La Cina bolle

Dalla rivista giovanile internazionalista “Amici di Spartaco” #26

La Cina. Un paese con circa 1,34mld di abitanti, un Pil di circa 5.000mld di dollari con incrementi percentuali elevatissimi rispetto al resto del mondo.

L’anno scorso circa 4,5 punti percentuali sono derivati dall'espansione dei consumi interni (che sono in fortissima crescita) e dalla ripresa, seppur lieve, della domanda estera.

Un paese, inoltre, con un deficit e un debito pubblico irrisori, rispettivamente del 3 e del 15 per cento circa. Eppure, a dispetto di questi floridi dati, anche la Cina è investita dalla crisi mondiale che sta sconvolgendo l'economia capitalistica.

La domanda estera, specialmente da parte dell'Europa e degli Stati Uniti, per quanto, come riportato, in lieve ripresa, se osservata in un quadro temporale più ampio risulta essere in netto calo rispetto al decennio scorso. Tale tendenza - diretta conseguenza della crisi mondiale in atto - colpisce infatti in maniera sempre più dura questo paese, “fabbrica del mondo” fino a qualche anno fa.

Il tasso di crescita del Pil, infatti, fra giugno e settembre si è attestato sul 9,1%, il dato più basso degli ultimi due anni.

Tale trend negativo segue quello mondiale che dagli anni 1970 è in lenta ma costante diminuzione.

Il tutto a riprova che la legge marxiana della caduta del saggio del profitto non fa sconti a nessuno, neanche alla Cina, e ci ricorda ogni istante che la crisi che stiamo vivendo non è semplicemente una crisi finanziaria amplificata dai debiti sovrani, come tanti sedicenti economisti borghesi (spesso in malafede) vogliono lasciar intendere, bensì una crisi di sovrapproduzione dovuta alla caduta del saggio medio di profitto.

Ma quali sono gli effetti della crisi sul proletariato cinese? E quali sono le contromisure che sta adottando la borghesia? Vediamo più da vicino il quadro della situazione.

Ogni giorno, da ormai quasi un anno, in Cina esplode un nuovo sciopero, una mobilitazione: vecchie e nuove generazioni di lavoratori cinesi si incontrano sul terreno di spontanee rivendicazioni, salariali e di sicurezza sociale. Dopotutto, con l'inflazione che avanza, 200 euro di stipendio medio al mese non bastano più. Lo Stato, per far fronte alle continue rivolte operaie e per evitare di ritrovarsi con magazzini strapieni di merci invendute, ha tentato disperatamente di alzare i salari minimi ma, ai primi sintomi di crisi le aziende hanno chiuso i rubinetti degli straordinari, vera e proprie fonte di quel surplus vitale per la classe operaia cinese.

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Nell'occhio del ciclone, infatti, ci sono proprio le aziende, in crisi di credito per la stretta ai prestiti bancari attuata dal governo per placare l'inflazione e la paventata possibilità di nuove tasse governative. Alcune falliscono, altre provano a spostarsi per cercare manodopera a prezzi ancora più bassi: per sfruttare ancora di più.

Ma dove si stanno svolgendo le proteste, principalmente? Il centro è il Guangdong, polmone economico della Cina, che da solo costituisce un quarto delle esportazioni del paese e che da sempre costituisce il modello economico liberale, in contrasto con quello più statale di Chongqing. Ma proteste stanno deflagrando anche nel sud del paese, come a Wukan (Guangdong), villaggio di 20000 anime che vive di pesca: blocchi stradali, prolungate manifestazioni di piazza, e il Partito Comunista Cinese che ha totalmente perso il controllo della situazione e lo sta riguadagnando solo col dispiegamento di tutte le sue violente forze repressive.

I settori all'interno dei quali si sono sviluppate lotte e scioperi sono i più svariati: trasporti, elettronica, sanità i principali.

Ciò che passa sui media cinesi è, ovviamente, minimo. Ma anche ciò che si riesce a leggere nei micro-blog rispecchia il tentativo della borghesia cinese di nascondere le lotte che stanno nascendo ovunque. Per lo più sui media cinesi si accenna agli scioperi nelle aziende straniere: Pepsi, Hitachi, Hi-P e la singaporeana Foxconn1 che produce per Apple e Motorola.

In alcuni casi, come la recente protesta presso uno stabilimento che produce per Hitachi, a Shenzhen (Guangdong), gli operai hanno denunciato una riduzione dei salari mensili da 4mila a 3mila rmb (poco più di 300 euro).

Molto interessante anche la composizione sociale di chi protesta: i più giovani sono in prima linea nella protesta ma ci sono anche anziani coinvolti, concentrati su temi di sicurezza sociale. Due generazioni a confronto, insomma, con i più giovani che ormai utilizzano gli strumenti dei social network per dar vita a forme spontanee di lotta, focalizzata su rivendicazioni per lo più di carattere salariale. Ma ci sono anche dispute sugli straordinari, sui pagamenti dei contributi, sui bonus produzione e, ovviamente, richieste di migliori condizioni di lavoro. Nella stessa Hitachi ad esempio, i lavoratori, per lo più donne, avevano interrotto le trattative con la dirigenza al grido di "dovete darci il denaro" e cercando forme autonome di organizzazione; i sindacati ufficiali, infatti, sono completamente assenti nelle dinamiche di lotta.

Per l'appunto, i sindacati. Questo è un dato che si sovrappone alle dinamiche di almeno altri due recentissimi focolai di protesta dell'ultimo periodo: il movimento Occupy Oakland sorto a novembre negli Stati Uniti, che ha bloccato i porti della costa ovest il 12 dicembre, e lo sciopero generale cittadino di Barcellona dello scorso settembre. Le azioni di sciopero in Cina, infatti, come quelle statunitensi e spagnole, non sono state organizzate dai sindacati ufficiali, ma sono nate per lo più in modo spontaneo, con un largo utilizzo anche di strumenti on line. I sindacati ufficiali d'altronde, lo sappiamo bene, non sosterranno mai gli scioperi che non siano programmati e "ufficializzati". Non sosterranno mai scioperi selvaggi e a oltranza, realmente efficaci perché diretti a colpire in maniera dura il cuore del motore capitalista, ossia il profitto.

Non lo faranno mai, presi come sono a cercare una mediazione costante col capitale.

I cinesi questo lo stanno capendo, quelli di Oakland e di Barcellona, pure. Cosa aspettiamo a capirlo noi proletari italiani?

Mauro (Roma)

Amici di Spartaco

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