No al referendum Fiat

La breccia di Pomigliano sta diventando un varco che si incunea oggi nelle vive carni dei lavoratori Fiat, domani in quelle di tutto il proletariato italiano. In gioco non c’è soltanto l’accordo di 5 mila metalmeccanici degli stabilimenti di Mirafiori, ma la necessità del capitale di stabilire con la forza lavoro un nuovo tipo rapporto che la subordini in tutto e per tutto alle impellenti necessità della concorrenza internazionale. La legge del profitto non consente deroghe, prendere o lasciare. Accettare il nuovo contratto oppure Marchionne va ad investire da altre parti che gli garantiscano maggiore competitività e più consistenti profitti. Come dire: o i profitti li prendo da voi o li vado a cercare da un’altra parte, regolatevi.

Sulla questione si sono già costituiti i due fronti. Nel campo sindacale, Cisl e Uil non solo hanno accettato il referendum farsa ma, addirittura, hanno fatto passare il contenuto del “Piano Fabbrica Italia” come una conquista rappresentata dagli investimenti in Italia e dal mantenimento dei posti di lavoro. Quindi, sì al referendum, perché altrimenti i soldi vanno all’estero e si perderebbero posti di lavoro. È la solita politica al ribasso, meglio poco che niente, meglio essere più sfruttati che non esserlo per niente, meglio un pessimo lavoro, mal pagato, che la disoccupazione, meglio la miseria di arrivare a stento alla fine della seconda settimana che la fame. Avanti di questo passo si arriverà a considerare una “vittoria” farsi tagliare una gamba invece che due. La Cgil-Fiom invece punta i piedi, grida giustamente allo scandalo, ma, ancora una volta, aggrappandosi agli aspetti formali trascurando quelli sostanziali. Denuncia il tentativo di esclusione (la sua) dalla possibilità di rappresentanza sindacale in fabbrica se passasse il “sì”. Si lamenta della restrizione del diritto di sciopero, dimenticandosi di aver contribuito già da tempo alla sua sterilizzazione in termini di tempi di preavviso, di frammentazione delle iniziative e di incisività, per aver avuto sempre, come prima attenzione, quella di agire all’interno delle compatibilità del sistema che mai e poi mai avrebbe dovuto essere messo, non diciamo in crisi, ma nemmeno in difficoltà.

Dichiara di non aver ricevuto sufficienti garanzie sui contenuti effettivi del “Piano Fabbrica Fiat”, come se la dichiarata chiusura di Termini Imerese, l’esperienza di Pomigliano e i punti programmatici espressi recentemente da Marchionne su Mirafiori non fossero chiari sino all’evidenza. Non una parola sulle 120 ore di straordinario obbligatorie, sull’aggiunta di altre ottanta con l’eventuale accordo con i sindacati, che è come dire sulle duecento ore di lavoro in più, visto il solito atteggiamento di “responsabilità” più volte espresso e sempre praticato dalle tre confederazioni. Non una parola sulla flessibilità dell’orario di lavoro e sulla organizzazione dei turni lavorativi. Lavorare di giorno, di notte, poco quando il mercato non tira, sino a 50 ore settimanali quando è necessario. Anzi su questo Landini ha più volte dichiarato che la Fiom è sempre disposta ad accettare il tutto alla sola condizione che le misure necessarie al nuovo tipo di rapporto lavorativo vengano ricavate dal vecchio contratto e non da quello nuovo. Non una parola sulle nuove condizioni di lavoro in fabbrica che fanno dell’operaio Fiat un automa al completo servizio del capitale con poche pause, con la maggiore intensificazione possibile del lavoro, con una dedizione assoluta alla logica produttiva e ad assoluto scapito della qualità della vita sul posto di lavoro e fuori. La Fiom ha puntato i piedi sugli aspetti, certo scandalosi, quali la riduzione delle pause e dei tempi di mensa - collocata a fine turno! - la questione malattia e l'imbrigliamento del “diritto” di sciopero, ma in un'ottica di accettazione, come sempre, della necessaria politica dei sacrifici.

Sul fronte proletario si è aperta l’inevitabile faglia. Da un lato, chi è disposto a votare sì al referendum, perché gli hanno puntato la pistola alla tempia. Dall’altro, chi, la minoranza, spera di lenire la pillola adeguandosi alla comunque perdente strategia della Fiom, anche se quest’ultima sta subendo le pressione della Cgil che, pur dichiarandosi dalla parte di Landini e “compagni”, consiglia tatticamente un voto che non penalizzi l’occupazione. Ovvero un no a parole ma un sì nei fatti.

Siamo alla farsa. È assolutamente farsesco che sia Marchionne, ovvero il capitale Fiat, ad indire un referendum il cui contenuto ricattatorio, senza nessuna via d’uscita, suoni in questi termini: o vi piegate al capestro che vi propongo oppure sarete maledetti per sempre. O accettate il diktat oppure me ne vado da un’altra parte. È tragicamente farsesco che i sindacati si inchinino al ricatto o lo emendino nelle sue parti meno vitali per gli interessi del capitale. È tragico che i lavoratori ne subiscano comunque le conseguenze senza un accenno (per il momento) di sana reazione di classe.

È il referendum che deve essere rifiutato in blocco. Per i motivi anti-proletari che contiene, perché è la summa di uno sfruttamento senza pari, perché è lo strumento borghese che il capitale usa per assoggettare la forza lavoro a vincoli dai quali non si potrà più liberare. Perché se passasse sarebbe la premessa di altri sacrifici, di maggiore miseria economica e sociale. Perché non è attraverso l’istituto dei referendum, peraltro completamente nelle mani di chi gestisce le necessità del capitale, che passa la strada della difesa degli interessi dei lavoratori. Solo la ripresa delle lotte frontali, autonome dai tatticismi e dalle capitolazioni sindacali, fuori dalle solite compatibilità del sistema, condotte attraverso comitati/assemblee animate dai lavoratori stessi in lotta, può ridare speranza ad una classe lavoratrice che continua a subire senza avere la forza di reagire. Solo l’estensione delle lotte egli altri stabilimenti Fiat, solo la ripresa della solidarietà di classe di tutto il mondo proletario (ieri a Pomigliano e Melfi, oggi a Mirafiori, domani a tutto l’indotto, poi all’intero sistema paese) possono dare il via ad una vera risposta di classe.

No al ricatto del referendum, sì alla ripresa delle lotte contro Marchionne, contro il piano Fiat contro il capitale e le sue crisi che tutto questo impongono. Contro il capitalismo che ormai è solo in grado di imporre più sfruttamento e peggiori condizioni di vita. Contro una società che si modella sempre più sugli affamanti meccanismi di accumulazione che schiavizzano i lavoratori dentro e fuori le fabbriche. Il capitalismo moderno per sopravvivere alle proprie contraddizioni non si limita più ad imporre le sue devastanti leggi economiche al proletariato, ma ne vuole anche “l’anima” attraverso i perversi meccanismi di un consenso estorto con la violenza del ricatto.

FD

Comments

Il No al referendum è stato a maggioranza operaia (e non e' poco considerando la potenza di fuoco dei padroni che abbiamo tutti visto all'opera, politica-sindacati-tv e mass media tutti allineati contro gli operai) e adesso gli scioperi sono pienamente legittimati nelle fabbriche con azioni dirette dagli operai...

Inoltre fiat e marchionne non faranno nulla di cio' che dichiarano; "investimenti" "sviluppo occupazione" ecc ecc...

Solo paraventi e scuse per estorcere ancor piu' sfruttamento a nuovi livelli, se gli riesce per conto dei padroni fiat e confindustriale, e come scusa per traslocare (visto che siamo alla fine della fiera con la caduta verticale delle vendite auto), scaricando colpe agli sfruttati, dopo aver succhiato tutto il possibile...

Si trasloca quindi, il capitale sbaracca, in altri lidi, incentivati dagli aiuti di stato, se gli riesce il giochino bene se no so' cazzi amari anche per loro...

Molto dipenderà dalle "azioni dirette degli operai" a cui accenni. Se la classe operaia (non solo di Mirafiori) prenderà finalmente l'iniziativa della lotta di classe liberandosi dal pantano dentro cui il sindacalismo l'ha tenuta finora, i giochi si riaprirarnno davvero.

Certo non basta. Occorre un progetto, una strategia, una guida politica. Occorre un partito rivoluzionario.

Altrimenti ogni rivolta, per quanto dura, si esaurisce nel sistema.