Privatizzazioni ed interventi del capitale internazionale

Un esempio di legge sulle privatizzazioni: il caso sloveno

Una delle caratteristiche di fondo della legge sulla privatizzazione è che in Slovenia non c'è una sola agenzia statale che decide sulla sorte delle aziende, a differenza di quanto avviene negli altri paesi est-europei. È il segno della incapacità/impossibilità di trovare un accordo nella frammentata e poliedrica realtà della borghesia slovena. Lo stesso problema si ritrova dal punto di vista politico, con una grande frammentazione del quadro partitico, segno da una parte delle grosse difficoltà che la struttura economica porta fino alle "alte vette" del politico e dall'altra dell'esistenza di più interessi e di più varianti nell'affrontare la stessa situazione. Quindi, la decisione con cui avviene la privatizzazione delle aziende, è lasciata alla struttura manageriale, probabilmente l'unica che abbia le idee chiare!

È possibile combinare l'acquisto di azioni da parte dei lavoratori con la vendita ad imprenditori stranieri. Per un'impresa prossima al fallimento la soluzione migliore è l'acquisto in blocco da parte di un partner straniero. Esiste poi il caso in cui i lavoratori ed i dirigenti possono acquistare una parte o la maggioranza delle azioni di una società.

Se la società non è stata acquistata da un solo proprietario estero, cioè quando vengono combinati vari metodi di privatizzazione, allora il 40% del valore di un'impresa deve essere trasferito in vari "Fondi" che la legge divide in 3 gruppi:

  1. il 10% sarebbe rappresentato dal "Fondo pensioni";
  2. il 10% dal "Fondo risarcimenti", cioè servirebbe al risarcimento, secondo la legge sulla denazionalizzazione, degli antichi proprietari ai quali sarebbe impossibile restituire le proprietà in natura. Ambedue i "Fondi" hanno carattere statale;
  3. il restante 20% verrebbe trasferito a società finanziarie. Ne sarebbero fondate 10 che avrebbero quindi il 2% di azioni di tutte le imprese della Slovenia che hanno "seguito" questo modello di privatizzazione. Ma il controllo di queste società, al contrario di quanto succede in Occidente, sarà dello Stato e i dirigenti verranno scelti in base ad un concorso pubblico.

Ci rimane da vedere cosa succede al restante 60% del capitale di cui all'oggetto della nostra ricerca. L'altro 60% è rappresentato dal capitale sociale. In una azienda di media grandezza, il 20% delle azioni può essere suddiviso gratuitamente fra i dipendenti. Ogni cittadino riceverà un certificato del valore di 200 mila talleri col quale potrà acquistare le azioni dell'impresa in cui lavora. Se non intende farlo o è disoccupato potrà depositare il certificato alla società d'investimento e riceverà in cambio le azioni di quest'ultima società. La ditta può riservare il 40% delle azioni per una successiva divisione tra i lavoratori. Le azioni invendute in questa fase possono essere vendute in asta pubblica. La ditta può scegliere autonomamente un partner straniero o trasferire le azioni rimanenti al "Fondo di Sviluppo Statale" sia sotto forma di azioni ordinarie che privilegiate.

Una "curiosità" per chiudere. Le possibilità per stabilire il valore di un'impresa sono diverse. Una è il valore derivante dai libri contabili. Molto spesso il valore sui libri contabili è sottostimato e da questa sottostima (e dai mancati controlli nonché dallo Stato che ha chiuso entrambi gli occhi) hanno preso il via le acquisizioni sotto prezzo dei manager che così si sono ripresi le loro fabbriche a prezzi di... realizzo.

Il programma PHARE

Il Phare è un programma d'intervento economico attivato dal Gruppo dei 7 nel luglio 1989. Attualmente partecipano al programma i 24 paesi industrializzati dell'Occidente. È stato pensato per la "ricostruzione economica" dei paesi dell'Est. Il programma si occupa di finanziare joint-venture con l'Europa centrale ed orientale. I finanziamenti CEE sono solo una delle possibili forme di sostegno alle joint-venture in questi paesi: non bisogna dimenticare e/o sottovalutare il ruolo della BERS (Banca Europea Ricostruzione e Sviluppo), della Banca Mondiale e di altri singoli paesi e società finanziarie private. Il programma Phare volto inizialmente a sostenere azioni di cooperazione nei settori "considerati prioritari" per i paesi beneficiari (agricoltura, sviluppo rurale, ristrutturazione del sistema finanziario e bancario attraverso la fornitura di beni e servizi) recentemente è stato ampliato al fine di "incoraggiare ed aiutare le imprese comunitarie a formare e consolidare joint-venture con partner dei Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale". I fondi comunitari (20 milioni di ECU) sono disponibili attraverso le istituzioni finanziarie facenti parte della rete di "sportelli" del programma. Ad esempio, per l'Italia abbiamo la BNL, la Cariplo, l'IMI e l'Istituto Bancario S. Paolo di Torino. A far parte della rete sono 34 istituti finanziari e due organismi multilaterali, la BERS e l'Interantinal Finance Corporation.

La Croazia, attualmente, non rientra nel programma Phare, mentre la Slovenia è stata inserita nella lista di quelli che possono ottenere dei contributi appena ai primi di luglio.

La Slovenia, potenzialmente, sarebbe uno di quei paesi piccoli ma con un alto bisogno di "aiuto" da parte della CEE. Sarebbe ad esempio da mettere a posto la rete di metanizzazione slovena, per cui è stata contattata l'italiana Italgas. Però il tutto non è facile. La Slovenia deve importare una buona fetta della propria energia: ben il 40% del fabbisogno di energia per l'industria viene dal gas importato dagli stati dell'ex federazione Sovietica. La fornitura veniva pagata con l'esportazione di prodotti delle ditte slovene di pari valore, ma negli ultimi mesi la Slovenia non ha pagato. L'ex Unione Sovietica minaccia una chiusura totale dell'erogazione del gas e contemporaneamente per gli sloveni inizia il periodo in cui tirare la cinghia. Le vendite di impianti sono calate del 20% e i consumi sono tornati a livello dell'81 quando la metanizzazione era appena agli inizi. I problemi non si fermano qui. L'attesa sarà lunga pure per il rinnovo degli accordi CEE-Slovenia come continuazione degli accordi cooperativi tra CEE e Federazione Jugoslava firmati nell'80 ed ora bloccati dalla CEE stessa il 25 novembre 1991 a causa del conflitto, della crisi economica e della situazione poco chiara nei Balcani.

L'ultimo prestito della BEI (Banca Europea degli Investimenti) era del giugno 1991 per tutta la Federazione e ammontava a 1130 miliardi di lire a tasso agevolato. La decisione della CEE ha però colpito duramente la Slovenia che fino ad allora nel contesto di questi accordi aveva potuto esportare esente dai diritti doganali il 98% dei prodotti industriali che vendeva sul mercato CEE ed esportare a condizioni particolarmente favorevoli il 28% dei prodotti agricoli che piazzava sul mercato comunitario. La CEE rappresenta il partner commerciale più importante di Ljubljana con il 58% dell'interscambio. Inoltre cosa da non dimenticare, nel 1991 il 73% degli investimenti stranieri in Slovenia erano comunitari.

Il punto più importante, quindi, per la Slovenia sarebbe il ripristino di una qualche forma di cooperazione con la CEE, per mezzo di trattamenti doganali preferenziali per i prodotti industriali, agricoli e zootecnici. Indispensabile è pure la concessione di prestiti a tasso agevolato (300 miliardi di lire in 5 anni) che andrebbero a finanziare la costruzione della rete stradale ed autostradale e le telecomunicazioni. Nell'ammodernamento delle ferrovie slovene è già pronta ad investire l'austriaca Voest-Alpine.

Una fase del programma Phare si sta svolgendo tramite l'agenzia Mondimpresa. Questa è in sostanza una agenzia per la mondializzazione dell'impresa che coordina tutte le attività del sistema camerale italiano rivolte all'estero. Un minimo di accordi e di scambio di "know how" vi è già stato con visite e seminari tra le Camere di Commercio italiane e la Camera dell'Economia Slovena. Il budget dei progetti per la Slovenia della Unioncamere era nel 1991 di (soli) 10 miliardi di lire.

L'esempio della costruzione di strade ed autostrade in Slovenia

Chi viaggi oggi in Slovenia sulle strade o sulle autostrade si rende conto di quanto siano malandate. Mentre si spendono soldi per i carri armati o per la contraerea, non si fa un passo per mettere un po' in ordine il sistema viario della Repubblica, peraltro di piccole dimensioni!

Qualcosa, comunque, sta cambiando ma ancora una volta, non per volontà del governo sloveno. La CEE si sta interessando e sta centellinando i fondi per la costruzione delle infrastrutture autostradali, il cui tratto fondamentale è l'autostrada che da (circa) Jesenice arriva a Rijeka. L'affare per la CEE è più che evidente, non è certamente il cuore che muove i soldi, ma il calcolo economico che sta a monte. La CEE costruirà le autostrade che poi torneranno utili a lei. È importante avere delle linee di collegamento funzionali per i commerci con l'area balcanica si, ma in special modo il transito delle merci è pensato per collegare Grecia e Turchia ai colossi commerciali europei. Così alla Slovenia vengono concessi 15 miliardi di lire all'interno del programma Phare per costruire anche queste linee di comunicazione. I soldi sono pochini, ma si sa che in Slovenia sono sufficienti per smuovere "un certo tipo di lavoro". Essenzialmente sono 3 i "nodi" su cui si svolgeranno le possibilità di costruzione, ammodernamento e gestione delle vie di comunicazione slovene:

  1. I fondi internazionali, in primissimo luogo europei, che hanno interesse ai collegamenti con tutta la parte orientale e sud - orientale dell'Europa.
  2. I fondi del governo sloveno, in verità molto pochi e ottenibili unicamente con la destinazione di una quota del ricavato dalla vendita della benzina.
  3. Le concessioni ad aziende estere. Cioè, costruzione e gestione delle autostrade da parte di ditte straniere. Però, il tratto autostradale in questione dovrebbe avere un'intensità di traffico tra le 25 000 e le 30 000 vetture al giorno. In Slovenia, 2 anni fa, la densità oscillava tra le 7 000 e le 12 000 vetture al giorno. Forse questi dati vanno aggiornati ma rimane il fatto che gli investitori guardano al profitto, cioè in questo caso, chi ha la concessione del tratto autostradale si preoccupa innanzitutto dell'intensità del traffico.

Per l'autostrada Trieste-Rijeka in fase di inizio lavori, oltre ai croati che contribuiscono con una S.p.a., c'è pure la regione Veneto, intenzionata ormai a "far da sé".

Il caso siderurgico

Anche in Slovenia, come in diversi altri paesi, la crisi dell'acciaio è conclamata. Obiettivo della borghesia slovena è la ristrutturazione, anche attraverso le privatizzazioni, delle ferriere di Jesenice, Store e Ravne. Già da tempo in questi impianti nati nel secolo scorso ad opera di una società finanziaria austriaca (la stessa che costruì anche la Ferriera di Servola a Trieste) ed impostati sotto il periodo del capitalismo di Stato che aveva destinato la produzione a livello estensivo e sull'industria pesante, vi sono state delle riduzioni di personale proprio perché il "mercato è in declino". Tanto per fare un esempio, a Jesenice, fino a qualche anno fa, lavoravano 15 000 operai; oggi sono ridotti ad 11 000.

Oltre alla crisi internazionale del settore siderurgico, in Slovenia pesa molto anche un altro fattore: la perdita, di questi ultimissimi anni, dei mercati jugoslavi e dell'Est europeo. Su questa base era stato costruito il settore siderurgico sloveno, capace di una produzione di 900 000 tonnellate annue. Essendo decaduti i summenzionati mercati, oggi, il settore funziona unicamente per il fabbisogno interno, per un totale di 180 000 tonnellate. La sovrapproduzione, quindi, ammonta ad oltre 700 000 tonnellate! Il punto da affrontare, allora, consiste nella ristrutturazione e nella riduzione della produzione. Il deficit complessivo ammonta a circa 500 milioni di marchi, i creditori sono il governo e le banche ex-statali ed ora "nazionali", nonché (ma la notizia non è provata al cento per cento) anche l'ente per l'erogazione dell'energia elettrica dello Stato Sloveno. Per compiere il difficile passo della ristrutturazione, però, è indispensabile il capitale straniero. È da un po' di tempo che la coalizione Demos (politicamente a destra ed anticomunista) diretta dal democristiano Peterlè si stava sbattendo in tutti i modi per risolvere il tutto. Era stata infatti affidata alla società svizzera Intek Consulting, già da gennaio la stesura del programma di privatizzazione del settore. L'offerta era poi stata rifiutata dal governo Sloveno, mentre nel frattempo a Peterlè alla direzione del governo è succeduto Drnovsek. Ecco che si rifà viva, ai primi di agosto, la società svizzera con un possibile "interessatissimo" partner occidentale (di cui non s'è fatto ancora trapelare il nome) interessato ad acquisire una partecipazione di maggioranza. Ai primi di settembre veniamo informati che le offerte per l'acquisizione del pacchetto azionario di queste aziende, ammontano a tre: due da parte di gruppi italiani ed uno statunitense. Su questo balletto di rinunce, smentite e riconferme improvvise, si inserisce anchelo scontro totalmente interno alla borghesia, con gli ex burocrati di Stato, ex borghesi dominanti in quel paese. Il manager di Stato Andrej Aplenc, cacciato dal governo e l'opposizione hanno attaccato duramente il governo in carica accusandolo di svendere l'industria di base agli stranieri.

Dall'altra parte, per la classe operaia, si tratta di perdere posti di lavoro e potere contrattuale sul lavoro, facendo così pendere in modo eclatante la bilancia dei rapporti di forza fra le classi dalla parte della borghesia. Si tratterà, oltre che dei licenziamenti, di ridurre la produzione alle esigenze europee, che in questo settore sono molto restrittive.

Rimanendo sempre nella siderurgia, è stato firmato, il 10 luglio, un accordo di joint-venture tra il Gruppo Cividale e le acciaierie di Ravne in Slovenia. È stata all'uopo costituita la Safex S.p.a. con sede a Gorizia e un capitale iniziale di 200 milioni. Il rapporto fra il gruppo friulano e quello sloveno sarà paritetico con un'alternanza a livello di presidenza e di organismi di gestione della nuova società e si svilupperà soprattutto sul piano commerciale, non escludendo per il futuro anche quello produttivo. Il Gruppo Cividale opera in vari settori, dalle lavorazioni e costruzioni meccaniche all'impiantistica industriale e civile, all'edilizia. L'attività principale del gruppo è rappresentata dal settore della fonderia in acciaio, con una produzione che copre il 25% di quella nazionale. Dal canto loro le acciaierie di Ravne, con 4 500 dipendenti e circa 100 milioni di dollari di esportazioni nel 1991, rappresentano una delle aziende più importanti di tutto il territorio ex jugoslavo nel settore della fusione e lavorazione dell'acciaio. Alla base dell'accordo vi è:

l'interesse del gruppo friulano di aprire un importante canale verso i mercati dell'est europeo e per l'industria slovena di penetrare nel mercato italiano e comunitario.

Rimane quindi confermato un dato che i marxisti evidenziano già da un bel po': in quei paesi non è possibile un futuro produttivo senza l'apporto del capitale straniero (leggi occidentale); la borghesia autoctona diventando partner del grande capitale occidentale, diverrà effettivamente parte della classe borghese internazionale a cui si legherà in modo sempre più indissolubile in una intricata e necessaria rete di interessi economici, in un modo più evidente di quello che è oggi; in quei paesi non ci sarà un nuovo trend evolutivo del mercato, ma le regole dello stesso saranno dettate interamente dall'andamento del ciclo economico internazionale (in discesa) nel quale le economie "evolute" occidentali fanno solamente da battistrada: in questa fase del ciclo economico si parla infatti di riduzione di personale e della produzione e non di sviluppo di questi 2 parametri.

La questione abitativa in Croazia

In Croazia si è aperta la questione della privatizzazione delle abitazioni che sotto il governo Federale erano "proprietà sociale". L'obiettivo del governo è quello di monetizzare la ex proprietà Federale con l'entrata di soldi nelle casse statali e imposizioni di balzelli, tasse di soggiorno ecc. L'entrata del capitale straniero è benvista, chi vuole comprare la casa in Croazia deve inoltrare domanda al governo centrale di Zagabria che in 3 mesi da il benestare (o meno) all'operazione. Una parte portante del progetto, risiede nell'espulsione dei proprietari di case ex jugoslavi (Serbi, Sloveni...), i quali devono entro breve (il termine sarà deciso dal governo quest'anno) vendere le loro proprietà (leggi seconde case) ed andarsene.

Il problema (solito) della Croazia risiede nella scarsa disponibilità di liquidi da parte della stragrande maggioranza dei cittadini, soprattutto dopo che il governo alla fine dell'inverno ha bloccato tutti i risparmi in valuta dei cittadini croati. Nonostante siano 2 anni quasi che si sta cercando di lanciare in grande stile questa iniziativa, finora in tutto il paese sono stati acquistati solo 20000 appartamenti di "proprietà sociale", cioè il 10% del numero complessivo di appartamenti della Repubblica destinati all'acquisto dei cittadini. Il valore degli appartamenti acquistati si aggira sui 200 milioni di marchi. Al momento, il 50% degli appartamenti venduti sono stati acquistati in valuta straniera. A Rijeka il 90% dei cittadini ha acquistato alloggi versando valuta straniera, a Zagabria la percentuale scende all'80%.

Tanto per chiarire la difficoltà con cui si procede alla privatizzazione degli alloggi, alcuni mesi fa a Labin l'ufficio competente ha ricevuto solo 233 richieste per l'acquisto di appartamenti e in seguito solo 18 persone hanno firmato il contratto e di queste 6 hanno acquistato l'alloggio.

I porti

Alla metà di settembre è stato costituita la società mista Italo - Slovena "Procaffè". Si tratta di una operazione realizzata grazie all'interesse nei confronti dello scalo di Koper da parte di imprenditori del Bellunese. La nascita della società mista, porta alla costruzione di uno stabilimento con capacità produttive (trattamento, torrefazione e confezione sotto il marchio "Eisner") da ultimare entro marzo 1993. Il valore dell'investimento si aggira intorno ai 3,5 miliardi di lire.

Contemporaneamente, a dimostrare l'interesse per gli operatori pubblici e privati che di fatto porta il porto di Koper ad una concorrenza diretta con Rijeka e Trieste, è stata costituita una società mista formata da Sloveni, Italiani e Ungheresi per la costruzione di un terminal per il ricovero del bestiame sul Molo 2 del porto. La società, denominata FIL, ha già stanziato con proporzionalità rigorosamente ad un terzo ciascuno, 3 milioni di dollari. Sono complessivamente 150 mila bovini ed altrettanti ovini che annualmente dall'Europa centrale "partono" per raggiungere i paesi del Nord Africa e del vicino Oriente. Lo scalo di Koper servirà a far riposare il bestiame ed a foraggiarlo prima di proseguire il viaggio verso i mercati di destinazione. L'obiettivo, quindi, è quello di conquistare una fetta di questo mercato.

Per lo scalo istriano è inoltre previsto un ampliamento delle possibilità ricettive per mezzo di nuovi magazzini ed un terminal. Costo dell'operazione, 50 milioni di dollari. Di questi, 27 saranno "sganciati" dallo Stato Sloveno.

Il settore dell'auto

La Cimos di Koper è concessionaria slovena della Citroen, nonché produttrice di pezzi di ricambio della stessa sia per i mercati circostanti che per il mercato mondiale. L'accordo, rinnovato ultimamente, è valido fino al 2000. La partecipazione della Citroen alla cooperazione con l'azienda Slovena si manifesta in questo modo: all'80% con l'invio diretto di automobili e il restante 20% in contanti.

Anche tedeschi ed italiani hanno una rete di commercializzazione, in tutta l'ex federazione. I primi hanno un rapporto ormai "storico" con tutta l'ex federazione; la Volkswagen viene prodotta nello stabilimento TAS di Sarajevo e quindi commercializzata anche in Slovenia e Croazia. Inoltre la stessa azienda statale TAM produce su progetti tedeschi.

I secondi commercializzavano le Fiat tramite l'azienda statale Zastava; negli stabilimenti di Kragujevac in Serbia si costruivano automobili sia di tipo Fiat che in collaborazione. La Zastava vendeva sul mercato jugoslavo anche automobili prodotte negli stabilimenti italiani.

All'inizio del 1992 è stato aperto un ufficio di rappresentanza a Ljubljana, per assistere i possessori di veicoli Fiat acquistati tramite Zastava. Poi i veicoli Fiat sono stati commercializzati dalla Adriaimpex di Trieste che aveva creato delle società in Slovenia. L'Alfa Romeo è rappresentata, invece, dalla Cosmos-Autotehna che già in precedenza aveva competenza su tutto il mercato jugoslavo.

Il caso della slovena Elan

La fabbrica Elan di Begunje, località della Gorenjska, è conosciuta come produttrice di sci e barche a vela. Mesi fa si è chiuso il procedimento fallimentare e l'impresa da allora è gestita dalla "Komel" una ditta che riunisce i creditori sloveni (25%) e croati (75%) della fabbrica slovena. L'acquisto è stato possibile grazie al credito assegnato alla "Komel" dalla Privredna Banka di Zagreb. L'Elan dopo il passaggio di proprietà è divenuta una S.p.a. con un capitale di oltre 90 miliardi di lire. La "Komel" possiede il 20% delle azioni, mentre un altro 10% è stato venduto sul mercato per cercare i finanziamenti. L'altro 70% rimane in mano alla Privredna Banka dietro alla quale ci sono i consulenti della Invest Zentral Europa di Vienna in azione già dal 1991. Praticamente chiunque sia interessato ad una partnership deve rivolgersi a Vienna. Nessuna proposta di collaborazione seria, finora, anche se contatti sono stati presi da ditte slovene, europee e dell'estremo oriente. La gestione dell'Elan è ora della croata Consult Investe di Varazdin.

Il caso Ferotehna

La Ferotehna di Izola (Slovenia) ha subito il fallimento l'anno scorso. È stata quindi rilevata dalla Kovinotehna di Celje (Slovenia). L'acquisto è costato circa un miliardo e 800 milioni di lire, in più l'impresa di Celje ha dovuto regolare 1100 milioni di pendenze ipotecarie verso altre imprese. Risultato dell'acquisto: l'apertura, l'11 luglio ad Izola del "Ruda Center" un negozio di 300 metri quadri per la vendita di prodotti igienico-sanitari. È il primo passo verso la realizzazione del centro commerciale da parte di Kovinotehna/Ferotehna per la vendita di impianti di riscaldamento, igienico-sanitari, elettrodomestici, ecc. La Kovinotehna ha una buona rete societaria e di clienti in tutta la Slovenia e nei paesi confinanti ed è un punto di riferimento per le forniture del terziario nel capodistriano. Per quanto riguarda i prodotti che saranno presenti nel centro commerciale di prossima costruzione alle spalle di Kovinotehna ci sono 2 società: una austro-statunitense e una multinazionale. Per la realizzazione del centro commerciale, la Kovinotehna investirà dai 3 ai 4,5 miliardi di lire.

L'interesse del capitale est-europeo: il caso cecoslovacco

La collaborazione economica tra la Croazia, in particolare il porto di Rijeka, e la Cecoslovacchia data ormai alcuni decenni. In particolare l'Ente portuale di Rijeka "Luka" data una proficua collaborazione con i cecoslovacchi dal 1958 quando furono manipolate 90 000 tonnellate di merce. Già nel 1963 si arrivò al milione di tonnellate. Gli scambi di merci sono stati incentivati dalla costruzione dello scalo minerario di Buccari dove si realizza il maggior transito di minerali e ferro per conto della Cecoslovacchia. La "Luka" ha una rappresentanza a Praga, ed ora, dai primi di settembre anche a Bratislava. La separazione tra Slovacchia e Boemia, non danneggerà l'interscambio con la Croazia, infatti è proprio la Slovacchia ad affidarsi allo scalo di Rijeka per posizione geografica, mentre la Boemia per identiche ragioni che poi incidono anche sul discorso economico si affida maggiormente al porto di Amburgo.

Con gli scambi commerciali con la Cecoslovacchia sono stati realizzati negli ultimi anni giri d'affari di 2,4 miliardi di dollari. L'interscambio con la Cecoslovacchia ha portato nella regione di Rijeka, nel 1990, 49,3 milioni di dollari. Quest'anno particolarmente proficui risultano i settori del turismo, dove l'ospite cecoslovacco è al 7o posto in termini di pernottamento. Questo sviluppo del turismo è stato permesso grazie agli accordi con la cecoslovacca "Vitkovice Tours", tramite la quale nella regione istro-quarnerina soggiornarono 1000 vacanzieri cecoslovacchi, da parte di 36 agenzie operanti nel territorio.

Per tutti questi motivi sono stati organizzati ad Opatija degli incontri tra businessmen cecoslovacchi e croati ai primi di settembre. I cecoslovacchi sono interessati al processo di privatizzazione della Croazia, soprattutto al porto di loro primario interesse. Per il momento è costituita l'azienda com­merciale a capitale misto "Cecro".

La zona franca integrale di Rijeka in Croazia

Si tratta di un'area di 7 milioni e mezzo di metri quadri a Rijeka appunto, che si avvale, oltre che della franchigia doganale, anche di sgravi fiscali e facilitazioni nel settore produttivo, commerciale, bancario e finanziario. Il progetto è già operativo; al suo interno vi sono già oltre 100 aziende stra­niere. La zona franca si snoda in 15 chilometri di banchine operative: si tratta delle aree riservate all'Ente Porto, agli stabilimenti navalmeccanici "3 maj" e "Kraljevica", al cantiere di riparazioni navali "Viktor Lenac", alcune zone turistico alberghiere e la zona industriale "Kukuljanovo". La zona franca integrale che diverrà S.p.a., avrà sei settori d'attività: commerciale, finanziario, industriale, turistico-alberghiero, informatico e scientifico-tecnologico. Tra i soci fondatori figurano una trentina di imprese croate che nei prossimi 5 anni si assumeranno investimenti nell'ordine di un miliardo e mezzo di marchi. Una buona parte della cifra è da destinare all'edificazione di capannoni, depositi, officine e uffici. I contatti, per insediamenti nella zona franca, si contano con banche italiane, austriache, ungheresi, tedesche e olandesi e un istituto finanziario di Hong Kong. Forte l'interesse dell'italiana Agip. Tutti i contatti sono subordinati alla promulgazione della legge che regola la creazione di banche a capitale misto. A titolo di notizia, si segnala lo scarso o quasi nullo interesse da parte delle banche locali.

All'interno della zona franca è operativa la ditta veronese "Lumik" in società con una ditta croata. Produce capi d'abbigliamento maschile e da lavoro a 200 persone, quasi tutte donne. L'investimento degli scaligeri è stato di 3,8 miliardi di lire. La ditta opera in piena franchigia doganale. Il 50% della produzione, per legge, dev'essere destinato al mercato extra - croato. Il "giro d'affari" annuo è di circa 10 milioni di dollari.

È prossima l'apertura di un capannone della Fiat per la produzione di pezzi di ricambio.

Contatti col capitale internazionale ce ne sono molti: israeliani, austriaci ed italiani sono particolarmente interessati alle strutture del tempo libero presenti in zona, in particolare dell'azienda turistico-alberghiera "Liburnia Riviera Hotels", una delle maggiori dell'area istro-quarnerina. Inoltre, irresponsabili dell'agenzia "Global" di Bologna hanno passato in rassegnale località di Crikvenica e Senj interessati al turismo, alla maricoltura, mentre a Rijeka gli stessi si muovono per l'apertura di una banca a capitale misto.

Tornando all'interessamento di Hong Kong, possiamo dire che il ruolo principale è svolto dall'impresa "Famebond", interessata alla produzione di automobili ed alta tecnologia. Se la guerra finisse e se la situazione economica migliorasse, sarebbe molto più facile investire come vorrebbe Hong Kong, in infrastrutture in Slovenia e Croazia (rete ferroviaria e stradale). Contemporaneamente gli ungheresi hanno offerto alle imprese di Hong Kong, in diretta concorrenza con la Croazia, la zona del lago Balaton, sviluppando la tesi secondo cui la zona non è lontana dal mare e avrebbe possibilità di espansione territoriale a differenza di Rijeka (e anche di Koper) i cui territori sono geograficamente ristretti.

Vari esempi di privatizzazioni e di inserimenti occidentali

  • Il 10 luglio è stata costituita la società mista italo-slovena Soca-Coop, con una partecipazione iniziale di 200 milioni di lire da ciascuna parte. Dietro le due società che si occupano di supermercati e grandi magazzini, ci sono le rispettive Camere di Commercio. Le Coop (di Trieste) allargheranno la propria rete di vendita alla Slovenia mentre la Soca amplierà la sua offerta nel settore alimentare. Gli scambi commerciali di import-export si baseranno sulla compensazione, in modo da ovviare al problema delle dogane e al contingentamento delle importazioni, in Slovenia, dei generi alimentari.
  • Alla fabbrica di generatori elettrici TESU di Pula i dipendenti si sono "impegnati" al riscatto quinquennale del 41% del pacchetto azionario della holding ed hanno già versato le prime 3 rate.
  • Alla MERKANT di Pula la privatizzazione è ultimata in agosto. L'azienda si occupa di commercio al minuto ed all'ingrosso, alberghi, ristorazione, cambio valute, macellazione e conservazione delle carni, allevamento di animali domestici e selvaggina. Ha 274 dipendenti. Ora l'azienda è una S.p.a., totalmente privatizzata ed è uno dei pochi esempi in questo senso nel polese ed in tutta la Croazia. Infatti, i 193 azionisti sono tutti dipendenti i quali hanno comprato la loro ditta con l'obbligo di riscattarla entro 5 anni. Il capitale sociale della ditta ammonta a 8 milioni 542 mila marchi. Infine, un cenno marginale, riguarda l'indennità riservata ai consiglieri: 400 marchi mensili al presidente e 300 ai due componenti del CdA.
  • Il 25 luglio è stato siglato un accordo tra il Fondo della Repubblica di Slovenia (l'agenzia incaricata della ristrutturazione delle imprese), la cartiera Kolicevo e la società milanese Saffa che è diventata proprietaria del 76% della cartiera. Inglobando la cartiera, la ditta milanese punta all'espansione verso i mercati dell'est. Finanziariamente il contratto, rappresenta l'acquisto del capitale di proprietà della cartiera e contemporaneamente l'aumento dello stesso. Questi investimenti permetteranno un aumento della produzione della carta che raggiungerà le 150 mila tonnellate.
  • Quest'estate è nata l'Assorest, un'associazione che favorisce gli scambi culturali, artistici e in futuro si spera anche economici tra il Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia. Si tratta di una cooperativa di privati, di cui fanno parte uomini di cultura, imprenditori, economisti ed artisti. A Ljubljana, Assorest ha appoggiato finanziariamente una prima manifestazione artistica: una mostra di quadri di autori triestini, goriziani e neozelandesi.
  • Il 12 giugno è stato firmato il contratto preliminare tra l'ILVA, le acciaierie di Piombino e la Cokeria di Buccari (Rijeka). In questo modo ai croati è assicurata la produzione per "un altro decennio" grazie all'appoggio dei partner italiani entrati in società.
  • A Pula è operativa da quasi 18 mesi la "Herculanea", società mista di pulizia urbana con capitale per metà del Comune di Pula e per metà di proprietà dell'imprenditore bresciano Francesco Frank. È prevista pure la fornitura sia al Comune di Pula che ad altri comuni croati delle macchine ed attrezzature per la pulizia urbana. Dietro all'imprenditore bresciano ci sono altre aziende, tra cui; Eurorifiuti e Baribbi.
  • Il complesso termale di Rogaska Slatina (una dozzina di alberghi, un campo da golf ed ora pure una clinica odontoiatrica) apre al capitale straniero. Le terme sono diventate S.p.a. in cerca soprattutto di capitali stranieri e sono stati emessi titoli per 20 milioni di marchi. Si tratta comunque di un'emissione di minoranza mentre la maggioranza del capitale rimane in mano pubblica. La scelta del "riordino proprietario" è stata presa in seguito alla crisi succeduta alla fine della Federazione, a causa della quale il calo di ospiti è stato del 60%.
  • Quest'estate è nata la "Boral S.p.a." quale erede della vetreria polese "B. Kidric". La "privatizzazione" è stata totale: ai 367 dipendenti è andato il 27,8% del pacchetto azionario, un ulteriore 10% è stato rilevato da 6 aziende in virtù dei crediti pendenti con la vetreria. Tutto il resto invece è andato agli Enti Assistenziali, cioè alla Previdenza Sociale...in definitiva allo Stato. Il capitale sociale ammonta a 9 milioni 848 mila marchi. L'azzeramento del passivo di 6 milioni di marchi è stato quindi attuato nella maniera sopra esposta. La vetreria punta soprattutto al mercato cecoslovacco.
  • Il "Glas Istre", azienda giornalistico editoriale, si è costituito in S.p.a.. Il capitale sociale ammonta ad 1 milione 631 mila marchi. In questa prima fase la totalità del capitale azionario è stata iscritta dai dipendenti (84-) i quali hanno già versato la prima rata del riscatto quinquennale. È ovvio, comunque, che sulla strada della completa privatizzazione i dipendenti dovranno cedere buona parte del pacchetto. "Abbiamo ricevuto -- dice il direttore Zeljko Zmak -- una decina di offerte, di cui un paio molto interessanti". I dipendenti possono riscattare sino al 50% del pacchetto azionario godendo della parità dinaro-marco in vigore il giorno della presentazione della richiesta di riconversione. Il rimanente 50% può essere acquistato al cambio ufficiale in vigore il giorno del pagamento.
  • Anche la Siporex è una S.p.a.. Con lo stipendio riscosso il 25 agosto i dipendenti dell'azienda hanno versato la prima rata (dai 3 000 ai 5 000 dinari) del riscatto quinquennale delle azioni. Il capitale sociale ammonta a 5 964 000 marchi. Le azioni sono state comprate da: dipendenti e pensionati (28,5%),dalla Banca Istriana (5,6%) in virtù della conversione del debito in azioni, e per lo stesso motivo lo 0,6% è andato alla ditta Gradine. Il rimanente 65% e rotti entra in possesso del "Fondo governativo per lo sviluppo" che è tenuto, per legge, a girarle ad enti previdenziali o a metterle in vendita. Non è esclusa, comunque, la ricapitalizzazione futura ad opera dei tedeschi, che stanno aspettando entri nell'affare anche un'altra ditta, a suo tempo fallita, la Mikrosil, che forniva materie prime alla Siporex.
  • Anche al "Novi List", giornale istriano, sta procedendo la privatizzazione. Al 5 giugno di quest'anno già il 42,8% dell'impresa era stato privatizzato col sistema delle azioni interne.
  • L'imprenditoria austriaca s'è inserita nel mercato sloveno con l'apertura di alcuni distributori di carburante. È proprio dalla raffineria di Schwechat presso Vienna che arriva una buona parte del carburante venduto in Slovenia (dell'entrata sul mercato sloveno del sistema bancario austriaco si parla nel capitolo "La situazione economica: la crisi e le ripercussioni sociali").