Cresce il rischio di una guerra generalizzata e dello scontro diretto tra il fronte imperialista guidato dagli USA e quello a guida cinese · A un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina i rischi di una escalation aumentano sempre più. Il proletariato ucraino, la popolazione sotto le bombe sono vittime, ma lo sono anche i soldati di leva figli del proletariato russo mandati a uccidere e a farsi...
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Cina
Migliaia di lavoratori migranti cinesi sono stati protagonisti di tre giorni di proteste e violenti scontri a Zengcheng, vicino a Canton, nella zona del delta del fiume delle Perle. In questo agglomerato urbano è concentrato un distretto dell’industria tessile che produce ogni anno duecento milioni di paia di jeans per 60 tra i più famosi marchi del pianeta, molti dei centomila operai che vi lavorano provengono dalla regione cinese del Sichuan e vi lavorano in condizioni di assoluto sfruttamento, con turni che vanno da un minimo di 12 fino a 18 ore giornaliere.
I disordini hanno avuto inizio quando la polizia ha spinto a terra e forse percosso una venditrice ambulante in stato di gravidanza nel tentativo di tirare via il suo banchetto. I poliziotti usano trattare i lavoratori migranti come cittadini di seconda classe, spesso maltrattandoli e chiedendo mazzette. Questa situazione è causata dall’Hukou, un complicato sistema di registrazione della residenza introdotto molti anni fa per controllare le migrazioni interne, e ancora adesso parzialmente in vigore. In virtù di questo sistema 150 milioni di migranti non hanno molti diritti elementari come l’accesso all’educazione per i loro figli, la sanità e in certe situazioni possono accedere solo ad alcuni settori del mercato del lavoro. Quando si è sparsa la notizia, poi rivelatasi infondata, che la donna e suo marito erano stati uccisi è esplosa la rabbia degli operai delle fabbriche circostanti. Le forze dell’ordine hanno cercato di contenere la folla ma sono state distrutte 3 macchine della polizia e un’ambulanza. Nei giorni successivi la protesta è proseguita di fronte agli edifici dell’autorità locale e 25 persone sono state arrestate. Domenica i manifestanti hanno marciato verso Phoenix city, un complesso residenziale di lusso, attaccando auto e palazzi. La polizia ha formato una barricata intorno all’area proteggendone gli abitanti. Le autorità hanno poi cercato di ridurre la tensione facendo comparire il marito della donna in televisione e minimizzando l’accaduto, ma il regime è ben consapevole che vasti strati della popolazione sono coinvolti nelle proteste. Infatti solo pochi giorni prima a Chaozhou, un’altra città cantonese, 200 lavoratori migranti avevano fatto un picchetto fuori da un edificio governativo, e anche questa volta la manifestazione si era rapidamente gonfiata e trasformata in una sommossa in cui sono state distrutte auto della polizia e sono stati fatti 9 arresti. All’origine di quest’altro episodio era stato il pestaggio da parte di un capo di un lavoratore migrante e di suo figlio che chiedevano il pagamento di arretrati per migliaia di yuan. In un'altra zona della Cina, a Lichuan, nella provincia di Hubei, duemila manifestanti hanno preso d'assalto il palazzo del governo per protestare contro la morte dell'ex funzionario locale Ran Jianxin, che stava indagando sulla corruzione delle autorità locali nella compravendita di terreni. Ran era sotto interrogatorio della polizia ed è morto il 4 giugno, l'anniversario del massacro di piazza Tienanmen del 1989.
Tutti questi episodi sono indicativi del crescente malcontento della popolazione e ci sono segnali che possa partire una nuova ondata di scioperi come quella che l’anno scorso ha paralizzato l’industria automobilistica. Ancora diversi giorni dopo le proteste la tensione rimane molto alta e a Zengcheng è stato dichiarato il coprifuoco dalle ore 20.
Alla base del malcontento diffuso, oltre ai livelli insopportabili di sfruttamento della forza lavoro, c’è l’aumento del prezzo dei beni di consumo, in specie dei prodotti alimentari che sono cresciuti più dell’11%, e la corruzione dei funzionari delle autorità locali che lucrano sulla compravendita dei terreni edificabili e che sono collusi con i capitalisti locali.
Sul fronte finanziario si assiste ad una stretta da parte del governo sul credito per frenare l’inflazione e la bolla speculativa nel settore immobiliare: negli ultimi mesi sono stati alzati quattro volte i tassi di interesse, mettendo in difficoltà quelle piccole e medie imprese che hanno margini di profitto più limitati e non possono concedere aumenti salariali senza perdere in competitività. Nel 2008, all’apice della crisi mondiale, chi dice 12 chi 20 milioni di lavoratori migranti hanno perso il posto di lavoro in pochi mesi per chiusura o ristrutturazione di aziende. Da allora il governo ha messo in campo un piano di incentivi e finanziamenti di entità simile al piano di Obama negli Stati Uniti. In realtà in questo momento il governo di Pechino, spaventato dalla possibilità di un’ondata di rivolte simile a quelle nordafricane, che possano contestare alla base il sistema di potere all’interno della società cinese, sembra orientato a concedere un aumento dei minimi salariali, anche per incrementare i consumi interni, in presenza di una flessione per la prima volta delle esportazioni verso il mercato estero; in tale direzione si è mosso anche il piano quinquennale approvato nei primi mesi dell’anno. Un'altra misura diretta a migliorare parzialmente le condizioni del lavoro è l’introduzione di una forma embrionale di welfare state: anche questo aspetto però andrà a gravare sulla struttura dei costi, finora molto competitiva sul mercato globale, delle imprese cinesi, perché sarà finanziato con trattenute in parte sui lavoratori e in parte a carico delle aziende anche se non è chiaro a quanto ammonteranno le aliquote e come su altre cose ci sarà anche su questo un’ampia discrezionalità da parte delle autorità locali.
Insomma il quadro che si delinea nel gigante cinese è di una situazione con molte contraddizioni, in procinto forse di esplodere, un quadro assai diverso da quello luminoso e ottimistico che è stato diffuso per anni dall’ideologia dominante e dalla sua pubblicistica.
Canada
Sono in stato di agitazione i lavoratori delle poste in Canada. Il sindacato (CUPW) ha indetto uno sciopero a rotazione con manifestazioni in dieci città, il tentativo neanche tanto nascosto da parte sindacale è quello di rimandare a tempo indefinito la convocazione di uno sciopero nazionale che porrebbe la questione sul tavolo del governo. In risposta a questa timida iniziativa di protesta l’azienda ha risposto invece duramente, facendo capire a tutti il significato anche simbolico di questo scontro, in stile Marchionne (forse un virus canadese), e ha disposto la riduzione del servizio a soli tre giorni settimanali riducendo proporzionalmente l’impiego della manodopera. Il management di Poste Canada chiede significativi tagli: una riduzione del 20% del salario d’ingresso, tagli alle garanzie per la salute, con il tetto di 7 giorni all’anno per malattia, previa autorizzazione dell’azienda, e cambiamenti organizzativi che comportano una riduzione dei posti in seguito alla meccanizzazione dei processi nella distribuzione della posta. Analogamente a quanto è stato firmato dai sindacati americani dell’auto, che hanno accettato una riduzione addirittura del 50% del salario iniziale, nemmeno per i neoassunti in senso stretto, ma per quelli che non hanno una certa anzianità di servizio; questa misura che per adesso colpirebbe solo una parte dei lavoratori, presto funzionerà come base per ridiscutere i livelli salariali e le condizioni generali di tutti gli addetti. Nel momento in cui si crea una divisione tra lavoratori di serie A e di serie B (Tier 1 e Tier 2 come dicono loro) il più è fatto, non resta dopo un po’ che far apparire i primi come dei privilegiati che stanno godendosi la vita alle spalle degli altri e quindi riequilibrare il tutto al ribasso, dando pure l’idea di fare opera di giustizia sociale.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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