Le opposizioni alla guerra

La guerra ha tagliato fuori dal campo politico proletario organizzazioni equivoche.

Ma ha denunciato anche un grave ritardo di analisi delle ragioni che l'hanno scatenata Da Pax Christi a Rifondazione, passando attraverso i Beati costruttori di pace: il fronte è una garanzia tanto di democraticità quanto di insulsaggine.

Una volta i sedicenti comunisti predicavano e facevano fronti unici e popolari con le "sinistre" più o meno elasticamente considerate ai fini del frontismo stesso. Ora i fronti si fanno con i cattolici dichiarati che la pace la chiedono... nel nome di Cristo. L'importante, per i rifonda è che chiedono appunto la pace e agli stessi a cui la chiedono loro: gli uomini di buona volontà nei governi, ai quali fa appello anche il Papa. Non a caso il pontefice romano è divenuto al tempo stesso il più convinto agente europeista e il massimo riferimento teorico e ideale dei rifonda stessi.

Come denunciamo nel secondo volantino diffuso a scala nazionale sulla guerra, dopo quello comune del Bipr, il variegato fronte - che sul terreno delle "prospettive politiche" si allarga a certi sindacati cosiddetti di base e dell'autorganizzazione - rivolge il proprio appello pacifista a tutto ciò di cui il capitale o ha fatto strame o di cui si serve proprio per fare la guerra: la Carta costituzionale, le nazioni Unite, i governi.

La borghesia mostra il reale significato delle sue carte costituzionali, fumandosele bellamente quando cozzano contro le loro necessità e i riformisti di tutte le risme che fanno: fan finta di richiamare la borghesia e il ceto politico preposto ad amministrarne gli interessi al rispetto delle carte stesse. I governi che avevano a suo tempo costituito le Nazioni Unite quali organismo di mediazione e di equilibrio, disconoscono ed esautorano l'organismo e i riformisti pensano o fanno credere di riportarlo al suo rango solo perché loro lo invocano.

Infine, e qui si giunge al ridicolo, si chiede al governo stesso che sta facendo la guerra di... fare il bravo e di operare per la pace.

Tutta questa bella gente - che tra parentesi voleva buttar fuori dalla piazza di Parma con modi molto poco pacifisti i compagni internazionalisti e i pochi proletari presenti che con loro li denunciavano come buffoni, senza peraltro riuscirci - è destinata a sparire chiusa in casa o arruolata sui fronti, man mano che la guerra - quella vera - avanza.

Non erano centinaia di migliaia ai tempi della Guerra del Golfo i pacifisti che inondavano le piazze. Oggi sono ridotti a una frazione di quelle masse: la frazione dura, potremmo dire, più dura... a morire, ma già in agonia. È la loro credibilità precipitata a zero, a minarne ineluttabilmente la salute. Quali lavoratori, semplici ma non fessi, possono dar fiducia a chi, di fronte al dispiegarsi della guerra, con tutta l'arroganza e la protervia che la guerra stessa porta con sé, fa appelli tanto moralistici quanto male indirizzati? Quale fiducia può dare a chi risponde un secco no o non risponde affatto alle richieste di "sciopero generale per fermare la guerra", che se non è sicuramente sufficiente, da solo, a fermare la guerra stessa è comunque un sasso scagliato fra gli ingranaggi? Forse Rifondazione è troppo presa dalle preoccupazioni elettoralistiche, ma non ci pare che sia disposta a gettare tutto il suo peso nel sindacato e nel paese a sostegno dello sciopero. E allora? Chi credono di ingannare con le citazioni del papa, la opposizione a parole e gli appelli al governo e alle sue componenti? D'altra parte che opposizione può venire alla guerra da un partito che è al suo interno diviso sui fronti della guerra stessa? Non è un mistero per nessuno che in Rifonda stanno tanto i pro-Serbia quanto i pro-Kosovo (o pro-Albania che fa lo stesso). Né ci si poteva aspettare altro, visto che da quel partito tutto è venuto salvo una analisi e denuncia seria delle origini di questa guerra. Non basta negare che le ragioni della guerra siano umanitarie, come sostiene la propaganda di questa parte, e affermare genericamente che interessi geo-strategici sono in gioco. Facile, su questo, dividersi fra filo di qui e filo di là, se ci si continua a considerare cittadini di società omogenee affasciati da interessi comuni: le differenze saranno sul modo di interpretare questi interessi "geo-strategici" comuni.

Se, nella ipotesi non tanto remota, l'attuale vulcano dei Balcani dovesse aprire la strada a ben più ampie esplosioni belliche, dove si schiereranno gli attuali pro-Serbia e pro-Albania? Reggere il rifondante partito? Abbiamo seri dubbi in proposito.

Al di fuori di Rifondazione e in quell'arcipelago di gruppi e tendenze più o meno reclamantisi a sinistra prevale la tendenza a schierarsi addirittura con la Serbia. L'equazione semplice, per quanto mascherata da fintamente elaborate elucubrazioni, è la seguente: la NATO attacca con le bombe il popolo serbo; la Nato è l'imperialismo; il popolo serbo è vittima dell'imperialismo, difendiamo il popolo serbo (ci sono addirittura i matti che hanno chiamato alla solidarietà attiva tracciando tanto sballati quanto arditi parallelismi fra Spagna 1936 e Yugoslavia 1999).

A questa logica non sfuggono, scandalosamente, neppure i signori dell'Organizzazione comunista pretesamente internazionalista che sul loro giornale, ricalcando le orme ideologiche e letterarie di certa sinistra exptraparlamentare anni 1970, sembra che usino il criterio di classe (il considerare cioè la società divisa in classi) in modo piuttosto strano: applicabile cioè solo all'occidente metropolitano, ma non ad altre situazioni, fra le quali la Yugoslavia, alle quali si torna ad applicare il borghesissimo oltre che ultramistificante concetto di popolo. Nel caso in questione il merito del "popolo jugoslavo", per l'OCI, sarebbe addirittura quello di:

aver rifiutato di sottomettersi al dio dollaro al dio marco e alla dea liretta.

È evidente che siamo in presenza di uno spaventoso stravolgimento dell'abc del marxismo, oltre all'ovvio radicale abbandono di ogni ancoraggio al punto di vista di classe. Amen.

C'è infine quello che noi definimmo, ormai diversi anni orsono, il campo politico proletario: quell'insieme di gruppi e tendenze in qualche modo (ciascuno a modo suo) riferentisi alla esperienza storica della Sinistra Comunista. Qui abbiamo potuto constatare, dai volantini e dalle prese di posizioni varie, un rispetto sostanziale del punto di vista di classe sulla guerra: la guerra è sempre guerra dei padroni, pagata dai proletari (almeno fin che non è la guerra di classe del proletariato contro la borghesia). Ciò è di sicura consolazione: questa guerra, così vicina, ha avuto l'effetto di tagliar fuori definitivamente dal campo organizzazioni equivoche.

Al contempo dobbiamo registrare un marcato, in certi casi spaventoso, ritardo nella capacità di analisi e denuncia delle ragioni profonde di questa guerra. C'è addirittura chi ha pensato bene di criticare come eccesso di economicismo le nostre elaborazioni in proposito. E tutti si sono limitati appunto alla ripetizione di formule, valide, per carità, ma desolantemente insufficienti.

Cosa c'è dietro questo ritardo? Nella risposta a questa domanda risiede la risposta al problema di quale sarà la possibile via di ricostruzione del partito di classe.

m.jr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.