Globalizzazione e lotta di classe

Qualche tesi sulla classe nella globalizzazione

Ristrutturazione dell'apparato produttivo da una parte e caduta del muro di Berlino dall'altra, oltre ai fenomeni che siamo andati esaminando su questa rivista, fino a questo numero, hanno portato a importanti modifiche dell'usuale pensiero "di sinistra" (borghese) su molti fronti. Fra questi è l'atteggiamento nei confronti della classe.

Le mutazioni intervenute nella composizione di classe a seguito della ristrutturazione in risposta alla crisi del ciclo di accumulazione e i problemi politici e di prospettiva ad esse connessi sono stati anch'essi oggetto di precedenti articoli (1) che cercheremo qui di riportare a sintesi per ribadire i concetti basilari del marxismo e verificarne la validità del metodo, mentre contrasteremo le tesi emergenti che spacciandosi per nuove vanno di fatto a ripescare nel più frustro arsenale del riformismo.

La premessa di sempre

Il termine generico "di sinistra", può dar luogo a diverse interpretazioni e di fatto dà di che scrivere a non pochi intellettualoni e intellettualini - da Norberto Bobbio agli scrittorelli de Il Manifesto. Per quanto riguarda noi marxisti, e perciò militanti di classe proletaria (ché gli altri sono, al più, marxologi), non ci consideriamo "di sinistra" in rapporto alla scena politica offerta dalla formazione sociale presente. La scena politica non può che essere occupata da chi fa politica, cioè da quanti esercitano o pretendono di esercitare l'arte del governo e amministrazione dello stato di cose presente. Far politica in senso proprio significa avanzare un proprio più o meno particolare programma e/o metodo di guida della società così come essa si presenta, ovvero sulla base del modo di produzione dato e quale risultato delle precedenti vicende economiche, sociali e politiche.

Politica è l'arte della mediazione: mediazione fra interessi diversi.

Nello stato e nell'epoca democratica o socialdemocratica, gli interessi mediati possono essere anche storicamente antagonisti.

Democrazia e socialdemocrazia sono le migliori maschere della dittatura borghese proprio perché agiscono come mediazione fra gli interessi del capitale e quelli del lavoro, all'interno delle "sacre istituzioni". La difesa del proletariato dentro e attraverso le istituzioni, non le nega mai e ovviamente non può rifiutare il modo di produzione per la difesa del quale esse esistono.

Prima, in Europa, il cittadino era più o meno uguale di fronte alla legge, eccetera, ma il diritto di voto era solo per coloro che ne avevano titolo: i ricchi.

Quando il movimento socialista conquistò il suffragio universale, molti socialisti credettero di aver conquistato la possibilità di raggiungere il socialismo senza la rivoluzione. Ma essi conquistarono il suffragio universale proprio perché già avevano scambiato quello e la conseguente concezione della politica, per l'obiettivo strategico del movimento di classe, fornendo così alla borghesia il concreto soggetto politico della democratica "mediazione". Essi erano esattamente tale soggetto politico. Essi erano la Sinistra. E quando mostrarono la loro incapacità a controllare la lotta di classe operaia, che minacciava l'ordine capitalista e il potere borghese, la classe dominante fu lesta a rimpiazzare la democrazia con l'altra faccia del suo dominio: la dittatura, il fascismo.

Nel frattempo, la rivoluzione proletaria russa non poté proseguire nella sua strada. Ebbe luogo una vera e propria controrivoluzione all'interno del partito stato russo e, conseguentemente, la Terza Internazionale guidata dal partito russo, saltò il fossato.

Le avanguardia della classe operaia, le teste pensanti e gli stati maggiori del proletariato, non riconobbero quel che avveniva sotto i loro occhi e credettero alla bugia storicamente tragica che la Russia stava ancora costruendo il socialismo ed era la patria della classe operaia internazionale.

Fino a che diedero supporto alla partecipazione dell'Urss alla secondo guerra imperialista.

Dopo, e per un lungo periodo, fino alla metà degli anni 1970, questi partiti "comunisti" assunsero due ruoli contraddittori: da una parte strumenti della politica estera dell'Urss nei loro rispettivi paesi, dall'altra partiti nazionali, per la migliore politica nazionale. Ecco perché il Pci, nonostante la sua grande forza elettorale, è sempre stato tenuto fuori dall'area d governo: era un partito borghese, si, ma del fronte imperialista avversario.

Essi, i PC e tutti i PS, la Sinistra, hanno sempre fatto politica, per difendere, per quanto possibile all'interno delle istituzioni e per la loro difesa, gli immediati interessi economici e sociali dei lavoratori.

Hanno fatto, diciamo. Nei fatti, quando la crisi del presente ciclo di accumulazione si acuì, essi persero questa capacità. La più tiepida difesa della classe operaia, significa oggi scontrarsi con le compatibilità capitaliste e con le istituzioni. Essi semplicemente non possono, non è quello il loro ruolo.

Di contro, comunisti rivoluzionari non fanno politica: essi fanno militanza rivoluzionaria che è propaganda, agitazione, organizzazione delle avanguardie per costruire il nuovo partito internazionale di classe operaia per la rivoluzione. Siamo contro le istituzioni, vogliamo cambiare il modo di produzione e sappiamo che questo implica distruggere lo stato borghese e costruire il semistato proletario.

Esiste il capitale, esistono le classi

Per giustificare ideologicamente un tale tradimento, essi, i partiti di sinistra, hanno scoperto la fine della lotta di classe e perfino delle classi: siamo tutti cittadini.... Vedremo come la manovra sia propriamente ideologica (attinente alla falsa coscienza) e della peggior specie.

Fra le tesi di fondo, elementari, del movimento comunista è che fin quando esisterà il modo di produzione capitalista, esisteranno le classi fondamentali corrispondenti: borghesia e proletariato, fra le quali oscillano strati intermedi variabili nel tempo e nello spazio per quantità e composizione e che riassumiamo nel termine generico e per noi sufficiente di piccola borghesia.

Prima di addentraci nell'esame dei rapporti specifici fra di esse, come sono andati variando negli ultimi anni (due decenni) vale la pena insistere nel ribadire la solidità di questa tesi, nel definire gli argomenti della sua convalida di fronte agli starnazzamenti dell'intelletualità borghese.

In base a cosa vengono definite le classi, nella tradizione culturale europea? (e indipendentemente dalle elucubrazioni sociologiche delle scuole statunitensi relativamente ai redditi, agli stili di vita o addirittura all'autocoscienza dei cittadini).

Anche da parte di chi più si distingueva dal pensiero marxista e rivoluzionario e anzi vi si opponeva, la esistenza delle classi è sempre stata definita in base alla collocazione nella gerarchia sociale, a sua volta definita dalla fonte del reddito (da cui eventualmente dipende l'entità del reddito stesso, ma che non va confusa con questa, come invece fanno allegramente molti sociologi americani).

Anche il fascista Mussolini riconosceva l'esistenza delle classi, ben distinte, che pretendeva peraltro di condurre alla reciproca cooperazione sul terreno delle corporazioni. Da una parte i capitalisti che traggono il loro (ingente) reddito dall'investimento dei capitali in macchine e salari, dall'altra i proletari pagati di quei salari.

Noi marxisti abbiamo sempre individuato le classi in base ai ruoli svolti nell'ambito del rapporto di produzione capitalista.

Il modo di produzione capitalista è caratterizzato dal rapporto di sfruttamento del lavoro da parte del capitale, ai quali termini corrispondono le due classi dei lavoratori e dei capitalisti, del proletariato e della borghesia.

Ne consegue, a qualunque scuola di logica si appartenga, che le due classi, indipendentemente dal nome che eventualmente gli si volesse dare e cambiare, esistono fintanto che esiste quel rapporto fra capitale e lavoro, fintanto cioè che il lavoro è pagato dal capitale in forma di salario ed è finalizzato alla produzione di un surplus che intasca il capitalista e nulla ha a che vedere con i bisogni e gli interessi della collettività.

Chi volesse sostenere la scomparsa delle classi, dovrebbe dimostrare che quel rapporto non sussiste più, ovvero che i redditi dei lavoratori non sono rappresentati dal salario "investito" dai capitalisti, ovvero che non esiste più una classe di cittadini che intasca i profitti derivanti dalla produzione fatta dai lavoratori o, quantomeno, che la fonte dei diversi redditi non ha rapporto con il modo in cui è organizzata la produzione e la distribuzione nella moderna società globalizzata.

Classe per il capitale e contro il capitale

Definite in quei termini le classi e tenendo fermo il riferimento alla critica marxista dell'economia politica, risulta che il proletariato è la personificazione del capitale variabile, del v che ricorre nelle formule descrittive del capitale all'inizio del suo processo di valorizzazione (C= c + v) e alla fine (C'= c + v + p)

Non è dato capitale e valorizzazione di capitale senza v, senza cioè l'intervento del lavoro vivo rappresentato nelle formule di valore da v. In questo senso la classe operaia è classe per il capitale, concorre alla sua formazione e alla sua valorizzazione. Da sempre.

La scoperta di alcuni "ex" che la classe si sarebbe ridotta a classe per il capitale e dunque del capitale è la tipica scoperta dell'acqua calda, per un verso, ed una becera mistificazione per l'altro.

Marx impiega due volumi di Gründrisse, tre volumi del Capitale, e tanti altri per dimostrare che la classe "per il capitale" che definiamo anche "classe in sé" diventa o può diventare, negli svolti critici della formazione sociale, classe contro il capitale, ovvero classe per sé. Non solo, ma che è l'unica forza capace di reale opposizione al capitale e portatrice di una alternativa.

Ora, quegli stessi ex che fanno oggi tali scoperte sono gli stessi che fino a non molti anni fa vedevano, in preda alle allucinazioni, una classe che esprimeva l'antagonismo di cui - dicevano - è capace. Eravamo nella fase in cui - compatibilità permettendo - settori non indifferenti di classe conducevano battaglie rivendicative, nel pieno rispetto peraltro del rapporto di capitale, nella piena accettazione del rapporto sociale che li vedeva salariati a fronte dei padroni capitalisti.

Non esistevano le condizioni oggettive, né tantomeno soggettive, che caratterizzano gli svolti critici della formazione sociale di cui si diceva, ma loro vedevano dispiegarsi l'antagonismo.

Poi è venuta, pesante, la crisi del ciclo di accumulazione avviatosi dopo il secondo conflitto imperialista mondiale. La crisi ha spinto il capitale alla ristrutturazione, sempre più accelerata e loro, in prima battuta, si sono spinti a vedere in quell'antagonismo della classe il motore primo della ristrutturazione.

Gli sviluppi di quella falsa tesi, che respingemmo al momento della sua formulazione (2), mantengono una logica interna. Tesi di partenza: le lotte proletarie inducono la crisi e la ristrutturazione. La ristrutturazione smantella le grandi unità produttive, levandosi di torno "l'operaio massa" e estendendo i processi di valorizzazione del capitale a tutti i processi lavorativi (i geniali elaboratori di questi scenari scambiano la forma per la sostanza e interpretano l'estendersi dei rapporti capitalisti - di valore - a tutte le forme della vita sociale come l'estendersi ad esse della valorizzazione del capitale complessivo). Il proletariato reagisce, mantenendo alto il suo antagonismo (?), con la spinta all'autovalorizzazione (il rifiuto del lavoro dipendente e l'invenzione di forme autonome di lavoro - e dunque, per loro, di valorizzazione: si va dall'intrecciare fili di ferro in piccoli bijou lungo le strade, alla libera peregrinazione fra lavoretti in nero).

Risultato: l'antagonismo al capitale si estende dagli ambiti ristretti dell'operaio massa alla quasi totalità degli strati di popolazione in qualche modo attiva, cioè alla società civile.

È una delle nuove forme del riformismo di sempre, che lasceremmo volentieri nel gran bidone d'immondizia dell'ideologia borghese, se non minacciasse di affascinare un numero discreto di possibili avanguardie militanti di classe.

E che le possibili avanguardie di classe debbano essere da subito recuperate alla militanza rivoluzionaria è determinato dalla già esposta tesi marxista: gli scontri materiali fra le classi, che si verificano indipendentemente dal grado di consapevolezza di avanguardie vere o presunte e come determinazione di dinamiche interne al modo di produzione capitalista e alle sue crisi, devono vedere operante al loro interno l'elemento soggettivo che consente la trascrescenza della classe da in sé a per sé, ovvero l'orientamento rivoluzionario e comunista delle lotte stesse. Tale elemento soggettivo, la "coscienza di classe", è rappresentato dal partito comunista alla testa delle lotte.

Ovvero: l'aggregazione e l'operatività della forma partito è al contempo espressione e fattore determinante della maturità dello svolto critico della formazione sociale capitalistico-borghese per il suo superamento.

La composizione di classe occupata

Parlando di composizione di classe, si impone un altra piccola ma essenziale premessa.

Così come diversa è la composizione organica di capitale e il livello di accumulazione fra i paesi metropolitani e quelli che definiamo della periferia capitalista, così diverse sono le composizioni delle classi, antagoniste e intermedie, fra i due gruppi di paesi.

Le nostre considerazioni qui valgono dunque per i paesi metropolitani e più in particolare quelli europei.

Abbiamo già trattato per esteso questo tema su Prometeo 5 (3); ci limitiamo dunque alla sintesi, che riprendiamo da Prometeo 6 (4) che da questa partiva per l'esame dei possibili sviluppi e cambiamenti nella forma delle lotte proletarie.

Riassumiamo dunque i grandi risultati della ristrutturazione sulla composizione di classe.

# Si è modificato il rapporto gerarchico fra le diverse figure della forza lavoro e sono cambiate queste stesse figure. Non esistono quasi più (nella fabbrica moderna, scontata la sopravvivenza massiva delle forme tradizionali del processo produttivo e della organizzazione del lavoro) gerarchie interne alla manodopera di produzione essendosi il rapporto gerarchico spostato fra il gruppo degli addetti al funzionamento delle macchine e quello addetto alla loro programmazione e controllo, più o meno remoto.

# Si è sensibilmente ristretto il numero degli addetti alle macchine nonostante vistosi aumenti della produzione. Ed è di converso aumentato il numero degli addetti alla programmazione e controllo. Entrambe le figure fanno parte a pieno titolo della classe operaia produttiva.

# Sono cresciuti i servizi e la quota di lavoratori in essi occupati. Siano o no tali servizi direttamente connessi alla produzione, siano o no produttivi di plusvalore (cioè non siano o siano momenti di distribuzione del plusvalore complessivo stesso) i lavoratori risultano comunque rappresentanti della parte variabile del capitale individuale impegnato nel processo di valorizzazione (mediante produzione di plusvalore o attraverso i processi distributivi del plusvalore stesso). I lavoratori salariati dei servizi sono, al di là della natura socialmente produttiva del loro lavoro, sfruttati al pari degli altri e dunque componenti la crescente classe proletaria.

# Nuove figure si sono presentante con tutte le caratteristiche della forza lavoro proletaria (intercambiabilità, forte presenza nella domanda di lavoro, conseguenti bassi livelli salariali) ed altre, precedentemente assimilabili al ceto medio della piccola borghesia e/o degli artigiani, sono state proletarizzate. Si pensi, per esempio, al riparatore/manutentore di congegni elettronici o al "softwarista", che può ancora illudersi di rappresentare una figura ad alto contenuto di specializzazione e professionalità, ma è di fatto ridotto, per le ragioni suddette, alla condizione del "nuovo proletario".

A queste rilevazioni, attinenti la componente più o meno stabilmente occupata della classe, vanno aggiunte quelle più generali sulla forza lavoro complessiva.

La composizione del proletariato futuro

È nelle proiezione del Fondo monetario internazionale lo scenario prossimo della forza lavoro nei "paesi avanzati": un terzo di occupati stabili, un terzo di lavoratori precari (lavoro interinale, contratti a tempo determinato, lavoro part-time), un terzo di disoccupati.

Scontata la drammaticità del quadro, a partire da qui assumono maggior validità le tesi espresse a proposito di lavoro militante di classe nella nuova composizione.

E che di proletariato si tratti non dovrebbero sussistere dubbi, almeno per quanto riguarda i primi due terzi. L'ultimo, quello dei disoccupati permanenti, oltre che rappresentare il classico esercito di riserva usato ricattatoriamente dal capitale per contenere se non diminuire i salari degli strati attivi di classe operaia, è sicuramente un serbatoio destinato a ingrossare il sottoproletariato, nelle sue moderne forme della estrema marginalizzazione.

Di questo è ben cosciente la borghesia, o più esattamente lil ceto politico della borghesia che, come spesso succede, si diversifica al suo interno sulle risposte da dare.

Mentre la sinistra, democratica, progressista. liberal o quantaltro - umanamente sensibile alla crescente sproporzione fra ricchezza e povertà e conscia del fatto che la povertà estrema.. spinge al crimine - si affanna a inventare "soluzioni" e forme di tamponamento della marginalizzazione crescente, la destra più bolsa e reazionaria elabora giustificazioni teoriche alla reciproca ghettizzazione della parte benestante e "civile" e di quella marginalizzata e potenzialmente criminale della società.

Il ritorno aggressivo del "darwinismo sociale", nella sofisticata forma della Bell's Curve, in base al quale i poveri sono tali perché stupidi e inferiori - e tanto per i poveri interni (disoccupati, barboni e negri) come per le popolazioni della periferia capitalista - è un fenomeno attuale e significativo.

Risulta comunque che la classe, per quanto mutata nella sua composizione formale, rimane il dato oggettivo e potenzialmente soggettivo con il quale il capitale deve fare i conti, al di là delle imbelli elucubrazioni degli intellettuali "di sinistra" di cui si diceva più sopra.

Può essere, ed è, oggetto di agitazione quotidiana, ma è anche un fatto incontrovertibile, bellamente ignorato dai suddetti sinistri, che ogni iniziativa di politica economica da parte di qualunque stato che abbia un qualche impatto sulla rispettiva formazione sociale punta alla riduzione del costo del lavoro, alla flessibilità del lavoro, in breve a penalizzare i lavoratori e le loro condizioni di vita, indipendentemente dal fatto che questi si riconoscano o meno come classe. E indipendentemente dalle sviolinate degli ideologi borghesi di destra e di sinistra sulla fine delle classi e della lotta di classe.

La lotta di classe è a uno dei suoi massimi storici, con la particolarità che il fronte della borghesia attacca violentemente il fronte proletario disarmato e imbelle. Più di trenta milioni di disoccupati in area Ocse, una riduzione media del salario reale del 10%, sono i primi dati di questo massacro, che a meno di un rapido ricompattamento del fronte di classe operaia, proseguirà secondo le linee previste dal Fmi.

La ricomposizione della classe a soggetto storico, ovvero il suo ritorno a soggetto combattente nel conflitto di classe è la conditio sine qua non della prospettiva di superamento del modo di produzione capitalista e della sua formazione sociale.

Guerra di classe o mediazione di classe?

Altri pongono il problema in modo del tutto differente.

Partiamo dall'opzione strategica per l'autorganizzazione sociale, come alternativa societaria, terreno fertile su cui possa svilupparsi una rete di contropoteri reali. E, se di questi stiamo iniziando a parlare un po' tutti, ciò significa confrontarsi da subito con il problema della rottura della legalità, dell'ordine costituito come regolazione capitalistica della produzione sociale.

È una delle frasi ad effetto che ricorrono nell'armamentario dell'Autonomia operaia. (5)

La sua premessa, in qualche modo metodologica, è quella sopra vista: la lotta di classe, in quanto scontro fra proletariato e borghesia è finita e il "soggetto antagonista" è diventato:

una cooperazione produttiva i cui confini coincidono con quelli dell'intera società.

L'autorganizzazione di questa "cooperazione produttiva" sarebbe l'opzione strategica per il superamento del modo di produzione capitalista. Che poi questa opzione rompa o meno la legalità e l'ordine costituito è un fatto del tutto secondario e talvolta opinabile. È invece un fatto, verificato in un convegno ben noto all'arcipelago dell'Aut.Op, che alle forme di autorganizzazione di certi cooperatori più o meno produttivi, ma sicuramente controllori di "soggetti antagonisti" e strati marginali. altrimenti destabilizzanti davvero l'ordine costituito - le forze più avvertite del grande capitale sono pronte a dare la propria attenzione e collaborazione,

L'integrazione delle attività no-profit nel sistema assistenziale e dei servizi che lo stato, pressato dal debito, sta progressivamente abbandonando è una di quelle forme di tamponamento della marginalizzazione tentate dalla sinistra della borghesia. E certi terribili sovversivi si lasciano usare.

Non siamo comunque al ritorno delle tesi più vetuste del riformismo, in forme apparentemente nuove? Ne abbiamo già scritto e non ci torniamo sopra. (6)

Più attinente al nostro tema è la denuncia dell'origine ideologica di queste elucubrazioni.

È nello stesso documento citato che si legge:

... crescita illimitata delle forze produttive, sviluppo del consumo di massa, aumento dei salari ed ampliamento della spesa sociale. Non corrisponde forse ciò anche a una rottura della dialettica tra capitale e lavoro, come logica della mediazione, del superamento della contraddizione di classe e dei conflitti sociali in una sintesi superiore, così caratteristica del compromesso keynesiano? Allo stesso tempo non è possibile parlare di "fine della dialettica" tout court , ciò significherebbe che alla logica della mediazione si è sostituita la pura e semplice logica della guerra, della negazione e dell'annientamento dell'altro.

È evidente qui la particolare interpretazione (a-marxista e riformista) della dialettica come mediazione. Anzi, dio ci guardi, dice l'autore, dalla fine della dialettica che sarebbe fine della mediazione; interverrebbe subito la guerra di classe e la logica dell'annientamento; proprio quelle che noi marxisti sosteniamo. L'autore e i suoi amici sono interessati a mediare con il capitale, alla ricerca di nuove costituzioni della società, per il superamento magari del modo di produzione capitalista, ma nella mediazione con esso.

L'ascendenza operaista (ricordate Tronti?) è palese. In quella che gli attuali autonomi chiamano l'epoca fordista, il compromesso keynesiano rappresentava per loro una sintesi superiore della contraddizione di classe che tanto meglio sarebbe riuscita quanto più la classe operaia avesse mantenuto la sua egemonia sulle forze popolari comandate dal Pci; questo era il succo della battaglia politica operaista. Il partito operaio doveva essere più operaio. Ora quel tipo di mediazione è finito e per gli autonomi si tratta di trovarne un altro. I riformisti di oggi seguono il metodo dei riformisti di sempre: la ricerca di come mediare fra le classi nell'illusione di giovare alla classe oppressa.

I marxisti invece sono sempre stati e sono per la guerra al capitale e l'annientamento della borghesia

Ricomposizione di classe

Dicevamo che la ricomposizione della classe a soggetto storico, è la condizione perché sia possibile il superamento del modo di produzione capitalista e della sua formazione sociale. In questo senso il termine ricomposizione di classe indica un processo che va al di là della semplice riaggregazione materiale della classe sotto la insostenibile pressione del capitale ed espressione, e al contempo motore, di quegli immediati scontri, in forma di sommovimenti e fiammate di rivolta, che pur abbiamo conosciuto ultimamente in molti punti del globo.

Quando gli operai, i piccoli artigiani, i contadini algerini sono insorti nella “rivolta del pane”, o quando operai precari e disoccupati, neri e bianchi hanno affrontato insieme gli scontri con i ricchi e la polizia di Los Angeles, abbiamo assistito a oggettive manifestazioni della permanente lotta di classe, che episodicamente vedevano gli oppressi reagire agli oppressori. Finiti gli scontri, finita l'unità, al punto che in Algeria, proprio dopo quella rivolta, ha iniziato a gonfiarsi uno dei movimenti più reazionari, il fondamentalismo islamico, che pesca le sue truppe d'assalto sì fra gli studenti più imbesuiti delle islamiche università, ma soprattutto fra i diseredati di città e campagne.

Ricomposizione di classe è il riconoscersi delle diverse componenti, vecchie e nuove, come appartenenti alla medesima classe proletaria, sfruttata dal capitale. E questo "riconoscersi" è un processo che matura sì attraverso le lotte, dalle più elementari e quotidiane ai grandi scontri di piazza, ma che deve essere alimentato dall'idea di una prospettiva, dalla convinzione che l'obbiettivo dello scontro con il capitale è il suo superamento. Non è patrimonio immediato delle masse proletarie il programma strategico e tattico della rivoluzione comunista; questo compete alle avanguardie di partito il portarlo perché sia il faro di guida delle lotte. E sta alle avanguardie di partito farlo prevalere sulle suggestioni riformiste e in ultima analisi controrivoluzionarie che nella classe circolano. Ma l'idea di base che gli azionisti, i capitalisti sono gli avversari dei lavoratori e che il dominio dei capitalisti sulla società e sullo stato è la condizione della disoccupazione e del lavoro precario, è l'idea elementare che deve accompagnare le forme di riaggregazione di classe.

Queste interesseranno primariamente le avanguardie della classe, gli elementi più sensibili e coscienti già oggi alla ricerca di nuove forme di aggregazioni che diano un senso di prospettiva all'impegno e alla lotta. Ed è su queste che deve accentrarsi l'attenzione dei rivoluzionari.

Come abbiamo argomentato in precedenza (7), la condizione che rende possibile nuove iniziative di lotta proletaria è la aggregazione, quantomeno delle avanguardie proletarie, in nuove forme, diverse dall'immediato terreno produttivo delle grandi concentrazioni di fabbrica in via di scomparsa.

Le nuove forme di aggregazione sono intercategoriali e intersettoriali, dunque territoriali (senza escludere ovviamente quelle di fabbrica). Non ha più molto senso, per esempio nel famoso Nordest, fatto di medie e piccole e piccolissime imprese, pensare a una lotta operaia che parta dalle grandi fabbriche per irradiarsi, occasionalmente alle medio e piccole: le grandi fabbriche o non esistono più o sono isolate in un mare di piccole e medie imprese isolate fra loro - dal punto di vista operaio - e dalle suddette grandi concentrazioni. Se lotta dovrà ripartire sarà indetta da organismi territoriali, più o meno sindacali, più o meno legati alle tradizionali organizzazioni del/per il consenso, ma comunque espressione di un orientamento di classe e di lotta diffuso sul territorio. Gli organismi della lotta economica e rivendicativa, scompaiono con la fine della lotta stessa (o tendono a sclerotizzarsi in micro-sindaati con tutti i difetti dei sindacati e tutti i difetti delle micro sette in lotta per la sopravvivenza. Quel che non viene meno e non deve venir meno è la aggregazione di base delle avanguardie portatrici di quell'orientamento di classe.

Torna la tradizionale tesi comunista della base territoriale (contro quella di fabbrica) della organizzazione comunista, in forme rinnovate e su base ben più ampia: non si tratta più solamente di territorialità dell'organizzazione strettamente politica, bensì di territorialità anche della aggregazione delle avanguardie di classe, possibili quadri della organizzazione partito e momenti di irradiazione di idee, programma e indicazioni del partito. Centri sociali (sul filo delle vecchie Case del popolo), comitati proletari (di occupati precari e disoccupati) o qualunque nome dovessero assumere organismi simili, sono il tessuto sul quale andrà articolandosi la ricomposizione soggettiva di classe, con le sue ovvie e naturali diramazioni organizzative nei centri di lavoro (fabbriche o uffici) in cui ciò si renderà possibile. Come spesso succede, la vita ha già dato elementi di conoscenza al sapere; esperienze più o meno spontanee o teleguidate hanno mostrato le linee di tendenza delle nuove possibili forme organizzative della avanguardia proletaria. È anche naturale che molte di esse siano nate già inquinate da ideologie riformiste o riformiste-ultrà che, nel mentre stesso ne erano alla fondazione organizzativa, ne hanno viziato l'impianto. Ne sono esempio i Centri sociali autogestiti che avrebbero potuto o potrebbero svolgere un ruolo simile a quello che fu delle Case del popolo e che invece sono per lo più considerati strumenti operativi delle diverse isole dell'arcipelago autonomo e senza che ciò sia esplicitato e anzi mantenuto nell'equivoco. Cosi i Csa vogliono costituirsi a centri di "contropotere" nella logica tipica dell'Aut.Op vista anche sopra.

Citiamo volentieri da un documento di rottura di alcuni compagni dall'Autonomia operaia il brano che esprime proprio questo:

È chiaro che la produzione mantiene la struttura della società, ma occorre rincorrere chi lavora come operaio nel settore produttivo nel suo diverso iter lavorativo che non è mai, o molto raramente, stabile. Per fare ciò la creazione di luoghi di aggregazione proletaria a livello territoriale sarebbe più che auspicabile, ma a patto che si chiarisse che di questo si tratta e non di luoghi del fantomatico contropotere o di centri da cui lanciare le parole d'ordine utopiste e riformiste al contempo... (8)

Già; e come i compagni redattori di questo documento hanno perfettamente compreso, non è possibile operare un raddrizzamento dall'interno. Gli organismi di aggregazione proletaria e classista non esistono ancora, se non in alcune episodiche forme embrionali. Ciò non toglie che siano queste a rappresentare il futuro. In esse non esiste monopolio politico organizzativo di nessuna formazione politica; tutte le formazioni classiste, a questa sola condizione, hanno in esse diritto di cittadinanza, di parola e di lotta politica. Sarà questa, la lotta politica, a determinare l'orientamento politico-organizzativo dei suoi membri e l'indirizzo politico delle iniziative che l'organismo territoriale di classe (l'attributo vale a distinguerlo da quelli di partito) dovesse eventualmente prendere.

È un caso che laddove si era costituito un organismo territoriale classista in cui convergevano elementi dell'autonomia operaia e che aveva già preso una iniziativa "forte" quale una manifestazione di piazza, siano stati proprio gli elementi dell'Autonomia a romperlo? No, non è un caso. Quando ciò che poteva essere un organismo territoriale di classe, fatto di proletari locali e immigrati, viene considerato da qualcuno intergruppi e luogo di diatribe fra gruppi e tendenze e, all'interno delle diatribe e quel qualcuno rimane senza seri argomenti politici, è naturale che rompa. Quando, in fondo, alla aggregazione di classe si preferisce l'esercizio dell'antagonismo da operetta e il cosiddetto "contropotere" è naturale che si boicotti la prima per privilegiare i secondi.

È una piccola ma significativa, ulteriore dimostrazione della tesi già espressa in Prometeo 6: per quanto lungo e difficile sarà il cammino alla ricomposizione di classe, le condizioni in cui esso avviene rendono più "facile" al programma rivoluzionario circolare fra le avanguardie di classe. Più facile, certamente, rispetto al vecchio e superato quadro in cui i rivoluzionari erano costretti a lottare per affermare il programma rivoluzionario in una classe operaia irregimentata dal riformismo sindacal-stalinista che determinava nascita e sviluppo delle lotte operaie stesse.

Si riparte da zero, certo; si riparte da un sostanziale azzeramento della vecchia consapevolezza proletaria di essere classe (non importa se rivoluzionaria o meno). Si riparte dal dover reimportare l'ABC del classismo. Ma è un ABC che si scontra immediatamente con riformismi vecchi e nuovi. In questo le condizioni del lavoro rivoluzionario sono eccellenti.

Mauro jr Stefanini

(1) Vedi “Il rapporto fra capitale e lavoro nel processo di crisi in Italia” su Prometeo 5; “Dopo la ristrutturazione la nuova composizione di classe - Verso la ripresa delle lotte proletarie”, su Prometeo 6, della serie corrente.

(2) Vedi “Crisi e ristrutturazione: l'impostazione ideologica borghese dell'Aut.Op” in Prometeo 5 della IV serie.

(3) Vedi “Il rapporto fra capitale e lavoro nel processo di crisi in Italia” in Prometeo 5, V serie (1993).

(4) Vedi nota 2.

(5) Nello specifico la si legge nel contributo di Beppe Caccia al convegno dell'Autonomia tenutosi a Bologna in marzo, titolato “Una proposta di seminario da aprirsi sulla base di una ipotesi che riesca a coniugare, in una riapertura progettuale, il terreno dei contropoteri diffusi e quello di una costituzione altra”.

(6) Vedi: “La disoccupazione operaia tra la decadenza del capitalismo e le illusioni conservatrici del riformismo” in Prometeo 9 e “Riformismo oggi” in Prometeo 10.

(7) vedi “Dopo la ristrutturazione la nuova composizione di classe...” cit. in nota 2.

(8) Il documento “Appesi al filo rosso” è stato distribuito in occasione di diversi incontri dell'Aut.Op ed è ora disponibile presso la nostra amministrazione.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.