lo fa mettendo in primo piano la difesa esclusiva dei suoi interessi e trascurando le compatibilità poste dal capitalismo, oppure se lo fa partendo dagli stessi presupposti di Rc finisce per inseguire delle chimere e per soccombere dopo lotte inevitabilmente inconcludenti e destinate alla sconfitta.

La politica estera

La pace e un disarmo radicale, l’indipendenza di tutti i popoli e una nuova collaborazione a pari dignità tra di essi, sono criteri ispiratori che i comunisti propongono per la politica estera dell’Italia. (35)

Come realizzare questi bei propositi senza mettere in discussione la base dell’imperialismo cioè il capitalismo? Rc non si pone il problema o meglio lo risolve ipotizzando la possibilità di una diversa politica estera prescindendo proprio dalle leggi economiche capitalistiche, quelle che essa dice di accettare e sostenere. Proprio queste leggi, che si esprimono in un mercato fondato sulla concorrenza, impongono una permanente conflittualità tra le nazioni in campo commerciale e, in particolari momenti, anche in campo militare. È la forza del capitale finanziario che produce le potenze imperialistiche le quali, con il loro apparato economico e militare, sono in grado di imporre ai paesi più deboli rapporti economici svantaggiosi. Il divario tra le diverse aree della terra trova nell’imperialismo, cioè in una solida base materiale, la sua spiegazione. È falso ipotizzare bei mondi sottacendo sulle cause della miseria e delle guerre ed è mistificante ipotizzare fraternità tra i popoli lasciando intatti i rapporti di sfruttamento capitalistici che, ancora una volta, sono rapporti di sfruttamento tra borghesia e proletariato. Anche nei paesi poveri e sottosviluppati, Rc finge di non saperlo, esiste la borghesia, ricca come quella dei paesi avanzati, capace di ogni genere di atrocità nei confronti del proprio proletariato.

Questa borghesia non è oppressa da quella delle aree metropolitane ma piuttosto sua alleata perché se è vero che essa è subordinata alla borghesia dei paesi capitalistici economicamente più forti, è ancora più vero che si ripaga nei confronti di aree economiche più deboli e del proletariato interno al suo paese. Dunque, il problema non è quello dell’indipendenza dei popoli, del riequilibrio tra Nord e Sud, come dice Rc, ma quello dell’indipendenza e dell’emancipazione del proletariato nelle aree avanzate come in quelle arretrate. L’interclassismo di Rc la spinge a concepire la lotta per il superamento della dipendenza dei paesi arretrati come lotta tra popoli. Cosi facendo essa non può che sostenere il nazionalismo di questi paesi finendo per schierarsi con le borghesie delle nazioni arretrate. Ne è un esempio l’appoggio alla Palestina o a Cuba, situazioni in cui la borghesia esiste ed impone al proletariato lo sfruttamento.

Liquidazione delle alleanze militari... scioglimento della Nato... riduzione delle spese militari... riduzione della leva militare in una visione esclusivamente ed effettivamente difensiva... (36)

Ancora dei bei propositi che si scontrano con la realtà oggettiva dell’imperialismo, quell’imperialismo strettamente connaturato al capitale finanziario e alle leggi dell’accumulazione. Il pacifismo non ha mai posseduto gli strumenti teorici e pratici per opporsi alle guerre. Infatti il movimento pacifista si è sempre dileguato quando le guerre sono scoppiate ed in questo modo ha sempre disorientato il proletariato consegnandolo, sottomesso, all’interventismo. Inoltre, il pacifismo di Rc è connotato da sinistre venature militariste, strettamente coniugate alla visione europeista della sua politica estera:

la stessa prospettiva dell’Unita Europea va ormai ripensata. Bisogna pensare ad un’Europa che va dall’Atlantico agli Urali, con un sistema di sicurezza collettiva... con tutti i paesi europei collocati su un piano di parità.

Le potenze del vecchio continente stanno cercando di ergersi ad autonomo centro imperialistico nel momento del declino del vecchio bipolarismo. Questo è il contenuto sostanziale dell’europeismo. Rc, sostenendo questo progetto, richiamandosi alla necessità che debba essere accompagnato dalla costituzione di uno specifico esercito, si schiera apertamente con l’imperialismo. Né vale presentare questo processo reale, oggettivo, dovuto essenzialmente alla potenza economica di Germania e Francia, sotto diverse e mistificanti spoglie, quelle di una Europa fondata su una pacifica e fraterna alleanza degli stati. Altrettanto falso è ipotizzare un esercito europeo con finalità esclusivamente difensive. Questa è proprio la giustificazione con la quale ufficialmente, nelle carte costituzionali, la borghesia maschera il proprio militarismo. In questo modo, nonostante le contrarie affermazioni, Rc si colloca tra le forze politiche che obiettivamente sostengono l’imperialismo e il suo militarismo. D’altro canto tutta l’impostazione di Rc si basa su una visione nazionale dei problemi e delle presunte strategie per risolverli. Avendo presente che il nazionalismo è sempre la strada maestra che conduce all’interventismo quando le situazioni di crisi evolvono in aperti conflitti militari, si deve dedurre, anche da questo punto di vista, che Rc si candida come potenziale forza sostenitrice del patriottismo italiano. Il suo incessante richiamo ai valori della Resistenza e della Costituzione, valori che sintetizzano il risultato politico di quella strategia borghese che, nella forma particolare del movimento partigiano, ha trascinato il proletariato in guerra, costituisce già un inequivocabile ed ulteriore segnale della vocazione patriottarda e interventista di questa organizzazione politica. Con questi presupposti i richiami di Rc alla fraterna collaborazione e alla pacifica convivenza tra i popoli assumono il significato esclusivo di vuota e inconcludente retorica.

Conclusioni

Quanto abbiamo visto è sufficiente per collocare Rc tra le forze che sostengono il sistema borghese dato che i presupposti da cui essa parte sono la totale accettazione del capitalismo e delle sue istituzioni politiche. Il programma di questa organizzazione, finalizzato al rilancio dell’accumulazione e al sostegno della democrazia borghese, si caratterizza, oltre che da un marcato velleitarismo, da quel radicalismo piccolo borghese che colloca questa forza alla sinistra dello schieramento dei partiti borghesi. Per questo Rc può rappresentare un pericolo per il proletariato. Quest’ultimo vive oggi un fase particolare dello scontro di classe in quanto, venuti meno i suoi tradizionali punti di riferimento, Pci e sindacato innanzi tutto, si trova nella condizione di cercare nuovi orientamenti politici e nuove forme organizzative per tentare la difesa dei suoi interessi. Nel perdurante e irresolubile quadro della crisi capitalistica, se il fenomeno leghista può deviare il proletariato verso soluzioni ultracorporative e fascistoidi, altrettanto pericolosamente Rc può incanalare una eventuale mobilitazione della classe verso inconcludenti e ipotetiche prospettive neosocialdemocratiche. Gli incessanti richiami ai tradizionali valori del movimento operaio, le demagogiche parole d’ordine di difesa degli interessi dei lavoratori, i proclami a favore di una società più giusta, sono l’armamentario ideologico con il quale questa organizzazione tenterà di carpire il sostegno di settori più o meno ampi del proletariato e, soprattutto, tenterà di disorientare le avanguardie della classe rallentando il faticoso processo della loro riorganizzazione intorno ad un autentico programma comunista.

Carlo Lozito

(1) Dalla relazione introduttiva di S. Garavini al primo congresso di Rc riportata su Liberazione, giornale ufficiale dell’organizzazione, il 14 dicembre 1991.

(2) Vedi, ad esempio, il saggio di R. Dahrendorf Classi e conflitto di classe nella società industriale, ed. Universale Laterza.

(3) Vedi, per una approfondita analisi di questo periodo I nodi irrisolti dello stalinismo alla base della perestrojka, edizioni Prometeo.

(4) Dal documento politico di preparazione del primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 9 novembre 1991.

(5) Dal documento politico di preparazione del primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 9 novembre 1991.

(6) Vedi l’interessante saggio di G. Galli Storia del Pci, ed. Bompiani.

(7) Sui metodi adottati per conquistare la direzione del Pc d’Italia vedi il capitolo La bolscevizzazione del Pci del libro citato di G. Galli.

(8) Dalle conclusioni di S. Garavini al primo congresso di Rc riportate su Liberazione il 21 dicembre 1991.

(9) Dalla relazione introduttiva di S. Garavini al primo congresso di Rc riportata su Liberazione il 14 dicembre 1991.

(10) Dal programma elettorale riportato su Liberazione il 29 febbraio 1992.

(11) Dal documento politico di preparazione del primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 9 novembre 1991.

(12) Dalla relazione introduttiva di S. Garavini al primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 14 dicembre 1991.

(13) Dal documento politico di preparazione del primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 9 novembre 1991.

(14) Dal programma elettorale riportato su Liberazione il 29 febbraio 1992.

(15) Ibidem.

(16) Dalla relazione introduttiva di S. Garavini al primo congresso di Rc riportata su Liberazione il 14 dicembre 1991.

(17) Dal programma elettorale riportato su Liberazione il 29 febbraio 1992.

(18) Ibidem.

(19) Ibidem.

(20) Ibidem.

(21) Ibidem.

(22) Ibidem.

(23) Ibidem.

(24) Ibidem.

(25) Ibidem.

(26) Dal documento politico di preparazione del primo congresso di Rc riportato su Liberazione il 9 novembre 1991.

(27) Ibidem.

(28) Dal documento sulla questione sindacale, approvato al primo congresso di Rc, riportato su Liberazione il 21 dicembre 1991.

(29) vedi il nostro opuscolo Il sindacato nel terzo ciclo di accumulazione, edizioni Prometeo.

(30) Dal programma elettorale riportato su Liberazione il 29 febbraio 1992.

(31) Dal documento sulla questione sindacale, approvato al primo congresso di Rc, riportato su Liberazione il 21 dicembre 1991.

(32) Vedi il libro di O. Damen Gramsci tra idealismo e marxismo, edito da Prometeo.

(33) Dal documento sulla questione sindacale, approvato al primo congresso di Rc, riportato su Liberazione il 21 dicembre 1991.

(34) Ibidem.

(35) Dal programma elettorale riportato su Liberazione il 29 febbraio 1992.

(36) Ibidem.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.