La borghesia gonfia i muscoli? Sul peso della repressione oggi

Gli arresti e le relative incriminazioni, da una parte, il rafforzamento di alcune norme carcerarie dall'altra, hanno riacceso nella cosiddetta area antagonista una vecchia questione, già cavallo di battaglia della sinistra "extraparlamentare" degli anni '70, vale a dire la lotta contro la repressione statale.

Degli arresti ne abbiamo già parlato nel numero scorso del giornale. Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, si tratta dell'estensione ai reati di terrorismo, eversione e traffico di esseri umani della legge penitenziaria 41 bis, nonché della cancellazione dell'articolo 4 bis della legge Gozzini (permessi di uscite premio, possibilità di lavoro all'esterno) a chi è stato condannato per questi reati. Per chi eventualmente non lo sapesse, la 41 bis, approvata per impedire (così si diceva) ai boss mafiosi detenuti qualsiasi contatto con i loro complici in libertà, prevede condizioni di carcerazione particolarmente dure, senz'altro disumane, ma che, com'era ovvio che fosse, non hanno certamente intaccato la struttura della mafia né tantomeno compromesso in profondità le sue capacità operative. Elemento particolarmente significativo è che il 41bis può essere applicato o revocato direttamente dal ministro della giustizia borghese, saltando in tal modo l'ordinario percorso cui deve sottostare la magistratura. Altro aspetto significativo, la nuova versione della legge è stata approvata dal parlamento a schiacciante maggioranza, cui si sono opposti solamente certi settori minoritari della "sinistra" (tra di essi, Rifondazione) e qualche deputato della maggioranza, a ulteriore riprova che, nella sostanza, non esistono differenze tra gli schieramenti politici della borghesia.

Detto questo, per arrivare a ciò che ci interessa, esiste un problema "repressione" da portare al centro dell'azione di chi, in un modo o nell'altro, intende opporsi a questa società?

Per dare una risposta che non sia semplicistica occorre allora inquadrare la questione nel contesto della lotta di classe - nazionale e internazionale - e nell'evoluzione della crisi capitalistica, di cui l'inasprirsi dei contrasti interimperialistici è senza dubbio uno degli aspetti di primissimo piano. Ma, prima di procedere oltre, è importante ribadire che, oggi più di ieri, ogni questione all'esame delle forze rivoluzionarie (o aspiranti tali) deve essere valutato secondo un'ottica internazionale e internazionalista, pena il pericolo di lasciarsi sfuggire le complesse sfaccettature ossia le reali e reciproche implicazioni del problema. Partire apparentemente da lontano a volte serve per superare meglio l'ostacolo.

È un dato di fatto che dopo l'11 settembre gli Stati Uniti - anche da questo punto di vista all'avanguardia della borghesia mondiale - abbiano varato una serie di provvedimenti legislativi che, mentre limitano e restringono fortemente la sfera dei cosiddetti diritti civili, contemporaneamente consegnano nelle mani degli apparati repressivi dello stato poteri tali che materializzano i peggiori incubi orwelliani, nei quali si immaginava un mondo in cui il controllo delle persone era pressoché totale. Ma, a ben guardare, in gran parte si tratta del rafforzamento (proprio come il 41 bis) di norme da tempo presenti nel sistema giudiziario-carcerario degli USA; a tutti è nota la vicenda allucinante della Baraldini che, senza aver mai ammazzato nessuno, sta scontando - adesso in Italia - una condanna praticamente a vita, dopo aver sperimentato sulla propria pelle i più raffinati strumenti di tortura: dall'isolamento tombale alla totale deprivazione sensoriale. Naturalmente, il rafforzamento di polizia, magistratura, servizi segreti ha un costo, e anche elevato, ma questo non è un problema per la borghesia, perché, in qualunque parte del mondo, essa trova sempre le risorse per proteggersi, nonostante - anzi, proprio per questo - l'avanzare della crisi economica. Così, mentre si tagliano i sussidi ai disoccupati e allo "stato sociale" in genere, si trovano senza alcuna difficoltà somme gigantesche per finanziare esercito e polizia. Insomma, visto che di carote ce ne sono sempre meno, è indispensabile dotarsi di bastoni ancor più nodosi per fronteggiare qualsiasi evenienza. Quali sono queste evenienze? Una di queste è l'emersione e il radicamento di movimenti di opposizione (vera) alla guerra. Come si diceva qualche riga più indietro, i contrasti tra le potenze o i blocchi di potenze imperialiste sono sempre meno componibili e sempre di più la guerra si sta imponendo come strumento di regolazione di tali contrasti. Niente di nuovo sotto il cielo del capitale, certo; di nuovo c'è che, finita la "guerra fredda", stiamo assistendo a una moltiplicazione dei focolai di guerra guerreggiata sotto il pungolo rovente di una crisi che vede chiudersi i tradizionali sbocchi rappresentati dall'intervento statale nell'economia. Ma la guerra, così come ha bisogno di mascherarsi ipocritamente dietro nobili ideali e belle parole, allo stesso modo deve poter contare sul "fronte interno" pacificato: niente fastidiosi critici, niente ingenui difensori dei diritti umani, ma soprattutto e di gran lunga, niente lotta di classe proletaria, l'unico elemento che può seriamente inceppare i meccanismi bellici o, almeno, rallentarne lo scoppio.

Repressione e lotta di classe

Siamo così arrivati al cuore della questione. Stiamo assistendo, oggi, a una ripresa della lotta di classe tale da costringere lo stato al ricorso della repressione di massa? Il proletariato ha rialzato la testa e, sia pure su di un semplice piano rivendicativo/difensivo, ha cominciato a rispondere all'aggressione padronale in atto da almeno vent'anni? Nonostante i facili, interessati nonché ciechi entusiasmi di tanta parte della sinistra radical-riformista, purtroppo non è questo il quadro che abbiamo di fronte. Ciò che scorre davanti ai nostri occhi - in Italia e, con qualche notevole eccezione, nel resto del mondo - è sì il crescere di una rabbia sociale diffusa, ma questa rabbia, per ora, rimane confinata nei limiti di una generosa disponibilità alla lotta. I sindacati e il sindacalismo, i partiti e i movimenti di sinistra borghese (movimento no-global compreso, naturalmente), in misura diversa a seconda delle rispettive competenze, ambiti di intervento e prospettive politiche, stanno ancora tenendo saldamente in pugno e dirigendo questa "incazzatura sociale" (ci si passi l'espressione), impedendo che possa esprimersi sul suo proprio terreno di classe. No, finora non c'è repressione di massa perché la classe proletaria non ha rotto gli argini delle compatibilità economiche e politiche del capitale. Non si insisterà mai abbastanza sul ruolo profondamente anti-operaio che hanno avuto e continuano ad avere sindacati e partiti "di sinistra". Anche quando polizia e carabinieri sparavano nelle piazze su operai e braccianti in sciopero, giovani proletari e studenti (non da ultimo, in conseguenza della "guerra fredda"), i sindacati "rossi" o "gialli", i partiti a base operaia si sono sempre sforzati di impantanare lo scontro di classe nelle sabbie mobili del riformismo piccolo-borghese. Coerenti con se stessi, negli anni settanta si sono scrupolosamente adoperati nel fare accettare la "politica dei sacrifici" mentre si affiancavano o, addirittura, si sostituivano agli organi repressivi dello stato nello "scovare" e denunciare come (presunti) fiancheggiatori della cosiddetta lotta armata (cioè, del riformismo con la pistola) tante combattive - benché spesso politicamente confuse - avanguardie di fabbrica. Ma che vesta o meno gli abiti del gendarme, è la natura stessa di tutto lo schieramento politico-sindacale della sinistra a stare sul terreno della borghesia e, di conseguenza, a trattenervi il proletariato, vanificandone in tal modo quella disponibilità alla lotta di cui si parlava poc'anzi.

Dunque, individuare nella lotta alla repressione uno degli obiettivi primari della battaglia anticapitalista è politicamente fuorviante, proprio perché la repressione - per ora - ha una scarsissima incidenza sull'insieme della classe (non per gli arrestati di questi mesi, è ovvio; ma questo è un altro problema); a meno che non si prendano per buoni i deliri espressi da certi rottami dello stalinismo che vedono dietro ad ogni angolo un pullulare crescente di episodi di "resistenza popolare e di massa". Chi non vuole consegnare la propria salute mentale (politica) a queste sciocchezze senza fine, deve guardarsi dal ricadere nel circolo vizioso (e sterile) della "repressione-lotta alla repressione", che recupera uno stanco rituale degli anni '70, già allora, per come era posto, abbondantemente al di fuori di qualunque prospettiva autenticamente comunista. In questa fase il principale avversario non è né la Digos né, tantomeno, le "camicie nere", come recitavano certi slogan scanditi in alcune manifestazioni di protesta contro gli arresti. Il nemico rimane ora e sempre il capitale, quindi l'egemonia politica della sua ala sinistra nel seno della classe operaia e del proletariato in genere; il nemico è l'apatia, la rassegnazione, la delega fatalisticamente accordata ai sindacati e al sindacalismo; il nemico è l'illusione alimentata dall'ala più radicale del riformismo (Rifondazione Comunista, sindacatini "di base", Disobbedienti vari) che possa esistere un altro capitalismo dal volto umano.

Certo, non sottovalutiamo il fatto che la borghesia "democratica" di tutto il mondo, ben cosciente che la crisi esaspererà lo sfruttamento e moltiplicherà le guerre, sta rinforzando il proprio sistema militare-repressivo, ma tutto questo apparato ha, per ora, uno scopo essenzialmente intimidatorio e preventivo. Quindi, se vogliamo rispondere o prepararci a rispondere efficacemente alla repressione borghese è sul terreno di classe che dobbiamo muoverci: nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nelle scuole; dove i rivoluzionari sono presenti devono sforzarsi di diffondere indicazioni coerentemente comuniste, di far crescere (o di far partire, se se ne ha la forza) le lotte imprimendo loro una direzione genuinamente anticapitalista. Non è consumando energie in movimenti di opinione pubblica - reclamanti la restaurazione e il rispetto della legislazione borghese precedente - che possiamo attrezzarci ai tempi duri che si annunciano per i rivoluzionari e per il proletariato. La borghesia non ha mai avuto scrupoli nel rinnegare le sue stessi leggi, se questo le tornava comodo, e ha sempre trovato gli strumenti adatti per controllare o schiacciare, a seconda delle circostanze, il suo nemico storico; quando sindacati e sinistra borghese avranno difficoltà o saranno impotenti a contenere lo scontro di classe, allora e solo allora passerà alla repressione aperta di massa, con una violenza e una brutalità che probabilmente offuscheranno le "prodezze" del fascismo. Del resto, è la democrazia borghese nella sua forma più pura, gli Stati Uniti, ad avere alimentato e continua ad alimentare i macellai latino-americani, a finanziare terroristi e fanatismi nei quattro angoli del pianeta, oltre ad avere la percentuale più alta di popolazione incarcerata.

È solo partendo da queste valutazioni che si può concretamente affrontare la questione della repressione oggi e, ancor più, domani.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.