Brasile: un anno di governo Lula - Botte ai lavoratori, regali agli speculatori

È passato quasi un anno da quando Lula, capo carismatico del PT (Partito dei Lavoratori) e del sindacato CUT, ha vinto le elezioni presidenziali in Brasile.

La sua elezione aveva suscitato gli entusiasmi, oltre che di gran parte del proletariato del paese sudamericano, anche del frastagliato arcipelago dei no-global, che avevano visto (e vedono) nell'ex metalmeccanico diventato presidente l'uomo capace di gettare sabbia nei meccanismi delle politiche neo-liberiste, di fermare l'arroganza del "Nord del mondo" e, contemporaneamente, di porre le basi per la costruzione di "un altro mondo possibile".

Tanto entusiasmo era però mal posto, perché anche un anno fa non c'era niente, ma proprio niente, sia nel programma elettorale di Lula che nella sua squadra di governo, che potesse giustificare una qualche speranza in un'effettiva svolta a favore dei lavoratori e della povera gente. Bastava leggere quel programma, bastava vedere di quali personaggi si era circondato l'aspirante presidente, per rendersi conto che l'eventuale nuovo governo avrebbe continuato a percorrere la stessa strada di quelli precedenti, nel più rigoroso rispetto del capitalismo e delle sue istituzioni internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Ma i riformisti, si sa, preferiscono credere alle proprie illusioni circa la possibilità di riformare un sistema economico-sociale che non è riformabile - il capitalismo, appunto - piuttosto che guardare la realtà così com'è e trarne le dovute conseguenze. Da quando esiste la società borghese, cadono in tal modo nelle stesse identiche trappole, perché non le sanno riconoscere, mai. Sono convinti che sia una gran passo avanti mettere un trotskysta (di una delle tante correnti del trotskysmo) a ministro per la riforma agraria, o un intellettuale, magari onesto e di valore, al ministero della cultura, quando nei ministeri che contano, cioè quelli economici, quelli che gestiscono i cordoni della borsa, siedono grandi proprietari terrieri, finanzieri graditi ai banchieri nazionali e internazionali, potenti industriali, come, per esempio, il vice presidente, esponente, tra l'altro, del partito liberale e di una delle tante sette evangeliche fondamentaliste che appestano l'America Latina. Insomma, erano segnali più che evidenti sulle reali intenzioni del "mitico" Lula o, quanto meno, sulle stridenti contraddizioni racchiuse nella sua compagine governativa. Come si sarebbero potuti conciliare gli interessi dei contadini poverissimi riuniti nella combattiva associazione - sostenitrice di Lula - dei Sem Terra (senza terra), il cui principale strumento di lotta sono le occupazioni delle terre, con gli interessi dei grandi proprietari di quelle terre, che contrastano con brutale violenza le azioni dei contadini? I grandi proprietari, che normalmente si servono di assassini e picchiatori per colpire i Sem Terra, hanno sempre goduto, va da sé, della benevola "comprensione" dello stato, ma ora possono addirittura esibire uno di loro nel governo, di un governo "di sinistra" e, per di più, del "Sud del mondo".

Già, come se la collocazione geografica rendesse quei governi migliori di altri, come se non fossero proprio i governi del "Sud" (allo stesso modo di quelli del "Nord") a spremere i lavoratori e i diseredati dei propri paesi per conto della proprio a borghesia e di quella internazionale, che, tramite i meccanismi finanziari (debito estero, prestiti, ecc.) succhia letteralmente la vita e milioni e milioni di persone. Il punto è che o si difendono i poveri e gli sfruttati, o si rispettano le regole del capitalismo: non ci sono compromessi possibili e, dunque, messo alle strette, il riformismo sceglie sempre la seconda opzione, perché, in fin dei conti, non ha mai rotto, né dal punto di vista politico, né da quello pratico, con l'orizzonte "culturale" borghese.

Lula non fa eccezione, anzi conferma in pieno quanto appena detto. Appena salito al governo, si è affrettato a mettere in pratica ciò che aveva promesso alla grande borghesia, cioè il rispetto degli "impegni" interni e internazionali, tra questi, il pagamento del pesante debito estero brasiliano (e relativi interessi). Ora, siccome nella società borghese non è possibile far quadrare i conti dello stato facendoli pagare ai beneficiari dei medesimi, la via obbligata è quella di presentarli ai lavoratori e agli strati socialmente più deboli. Ecco allora che sono state tagliate pesantemente (da un minimo del 4% a un massimo dell'85%) le risorse destinate ai "programmi sociali", vale a dire scuola, sanità, riforma agraria in favore dei Sem Terra e via dicendo; ma, soprattutto, ha ripreso in mano quella riforma delle pensioni che i precedenti governi avevano inutilmente tentato di portare a termine, anche per la dura opposizione del PT. Premesso che circa il 6 0% dei lavoratori brasiliani non usufruisce di nessuna prestazione sociale, avendo un'occupazione ultra precaria e "informale" (insomma, si è costretti ad arrangiarsi alla meno peggio), i governi Collor e Cardoso avevano già smantellato il sistema pensionistico del settore privato, ma, per soddisfare le esigenze degli squali della finanza, rimaneva da demolire quello del pubblico impiego. Chi, dunque, meglio di un Lula, il cui sindacato ha un forte seguito nel settore, poteva tentare di convincere quei lavoratori che è nel loro interesse essere rapinati del salario differito? La musica che si suona, tanto al "Nord" quanto al "Sud", è sempre quella: cambiano i suonatori, ma lo spartito è imposto da un capitalismo in crisi profonda in tutto il mondo. Una via di uscita è dunque ricercata nel furto spudorato del salario indiretto e differito (stato sociale), per alimentare la crescente appropriazione finanziaria parassitaria. Anche in Brasile si accusano i lavoratori del pubblico impiego di godere di privilegi intollerabili, che gridano vendetta al cospetto delle misere "tagliatrici di canna da zucchero", come se a sfruttare spietatamente queste proletarie fossero gli impiegati del comune e non gli agrari, che investono parte dei proventi di quello sfruttamento nei titoli del debito pubblico o nei fondi di investimento e gestione pensionistici, i quali esigono (cioè, i loro possessori e gestori) il taglio delle tasse per i ricchi e delle prestazioni sociali per i proletari. Bisogna dunque abbassare drasticamente i rendimenti delle pensioni pubbliche per costringere i lavoratori a versare il loro denaro nei fondi pensione privati, se si vuol nutrire qualche fragile speranza di sfuggire a una pensione da fame; bisogna innalzare l'età in cui si ha diritto alla pensione, perché i lavoratori, per i padroni, sono come il maiale: non si butta via niente, e sono i padroni e solo loro che devono decidere se liberarsi di un lavoratore ormai esausto o continuare a spremerlo fino all'osso. Questo è il succo della riforma approvata ai primi di agosto al Congresso brasiliano, con l'appoggio dei principali partiti di opposizione.

Secondo il Manifesto (9-8-03), questa riforma ha scatenato la rabbia dei lavoratori colpiti, che si sono scontrati con la polizia davanti alla sede del Congresso a Brasilia. La rabbia e la delusione emergevano dagli slogans dei manifestanti, che gridavano: "Mr. Lula vattene, torna Lula" (il Manifesto, cit.). In pratica, chiedevano al presidente di ritornare alle sue origini operaie e ai tempi in cui guidava scioperi duri contro il padronato e la dittatura militare. Ma Lula, se è un rinnegato della sua e nostra classe, non è però un rinnegato di se stesso, perché, per quel che ne sappiamo, non si è mai posto in un'ottica rivoluzionaria. Anzi, il suo percorso dimostra, una volta di più, che la combattività operaia, l'energia, lo spirito di sacrificio, se non sono animati da un progetto politico complessivamente e coerentemente anticapitalista, cioè comunista, non solo non possono spezzare le catene dello sfruttamento capitalistico, ma vengono facilmente recuperati dall'ordine borghese e ritorti contro la classe operaia da cui i vari "Lula" sono stati espressi.

Come Walesa, che guidò l'imponente moto oggettivamente di classe nella Polonia del 1980, così l'ex combattivo metalmeccanico brasiliano è la pedina migliore di cui oggi la borghesia dispone per difendere il suo sistema di privilegio e oppressione.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.