La merce ti soffoca, il capitalismo ti avvelena

La seconda rivoluzione industriale del capitalismo fu quella del mezzo privato di trasporto.

La diffusione dell'automobile portò con sé, oltre alla gigantesca industria automobilistica stessa, lo sviluppo dell'estrazione e della distribuzione del petrolio, lo sviluppo dell'enorme settore della petrolchimica, l'industria della gomma, con tutti i relativi indotti.

Le trasformazioni nel mondo delle infrastrutture, già in movimento per lo sviluppo delle reti ferroviarie, subirono ulteriori accelerazioni per lo sviluppo e la pavimentazione della rete viaria, a loro volta motori di importanti settori industriali. (dal cemento per strade, ponti e viadotti alla industria delle macchine - di manutenzione, per esempio).

Contemporaneamente però andava mutando e peggiorando il rapporto fra uomo e ambiente. In altri termini, gli effetti delle "attività antropiche" sull'ambiente iniziavano a farsi sentire più pesantemente di prima e in modo diverso da prima: nuovi inquinanti iniziavano ad essere immessi in atmosfera e un enorme impulso riceveva la emissione dei gas serra.

Ora siamo arrivati al punto che, al di là dell'aumento continuo delle emissioni di gas serra - alla faccia del protocollo di Kyoto e delle "intese", più mancate che reali, fra i governi del mondo - l'inquinamento dell'aria in città minaccia direttamente la salute dei cittadini, e gli amministratori sono costretti, controvoglia e contro i loro interessi elettorali, a prendere misure quali la circolazione a targhe alterne e il blocco del traffico domenicale, in mezzo alle polemiche più sceme e perciò più virulente. Il cittadino di questa società metropolitana è prodotto, oltre che interprete, della formazione sociale capitalistico-borghese, l'orizzonte dei suoi diritti non va oltre quelli della sua persona. Il capitalismo gli ha assegnato il diritto alle quattro ruote personali, alla assoluta (quasi) autonomia di movimento e questo diritto lo vuole esercitare nonostante e a prescindere dai danni collaterali alla collettività e a lui stesso.

Fino ad ora e chissà per quanto ancora, i danni all'ambiente, nella loro totalità e gli stessi rischi e danni alla salute del cittadino e dei suoi figli, rientrano concettualmente nella categoria dei "costi del progresso". D'altra parte il progresso, in chiave di espansione economica, di aumento del PIL, è il prius concettuale della ideologia borghese, quella alla quale bene o male tutti aderiscono e tutti praticano, quale condizione stessa della stabilità sociale. (E fino a che la stabilità sociale regge, regge l'assoluto dominio della ideologia borghese). L'espansione economica d'Italia si è retta per larga parte proprio sulla esasperazione del trasporto privato e del trasporto merci su gomma. Se ne pagano ora alcune (altre) conseguenze nella crescente difficoltà degli amministratori a contenerne i danni ambientali e all'atmosfera, con le limitazioni al trasporto privato.

Gli scienziati sono certamente più consci della situazione pericolosa alla quale si è giunti. Si sono resi conto - e lanciano l'allarme - che il danno ambientale non è valutabile in modo semplice in base agli effetti immediati, ma, come le polveri sottili nell'aria metropolitana provocano danni alla salute umana tanto certi quanto non esattamente prevedibili nella loro natura e nella loro estensione, così il fenomeno (inquinamento, cambiamento climatico, ecc.) che va a incidere su un sistema complesso quale è l'ambiente provocherà danni quasi mai prevedibili e quantificabili. Di più, ora siamo arrivati al punto che, secondo il World Watch Institute:

L'impatto umano sui sistemi naturali ha raggiunto un punto in cui la probabilità di provocare perturbazioni è di gran lunga più alta della possibilità di prevederle.

Dallo State of the World 2000, Edizioni Ambiente, pag.60

Di fronte a questa drammatica situazione però, anche gli scienziati più avvertiti non possono che avanzare scenari diversi in base alle diverse "politiche possibili" da parte dei governi e dei legislatori e avanzare proposte in merito. Ma nel mentre stesso avanzano le proposte, evidenziano anche le barriere che si frappongono alla loro realizzazione. L'organizzazione (panel) Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici, (IPCC) è stata costituita dalla Organizzazione Metereologica Mondiale e dal Programma Ambientale delle nazioni Unite, allo scopo di:

valutare le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche rilevanti per la comprensione del rischio dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo.

dalla autopresentazione dell'IPCCC in rete

Ebbene questo Panel nel Riassunto del suo Rapporto 2001 scrive che:

gli enormi investimenti pubblici e privati nella infrastruttura dei trasporti e un insieme di costruzioni adattate ai viaggi con veicoli a motore pone barriere significative a cambiare la struttura modale dei trasporti in molti paesi.

E l'Italia è certamente uno di questi.

Fra le proposte "concrete" avanzate possiamo elencare: l'adozione di motori a idrogeno, a celle di combustibile, ibridi (elettrico/a scoppio), elettrici. Certamente l'adozione di alcuni di questi motori, in particolare quelli elettrici e quelli a idrogeno, ridurrebbero l'emissioni delle micropolveri in ambiente urbano - che al momento rappresentano l'emergenza mediatica - ma non avrebbero che un effetto assolutamente marginale sui più gravi problemi planetari. Le auto elettriche infatti richiederebbero più energia elettrica prodotta nelle centrali termoelettriche, col risultato che le emissioni di gas serra e inquinanti risparmiate nel traffico aumenterebbero nella produzione di energia. D'altra parte non è un caso che tutte le ricerche sull'auto elettrica puntino alla riduzione dei costi, si, e dei pesi, ma delle batterie: l'energia elettrica è una merce che come tale va prodotta e venduta continuativamente. Le ricerche sulle celle fotovoltaiche rimangono a livello pressoché amatoriale perché nessuna casa automobilistica, legate come sono a doppio filo alle aziende energetiche (in Italia, in particolare è Fiat che è diventata monopolista di fatto anche nel settore energetico, mentre Pirelli si è mangiato il settore delle telecomunicazioni) avrà mai interesse a produrre automobili mosse solamente... dal sole.

Il motore a idrogeno produce oltre che vapore acqueo in grande quantità, ossidi di azoto che sono tra i maggiori responsabili dell'inquinamento atmosferico planetario (le piogge acide, per intenderci, sono acidate proprio dagli ossidi di azoto e di zolfo). Immaginare la sostituzione del parco auto anche di un solo paese con le auto a idrogeno vuol dire immaginare di sostituire le emergenze-micropolveri con le emergenze da ossidi di azoto e, magari, da vapore acqueo.

L'abbattimento delle polveri, delegato alle piogge, significa inquinamento del terreno e della falda che è uno di quei fenomeni che innescano effetti domino ancora in gran parte sconosciuti. E allora chissenefrega dice il governatore regionale e/o il sindaco; aspettiamo la pioggia che ripulisce l'aria e se proprio non arriva, chiudiamo il traffico la domenica.

Le uniche soluzioni vere, ancorché parziali, perché riferite solo ai danni da traffico, stanno nella riduzione drastica del traffico privato medesimo, stanno dunque al di fuori del capitalismo.

Noi comunisti non siamo... reazionari, non vogliamo tornare indietro e abolire il diritto alla mobilità privata, portato dal capitalismo. Intendiamo solo riportare alla razionalità umana quel medesimo diritto: una rete vera ed efficiente di trasporto pubblico (e anche qui ci sarà da studiare quello a minor impatto) e la disponibilità di automobili per quando serve, senza che né il servizio né i mezzi siano merci, sono le uniche misure in grado di assicurare la mobilità vera, quella che oggi non c'è: anche per viaggiare in treno o in autobus devi comprare il servizio, e se hai i soldi viaggi sennò stai a casa.

È solo abolendo la merce, che il proletariato modificherà anche il rapporto dell'individuo con il mezzo di trasporto e il concetto stesso di mobilità privata.

m.jr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.