Dietro il TAV avanza la prepotenza e la violenza del Capitale

Informazioni e commenti sul TAV, da un esclusivo punto di vista degli interessi del proletariato (lavoratori, disoccupati, pensionati e giovani sottoposti al dominio del capitalismo) e non al seguito delle mistificazioni create attorno agli “interessi collettivi” del Paese ovvero alle esigenze del Capitale.

La borghesia, con le sue componenti e stratificazioni maggiormente legate ai poteri statali, all’amministrazione della «cosa pubblica», agli interessi delle Banche e, soprattutto oggi, a quelli nazionali e internazionali del capitale in veste finanziaria, riconosce validi solo i progetti e i pareri «scientifici» di quanti (economisti, medici, esperti dell’ambiente, ecc.) approvano i suoi piani per «cantieri e grandi opere pubbliche». Il tutto sostenuto nella cosiddetta «gestione politica» delle ipotesi di ulteriori sviluppi di un capitalismo boccheggiante (ma non meno potente e invasivo), il quale a questo punto non si arrende di fronte a qualsiasi rischio. Anche se dietro le obbligate sottovalutazioni, qualche dubbio affiora qua e là.

Sono vicende che si svolgono da quando è divenuto totale il dominio del capitale, ed è questo lo scenario entro il quale si trascina da tempo la questione del TAV in Piemonte, portata avanti con sempre maggiore prepotenza. Chi si azzarda ad insistere nel contestare il progetto e i dati ufficialmente propagandati (spesso approssimativi o addirittura inesatti), viene in un primo momento «democraticamente» tollerato nel nome e nella astratta esibizione di una conclamata «libertà di pensiero»; in seguito, e concretamente magari a suon di manganellate, viene considerato quanto meno un «cretinetto» (vedi alcuni quotidiani di grido) e trattato come tale. Anzi, peggio: lo si indica come un aperto nemico del progresso, dello sviluppo, della «civile società» borghese e dei suoi «necessari» apparati di coercizione e repressione, prontamente usati contro chi viene additato come colpevole di rifiutare il… dialogo!

Chi rimane in disaccordo e non si mette alla fine in sintonia con gli interessi dei poteri dominanti (quelli del capitale innanzitutto) viene prima o poi messo definitivamente a tacere, con abbondanti dosi di violenza aperta o mascherata. Sul rispetto dell’«assetto costituzionale» non si scherza!

La vicenda attorno ai progetti TAV si trascina da 11 anni, cioè dagli accordi Bersani-Claude Gayssot del 29 gennaio 2001. I governanti in quel periodo in carica (da… “sinistra”) a nome del «popolo sovrano», più che mai preoccupati di sostenere l’«interesse generale», non si lasciarono sfuggire l’occasione di dimostrarsi fedeli servitori dei bisogni del capitale, sulle cui ragioni c’è poco da discutere: o si accettano e si sostengono o si diventa estremisti, pericolosi sovversivi e quant’altro. Tanto da far intervenire, nella condanna delle ultime proteste in Val di Susa e nel plauso ai tutori dell’ordine, persino un altissimo esponente istituzionale, convinto stalinista nel periodo in cui si trattava di appoggiare i «pacifici interventi» dei carri armati russi che nel 1956 intervennero contro i proletari ungheresi (migliaia di morti) denunciati come «teppisti e spregevoli provocatori». Il fine, così diceva l’illustre personaggio mezzo secolo fa al fianco di un “padre della Patria” come Togliatti, era quello di «impedire il caos e salvare la pace nel mondo». Fu un errore – questa la successiva giustificazione per quegli “apprezzamenti” – che fu superato da chi lo aveva commesso attraverso un «grande tormento autocritico». Dopo di che, mutati i tempi ma più o meno con le medesime accuse allora riservate agli operai ungheresi in rivolta, si possono anche prendere di mira gli ostinati ribelli valsusini, se non altro come allenamento per futuri e più decisivi interventi in difesa della pace sociale…

In generale, il sistema dell’Alta velocità nelle nostre ferrovie ha cominciato i primi passi nel 1991, dando il via ad una serie di cifre previste per i costi di realizzazione che di anno in anno hanno continuato a subire aumenti ben superiori ai tassi di inflazione. Addirittura maggiori fino a sei volte sono diventati i costi dell’investimento per chilometro di linea! Quanto ai tempi di completamento dei lavori, le medie sono anch’esse superiori a quelle registrate in altri paesi, come Francia e Spagna. (Sono dati che circolano ovunque, in questo caso da parte di ricercatori del Politecnico di Milano – Reitano 2011). Analizzando così i costi-benefici di alcuni progetti, si può constatare come la Torino-Milano, costata 7,7 miliardi di euro, per ottenere un pareggio di bilancio dovrebbe trasportare 14 milioni di passeggeri ogni anno e non 1,5 milioni come accade oggi. Altro caso quello della Roma-Napoli, con 3 milioni di passeggeri quando ne servirebbero 8 milioni per coprire i costi. I dati previsionali vengono quindi manipolati al fine di farli apparire convenienti rispetto a quello che saranno nella realtà.

La pillola del fantastico progetto, che si doveva cominciare a far ingoiare al «popolo valsusino», fu subito indorata con l’obiettivo – si disse -- di sostituire l’inquinante trasporto su gomma con quello ferroviario meno invasivo. Da notare che, decenni prima, il trasporto su gomma delle merci (ma anche dei passeggeri) era stato presentato – sempre al «popolo sovrano» – come il miglior mezzo usabile rispetto a quello su ferro, poiché gli interessi della Fiat e dell’Eni lo imponevano come «preferibile». Oggi, invece, si cambierebbe musica sostenendo che la tecnologia (trascurando il fatto che scienza e tecnica sono piegate al servizio del capitale!) verrebbe in soccorso degli ecologisti offrendo loro, con il TAV, la possibilità di abbassare gli inquinamenti nonché i costi dei trasporti e migliorando la loro efficienza, anche se non risultano particolari lamentele da parte di industriali e commercianti per uno scarso collegamento con l’Europa da parte dell’Italia e del Piemonte. Facendo noi la parte dell’avvocato del diavolo, sembrerebbe in verità di maggior vantaggio (per il capitale, s’intende) tracciare un percorso funzionale verso mercati e commerci più lucrosi per la borghesia, come per esempio verso la Germania – partner commerciale di primo piano – o altre zone del Nord Europa dove si trovano scali portuali di notevole importanza e da cui si muovono in andata e ritorno merci attraverso la Svizzera e il Brennero. Persino in Francia si ammette che una direttrice merci più allettante dovrebbe essere in futuro quella che unisce Genova a Rotterdam.

Naturalmente ci si guarda bene, a destra e a “sinistra”, dall’accennare che per la classe dominante sono in gioco altre necessità, a cominciare da quelle di un capitale in piena difficoltà nella sua fondamentale versione “produttiva” e quindi molto agitato nella versione “finanziaria”, dove nel tentativo di rincorrere una sua autovalorizzazione si avventura in giganteschi “investimenti” e avventurose circolazioni di denaro in cerca di denaro.

Così è per i progetti europei che esaltano la costruzione, su linee «dorsali», di reti per lo sviluppo di trasporti locali e… «pendolari». Ed è proprio in questo secondo settore che l’Italia si può da tempo offrire come esemplare modello! Poi si finge stupore, e si invoca «tolleranza zero» quando, per un continuo degrado dei servizi e dei treni ridotti a trasporti di… bestiame, i pendolari del nostro Bel Paese occupano, esasperati, i binari delle stazioni dove – così come sugli «appositi treni» a loro destinati – trascorrono, come “pacchi senza valore” e non come esseri umani, buona parte delle loro giornate per recarsi ad un lavoro che dovrebbe servire ai «salti in avanti di tutta la società italiana», come i mass-media recitano. Per fortuna sono sempre presenti e operanti -- non lo si dimentichi mai! -- i volonterosi «rappresentanti parlamentari del popolo sovrano», come rimarcano i commentatori ufficiali delle vicende in corso. Con qualche personaggio (in questo caso un Adriano Sofri) che si appella alle decisioni di una consultazione referendaria, sempre per dare ascolto e valore al «popolo sovrano».

Il progetto originario del TAV era a dir poco assurdo oltre che tortuoso, comportando più di un milione di metri cubi di rocce amiantifere da trasportare, bagnandole con milioni di litri d’acqua, in discariche provvisorie. Si trattava, manco a dirlo, del risultato di «s_tudi e garanzie scientifiche_», tant’è che in seguito seguirono modifiche dopo che gli ideatori del tracciato si videro costretti ad ammettere che si andava a scavare fra rocce con forte presenza non solo di amianto ma anche di uranio. Scienziati e tecnici, presi dalle ciclopiche prospettive dell’opera (e relativi guadagni speculativi), inizialmente non se ne sarebbero accorti! Ed a tutt’oggi, non potendo escludere la presenza di amianto contenuto nelle rocce e che affiorerà durante gli scavi, giustificano il rischio sostenendo che se ci sarà sia l’amianto che l’uranio, beh, lo si constaterà durante l’esecuzione degli scavi. E si aggiunge: «comunque è un rischio che riguarda solo chi scava…»: trattandosi di lavori condotti in galleria e non all’aperto, il pericolo è riservato a chi è pagato per fare quel lavoro. I “cittadini” possono quindi stare tranquilli poiché anche qualche morto in più rende “dinamico” il mercato del lavoro!

Sempre in tema di credibilità verso queste esibizioni di alta competenza tecnica e scientifica, ricordiamo che nel progetto risalente al 2001 il Monte Musinè avrebbe dovuto essere attraversato da un tunnel sul fronte nord della valle (18 Km di nuova linea ferroviaria). Ma la montagna (all’insaputa dei tecnici stipendiati dal capitale?) era ed è ricca di amianto; inoltre si metteva a rischio l’assetto idrico della valle (fiume Dora). Guarda caso, nessuno se ne era accorto prima e solo in seguito alle proteste di qualche “esaltato” il progetto fu accantonato. Al 2035 è stata poi rimandata una nuova valutazione per l’eventuale realizzo di un altro progetto nel versante sud della Valle. Non c’è quindi da meravigliarsi se, in un recentissimo dibattimento al Tar, lo stesso avvocato della francese LTF (Lione-Torino-Ferrovie) abbia candidamente ammesso che non esiste ancora un progetto esecutivo preciso poiché non sono al momento disponibili tutti gli studi geologici, i quali sono fattibili soltanto con le prospezioni sulle aree e quindi con una esatta conoscenza delle rocce locali. Intanto le stime di costo variano a suon di miliardi di euro a seconda delle scelte progettuali.

A proposito delle reazioni al di fuori dell’Italia, va inoltre sfatata la “leggenda” diffusa dai mass-media (con nomi altisonanti come Scalfari, Augias, ecc.) secondo la quale a protestare sarebbero soltanto i valsusini mentre i francesi approverebbero ogni cosa. Falso, poiché nei riguardi della super linea ferroviaria Torino-Lione, e nonostante i rituali accordi tra Roma e Parigi, la Savoia e percorsa da proteste che vengono addirittura dal partito di Sarkozy. Anche in Francia non mancano quindi i «cretinetti» (compresi centinaia di docenti universitari borghesi…) che ritengono la TAV un salasso finanziario devastante per l’ambiente ed inutile. Le ragioni sono sempre da ricercarsi nelle «rilevanti carenze» del dossier, nella sostenibilità ambientale e redditività di una infrastruttura faraonica, quando il trasporto merci è declinante. Si critica inoltre la permanenza del nodo di Chambéry, un ingolfato terminal per soli passeggeri. Quanto al trasferimento dalla gomma alla rotaia, lo si qualifica come del tutto astratto. Così in Francia.

A questo punto, le presenze di amianto e uranio nelle zone del Piemonte interessate agli scavi sono un fatto certo.

L’esistenza di amianto, in diverse forme, nelle rocce della Valle di Susa (29 punti di osservazione) è stata confermata fin dal gennaio 2003 da una equipe di geologi del centro di Geotecnologie dell’Università di Siena. Dato l’enorme volume degli scavi previsti (oltre un milione di metri cubi, con la movimentazione di più di un milione di tonnellate di rocce), la dispersione nell’aria di fibre d’amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio sarebbe un fatto certo. Fra le malattie causate dall’amianto la più grave è il mesotelioma, tumore maligno della pleura, con una mortalità vicina al 100%. Da notare che già oggi in zone della Valle si hanno annualmente percentuali di decessi per mesotelioma molto più alte rispetto al resto della nazione.

E per l’uranio, risulta che fin dal 1965 il CNR ha documentato la presenza di giacimenti nel massiccio d’Ambin attraversato dal traforo (con 15 milioni di metri cubi di materiale da estrarre): si tratta di pechblenda, forma notevolmente radioattiva. La contaminazione delle falde acquifere sarebbe un rischio certo. Per la salute sarà inoltre inevitabile un aumento dei linfomi, come è stato per i militari in “pacifica missione” nei Balcani, esposti all’uranio impoverito (teoricamente meno radioattivo). Esiste in proposito una documentazione redatta dai medici di base della Valle.

Anche in conseguenza di questi pericoli, e nonostante il TAV sia stato presentato come «essenziale e strategico», le modifiche al progetto si sono succedute negli anni (e sono già costate milioni di euro intascati dagli esperti). Al momento le uniche opere che sembrerebbero decise sono: il tunnel e il nodo ferroviario di Torino; circola quindi un progetto, con modifiche, compromessi vari e rinvii. L’apertura del cantiere di Chiomonte, dove non risulta cominciato alcun lavoro (lo testimonia un rapporto dei deputati europei che recentemente hanno visitato la zona), è solo simbolica.

E si parla anche di un altro buco sotto le Alpi, adeguato agli standard del “moderno” trasporto merci, che il vecchio traforo del Frèjus (1871) non consentirebbe. Da notare che nella galleria del Frèjus sono già stati eseguiti ben cinque anni di lavori per abbassare di 50 centimetri il piano rotaia in una direzione. Quanto alla linea oltre Susa, il tratto Bassa Val Susa, tutto è avvolto nel mistero e ufficialmente rimandato ad una «seconda fase» dopo altri studi sulle… dinamiche del traffico.

Inoltre, nella zona sono presenti due parchi regionali, l’Orsiera e il Gran Bosco di Salvertand, ma anche questo sarebbe un problema – a quanto sembra seguendo i pensieri degli esperti – che tutto sommato dovrebbe unicamente interessare gli animali per i possibili pericoli di inquinamenti, compresi quelli acustici durante gli scavi, e la volatilità di polveri e fibre di amianto. Insomma, se ci blocchiamo di fronte a qualche «normale» inconveniente, non faremmo più alcuna «opera pubblica», si lamentano i rappresentanti del «popolo sovrano»! Come dire: se si dovessero considerare le vittime provocate fra i civili, donne, bambini e anziani in primis, non si farebbero più neppure le guerre! Fra cui proprio quelle «democratiche», indispensabili per la diffusione della libertà e del benessere... Questo è il pensiero dominante di lor signori.

La costruzione di piazzali di smistamento, aree di servizio e di sicurezza, porterà alla cementificazione di decine di migliaia di mq di terreno pianeggiante. Una di queste aree, da costruirsi per motivi di sicurezza, viene fatta passare per la base di costruzione di una stazione internazionale…a traffico ridotto. In realtà, il risultato sarà quello di vasti parcheggi e snodi di container al servizio di un girone globale di merci. Così si continua a fantasticare.

L’equilibrio idro-ecologico della zona sarà intaccato, lungo il territorio attraversato, con tunnel ed interramenti che porteranno alla perdita di sorgenti e all’impoverimento di torrenti con effetti sugli acquedotti e sulle colture, sui boschi e sulle viticolture, oltre ai danni su specie vegetali e animali. Rapporti recenti (dicembre 2011) denunciano «falle progettuali» riguardanti l’impatto su acque sotterranee e zone umide, fino ad effetti su aree trattate «in modo non adeguato». Altro che tutela del paesaggio, dell'assetto urbanistico o di siti archeologici. E nel Parco Archeologico della Maddalena, zona del Tunnel Geognostico, si può vedere un vecchio cartello che segnala ai turisti: «Prima dei lavori dell’autostrada, qui c’era una sorgente d’acqua». Figuratevi domani!

Da tenere presente che la valle è molto stretta e già invasa da ferrovie di cui una internazionale, strade statali, un’autostrada, una centrale idroelettrica. È la valle più “infrastrutturata” e sempre meno vivibile delle Alpi. Durante i lavori che complessivamente si protrarranno dai 15 ai 20 anni, la valle sarà percorsa da un via vai di tonnellate e tonnellate di materiali residui e da costruzione. E per finire, sarà inevitabile un aumento della mortalità fra gli abitanti della Val di Susa a causa del diffondersi nell’atmosfera di ossidi di azoto, polveri sottili e sottilissime. Si prevede, e nessuno può sottacere l’esistenza di un tale pericolo, un aumento durante i lavori di malattie respiratorie (asma, mesotelioma, tumori alla pleura) in particolare fra anziani e bambini. Abbiamo sopra accennato al Musinè, ma vicino al Tunnel di Base vi sono persino alcune miniere di uranio scavate in precedenza dall’AGIP. Qui gli stessi progettisti parlano apertamente della presenza, in alcuni tratti, di rocce amiantifere. Spazi enormi saranno quindi destinati a cantieri decennali, con una diffusione di polveri, rumori e compromissioni delle acque generati da scavi e produzioni di cemento rapportate alle dimensioni dell'infrastruttura, con gli inquinamenti acustici ed atmosferici dovuti a un flusso continuo di viaggi di grossi camion, con la costante congestione del traffico su di una viabilità ordinaria “modificata” e comunque ostacolata.

Tornando ai sostenitori, quelli senza se e senza ma, del TAV, si porterebbe in primo piano l’occasione per dar vita, durante i lavori di costruzione, ad una «piccola Mirafiori sul piano dell’occupazione, con 10 anni di lavoro per 4.000 persone, e con 200 addetti per il solo nodo di Susa». Qui sarebbe in gioco nientemeno che – ci risiamo – «lo sviluppo economico del Paese e delle future generazioni»! Vi sarebbero insomma «ricadute» per un qualche migliaio di posti di lavoro (calcolando anche l’indotto, appalti e affari locali vari), compreso il «lavoro» dei poliziotti necessari per garantire l’ordine. Un bel risultato, quando nel contempo si ingrossa l’esercito di disoccupati che i servizi pubblici (quelli utili, come sanità, istruzione, eccetera) potrebbero invece assorbire a decine e decine di migliaia, sempre se non imperasse il capitalismo e le sue logiche produttive e distributive centrate – oggi più che mai – sul profitto e sui guadagni finanziari da risucchiare al plusvalore estorto alla vivente forza-lavoro. La quale però si riduce di numero per fare spazio alla produttività tecnologica e, di conseguenza, comporta una diminuzione dei saggi di profitto. Ma su questo, il silenzio è d’oro.

Avanti, dunque, con la prospettiva di scavare un minimo di 16 milioni di metri cubi di roccia, quasi 13 Km di scavi per la sola parte italiana e complessivamente (compreso il tratto francese) 57 Km di galleria. (A proposito: i francesi non hanno ancora incominciato i lavori. Inoltre, come si potrà correre a 300 Km orari con 57 Km da percorrere in galleria?) A conti fatti, il volume dei detriti risulterebbe pari a quello di una città da 250 mila abitanti. Poi vi sono altre montagne da bucare per fare la ferrovia nuova. Ed ancora a proposito di amianto, quante tonnellate potrebbero venire alla luce? Dove verranno depositate?

Fra i motivi che giustificherebbero l’intera opera vi è poi quello relativo al «ruolo importante dei passeggeri»: una ennesima presa in giro, poiché anche il traffico passeggeri è in calo, e questo già da prima della crisi. Un movimento modesto al punto di aver fatto fare, come si usa dire, una «capriola» al progetto cambiando il TAV nel TAC dell'Alta capacità o Traffico merci. Un traffico che, come l’interscambio fra Italia e Francia, vede numeri in decrescita continua; lo stesso per quanto riguarda Spagna e Portogallo, alle prese con una «saturazione» dei mercati sia di import che di export.

Si procederebbe in ogni modo pur riconoscendo da tutti che molto bassa rimane proprio la domanda di treni passeggeri: alcuni sono già stati soppressi (per il forte passivo annuo di 6 milioni di euro registrato nel percorso per Lione) sulla linea storica Torino-Modane. Sempre mentre tutto conferma che sia i passeggeri che le merci scambiate attraverso i valichi alpini del nord-ovest italiano sono costantemente da anni in diminuzione, tanto in ferrovia che su autostrada. Ancora, e sempre per quanto riguarda le merci, segnaliamo le statistiche elaborate ogni cinque anni dall’Ufficio federale svizzero dei trasporti: nel 2004-09 il volume del traffico merci ferroviario attraverso le Alpi è diminuito del 9%, mentre è aumentato del 6% circa quello su strada. I dati, quando sono negativi, vengono prontamente contestati dalle italiche fonti governative, costrette però ad ammettere che i “traffici” sarebbero in forte quantità «intercettati nel quadrante svizzero».

Va pure aggiunto, come significativo esempio, che i recenti rinnovamenti effettuati sulla linea Torino-Modane sono costati ben 400 milioni, col risultato di un utilizzo della linea per un solo terzo delle sue capacità. Inoltre, sulla ferrovia ad Alta Velocità Torino-Milano, dotata degli standard ferroviari dell’Alta Velocità e dell’Alta Capacità, già transitano i treni Frecciarossa di Trenitalia. Vi si dovrebbero trasportare anche le merci, ma fino ad oggi – mancando i treni adatti – nulla si è mosso in tal senso. In totale, dopo un anno di esercizio, sono una ventina i treni che transitano sulla linea, che avrebbe invece ufficialmente una capacità di 300 treni al giorno.

Su nessuna tratta AV italiana è mai passato un treno merci: vincoli tecnologici impongono locomotori e carri ad hoc, costosissimi da realizzare. Altro che favorire il passaggio dalla gomma al ferro! Sempre ammesso e non concesso che le lobby dei camionisti – non solo italiani, ma anche francesi e spagnoli – se ne stiano con le mani in mano. A questo proposito c’è da constatare che senza una forte disincentivazione all’uso dell’autostrada, i camionisti saranno un ostacolo non da poco per concretizzare il passaggio del traffico merci dalla strada alla rotaia. Traffico, quello su strada, che nel frattempo, per una quindicina d’anni e più, continuerà ad essere sempre più congestionato durante il periodo dei lavori per la Tav. Ma c’è di più: l’autotrasporto ha ricevuto recentemente circa 500 milioni di euro di incentivi, mentre la mobilità urbana ha avuto un taglio del 20% delle sue risorse. E non parliamo dei servizi ai pendolari.

Il capitale non può fare a meno di mistificare la realtà mentre rotola nelle spirali della crisi, e sogna un costante aumento dei traffici globali mentre ovunque produzione e consumo, in termini capitalistici, sono ridotti a livelli pericolosi per la conservazione stessa del sistema. E poiché il traffico su strada rischia comunque di soffocare paesi e città e quindi milioni di esseri umani, viene avanti un’altra menzogna: si tratterebbe di far passare il trasporto di merci dalla gomma al ferro (come già sopra detto) trascurando il fatto che rimane pur sempre – per il capitale, certamente, che senza quei traffici morirebbe! – il problema delle distanza dalle linee ferroviarie sia dei punti iniziali di partenza delle merci, sparsi sul territorio nazionale e internazionale, sia dei punti di destinazione finale delle medesime merci in luoghi altrettanto sparsi. Non solo rimangono tratti da percorrere in camion ma il totale dei costi e dei tempi (ambedue ragioni di vita o morte per il capitale) aumenterebbe ricorrendo alle due forme combinate di trasporto. E sempre a danno dei vitali profitti del capitale, poiché ben diverse sarebbero sia la produzione e la distribuzione in una società comunista, dove occorrerebbero solo beni (per di più prodotti quanto più possibile in loco) per soddisfare i bisogni umani e non per estorcere plusvalore dal lavoro salariato dopo aver dilatato consumi inutili e dannosi. Ma questa è un capitolo del nostro programma anticapitalista; non è certamente fra le lungimiranti preoccupazioni del professor Monti e del comitato d’affari borghese: il primo ha fra l’altro dichiarato che alla fine delle razioni di lacrime e sangue riservate al proletariato (non certamente alla borghesia!) il Pil nazionale dovrebbe aumentare niente di meno che del 10%. Da qui anche la «necessità» del TAV…

Tornando specificatamente alla linea “storica” Torino-Modane, questa ha subito lavori di ammodernamento iniziati nel 2002; l’inaugurazione avvenne nel febbraio 2006 ma la linea completa, con l’aggiunta di tronchi mancanti, è stata inaugurata nel dicembre 2009. E mentre i costi in Francia per la LGV Est européenne (sempre secondo cifre riportate allora dal Sole24Ore del 18 febbraio 2007) sarebbero stati di circa 5 miliardi di euro per 300 chilometri di percorso, la TAV S.p.A ha invece dichiarato un suo costo totale di ben 7,8 miliardi di euro. E sempre molto inferiori a quelli italiani sono i costi delle linee ferroviarie francesi costruite nel medesimo periodo: si parla di circa 62,4 milioni di euro per Km in Italia e di 16,6 milioni di euro per Km in Francia….

Di fatto la linea è oggi percorsa da treni semivuoti (non è un mistero che certi collegamenti aerei, come da Milano a Parigi, siano più comodi e veloci per i passeggeri (anche e non da ultimo per la proverbiale inefficienza delle ferrovie italiane: se non lo fossero, il treno sarebbe un'alternativa reale, almeno dal punto di vista ecologico, all'aereo), e il trasporto di merci è ridotto a modeste quantità: un ottavo circa dei 20 milioni di tonnellate che si potrebbero trasportare. La linea – si dice – è collocata su un percorso considerato non “economico” per il trasporto sia di passeggeri che di merci, dovendosi superare un dislivello di 1.300 metri che richiederebbe l’uso (cioè l’acquisto…) di più motrici. Così il collegamento risulta utilizzato ufficialmente per 1/3 della sua capacità. Stranamente, la linea è però percorsa dai TGV francesi e la ristrutturazione mirava appunto a far passare vari tipi di treni merci con sagome diverse.

Dunque, nonostante esista già la linea ferroviaria del traforo del Frejus che collega Torino alla Francia passando dalla Val di Susa, si dovrebbe aprire il cantiere della linea ferroviaria Torino-Lione per non perdere i fondi europei. I lavori verrebbero a costare 8,2 miliardi di euro (forse finanziati per il 40% dalla UE) sia per il tunnel che per le interconnessioni con la “linea storica”. Va aggiunto non solo che di anno in anno la UE va riducendo le ipotesi di finanziamento (erano 643 milioni di euro nel 2007) ma anche che non esiste un piano finanziario – e si tratta di diversi miliardi – che difficilmente potrà essere sostenuto sia dall’Italia che dalla Francia.

E tutto ciò quando è evidente, per chiunque non sia al diretto servizio del capitale, che quest’opera sarebbe praticamente inutile se non dannosa. Si punta a ridurre di un’ora o poco più i tempi dei percorsi da Torino a Parigi e, comunque vada, a coprire la spesa saranno le lacrime e il sangue dei proletari! Nota bene: ai contribuenti italiani (salariati e pensionati in prima fila) il Tav costerà 1.200 euro al centimetro! (Attenzione: riportiamo le cifre che circolano, variabili a seconda delle fonti, quasi sempre al seguito del motto: «Qui lo dico e qui lo nego»…)

Oggi, in un balletto di cifre che dovrà in seguito giustificare tutte le alterazioni delle rese dei conti finali, si parla di una somma totale che va dai 12 ai 13 miliardi di euro (altre fonti parlano di 16 miliardi…) con un costo medio “ufficiale” al Kilometro di 120 Milioni di Euro (equivale appunto a 1.200 euro al centimetro…). Nella tratta dei 57 Km del tunnel di base internazionale, si arriva ad un costo di 182 Milioni/Km. Solo per un tunnel esplorativo (7 Km di cunicolo) è prevista una spesa di 93 miliardi di euro.

Le previsioni di grandi sviluppi futuri del traffico merci e passeggeri sono dunque smentite da numeri che confermano esattamente il contrario. Lo stesso per il miraggio di una Italia che diventerebbe la «piattaforma logistica» con montagne di merci che sbarcherebbero sulle coste della penisola per poi essere smistate in tutta l’Europa. E qui dovrebbe entrare in scena l’asse ferroviario Lione-Budapest-Frontiera ucraina, passando dalla nuova galleria del Moncenisio. Fra l’altro, sarebbe prevista (sempre sulla carta) una tratta Torino-Venezia, mentre nulla si dice per il collegamento Milano-Venezia, e soprattutto per la tratta Verona-Padova. I misteri dell’ipotetico «Corridoio 5» si infittiscono proprio nella parte riguardante il complicato collegamento veneto… Da tener presente il fatto che le merci in maggior parte arrivano da est (Veneto) e non da ovest (Piemonte); in ogni caso con volumi destinati ad ulteriori cali visto le… congiunture negative. Tant’è che i progetti iniziali del Tav – ricordiamolo ancora una volta – si basavano su un movimento ipotizzato in 16 milioni di tonnellate annue che già nel 2006 era calato a 6 milioni di tonnellate! Nel 2010 il piano prevedeva addirittura 20 milioni di tonnellate mentre la dura realtà (a smentita delle illusioni capitalistiche) è stata di 2,6 milioni di tonnellate. Ce n’è abbastanza perché non poche ombre negative comincino ad agitare i sonni di qualche esponente degli “interessi e poteri forti”.

I vantaggi in termini economici sono inesistenti (ed anche le fonti ufficiali ne dubitano…). Se si prendono in considerazione gli elevati costi di costruzione, destinati a lievitare durante gli anni (addirittura i decenni!) che vanno dai preventivi ai consuntivi (coi «costi collaterali» di appalti e subappalti e di «imprevisti» di vario genere), si avrà un incremento del debito pubblico insostenibile con gli attuali chiari di luna. Da alcuni studi risulterebbe un bilancio costi-benefici (sempre in termini di conteggi capitalistici di “entrate/uscite” di denaro) che sarà negativo per un minimo di 40 anni, mentre i debiti crescerebbero da 20 a 25 miliardi di euro per il passivo di esercizio.

Si aprono così le porte, e le finestre, ai mutui con le Banche per la durata di decine e decine di anni e con spese supplementari che porteranno nelle casse delle Banche miliardi di interessi, a carico del debito pubblico e quindi del proletariato sempre più… sanguinante. I diretti contributi italiani e le coperture della UE – già lo abbiamo rilevato – sono piuttosto confusi e incerti; comunque girerebbero diversi miliardi di euro, tanto da far leccare le dita a chi si accaparrerà i lavori. Grazie sempre agli altissimi costi dell’opera, con denaro proveniente dalle finanze pubbliche e destinato ad essere inghiottito in una voragine che si andrà allargando negli anni. Montagne di “risorse” che vengono negate alle scuole, alla sanità, alle pensioni e ai servizi sociali. È chiaro, a questo punto, come per il potere borghese sia fondamentale l’investimento di colossali capitali finanziari, visto che gli investimenti produttivi (quelli per realizzare merci contenenti plusvalore strappato allo sfruttamento della viva forza-lavoro) sono in crisi. A costo di rischiare pericoli di impatti ambientali devastanti, e di intaccare lo stesso terreno sociale.

Il sistema a ragnatela di appalti e sub-appalti si apre ad affari imprenditoriali di ogni genere, infiltrazioni mafiose, tangenti a pioggia per partiti politici “costituzionali”. Nell’ombra si tramano intese oligopolistiche per spartirsi gli appalti a condizioni “speciali”. Lo si legge persino sul Sole24Ore, noto quotidiano… estremista e sovversivo, dove si trovano già notizie di strani appalti, incarichi sospetti, appoggi elettorali mercanteggiati, controlli occulti, connessioni locali di imprenditori con la ‘ndrangheta, ecc. Vedi la Italcoge, nota già per i suoi «poco limpidi trascorsi» (inchiesta Minotauro). L’apposito Osservatorio Tecnico ha fra l’altro pensato bene di dividere in lotti l’intero progetto, per «ridurre i costi e i tempi»: un pezzo alla volta, secondo le risorse disponibili, ovvero un metodo di cui abbiamo non pochi risultati davanti a noi, come quello altamente significativo della A3 Salerno-Reggio, solo un esempio fra i tanti. Ma cosa non si farebbe al servizio delle «moderne politiche europee in tema di economia, ambiente e lavoro»…

Constatata l’evidenza, anche sulla base delle più ottimistiche previsioni, delle decine di anni necessarie per ammortizzare colossali somme di denaro “investito”, è del pari evidente che diventerà utopistico il ripagamento degli oneri d’esercizio, in vista di enormi costi di gestione e manutenzione.

Le dimensioni dell’affare finanziario (gira e rigira quello di cui stiamo trattando è soprattutto un progetto di alta finanza) sono tali da scatenare gli appetiti di tutti coloro che legati al capitale in bande di amministratori e gestori, pronti a schiacciare non solo le proteste del «popolo valsusino» (la parte proletaria in primis) ma anche strati della piccola e media borghesia, artigiani e piccoli imprenditori che sono coinvolti in quella valanga di distruzioni. Strati che nulla possono fare (se non piegarsi alla fine di fronte ai… rimborsi) quando i pesci grossi si gettano su un bottino che verrà spartito fra grandi imprenditori del “cemento e tondino”, con finanziamenti bipartisan a tutti i partiti compiacenti, occasioni di riciclaggio per le mafie sempre presenti dove c’è da arraffare denaro.

E la corruzione aumenta e dilaga al seguito del modo di produzione e distribuzione capitalistico; il capitale non conosce moralità alcuna se non quella di succhiare plusvalore ovunque si presenti l’occasione. Ed anche in Val di Susa la ‘ndrangheta è pronta a mettere le mani in una… miniera d’oro, così come è stato e sempre sarà in grandi opere e cantieri. Tanto più oggi, quando il capitale è costretto ad aggirarsi attorno ad un plusvalore fittizio, senza poterlo produrre realmente a sufficienza per i suoi irrefrenabili bisogni di accumulazione! È quindi obbligato a sopravvivere nel marciume più ammorbante di operazioni e comportamenti, privati e pubblici, ormai apertamente malavitosi e persino di sfrontata criminalità.

Vedi in proposito tutta una interminabile serie di truffe di Stato che vanno dalle centrali nucleari (che ancora oggi, come Caorsio, Trino Vercellese, ecc. succhiano milioni di euro) agli inceneritori, ai faraonici progetti del Ponte sullo stretto di Messina (che fine ha fatto, dopo progetti già costati quasi una settantina di milioni di euro?) e a tutta una sfilza di opere monumentali a dir poco mostruose e disastrose, e per le quali proprio la salvaguardia dell’eco-sistema è l’ultima delle preoccupazioni che possano disturbare gli affari del capitale. Mentre scriviamo, il tunnel esplorativo della Torino-Lione è già agli onori della cronaca per irregolarità nella gara di assegnazione della direzione dei lavori. Il direttore generale della Lyon-Turin Ferroviarie è stato condannato in primo grado per illeciti assieme ad altri “pezzi da novanta”: era stato difeso (ma guarda un po’!) da quell’avvocato penalista, P. Severini, che oggi è ministro “tecnico” della Giustizia. Ogni altro commento diventa superfluo.

L’intervento dei comunisti nel movimento NO TAV

Nei progetti per la realizzazione del TAV siamo di fronte ad un insieme di interessi strategicamente coinvolgenti gruppi finanziari e imprenditoriali sia italiani che francesi, i quali a spese del debito pubblico (cioè di…Pantalone!) concretizzano la possibilità di rastrellare – per riempire il loro portafoglio – notevoli quote di plusvalore spremuto dallo sfruttamento della viva forza-lavoro.

Con l’intervento diretto dello Stato e il ricorso alla sua forza intimidatoria e repressiva, il capitale sta dimostrando come sia impossibile fermare la sua folle corsa al profitto, soprattutto quando la struttura stessa del “sistema economico” è entrata in crisi, e i saggi di profitto nei settori produttivi sono in ribasso. Si evidenzia come sia impossibile, con gli interclassistici appelli al rispetto della sua democrazia e della sua Costituzione, invertire gli intensi e bestiali attacchi che il capitale scatena apertamente contro la maggioranza del “popolo”, ovvero contro il proletariato. E non sicuramente a danno di quella classe borghese che se la gode fra privilegi e immense ricchezze.

Storicamente, il capitalismo ha esaurito da tempo la fase storica in cui la sua affermazione, come nuovo modo di produzione e distribuzione, ha rappresentato un notevole progresso economico e sociale rispetto al vecchio mondo medioevale. Ora però siamo in presenza di un vero e proprio arretramento verso condizioni di imbarbarimento nei rapporti sociali, a cominciare dalle profonde crisi economico-finanziarie che si abbattono nel cuore del presente stato di cose. In questo processo di decadenza, il capitalismo è pronto a tutto pur di conservare il proprio dominio sulla intera umanità, distruzioni belliche comprese. È una strada per lui obbligata – in una pazza corsa al profitto e alla mercificazione di uomini e cose – anche quella di inquinare, intossicare, distruggere l’ambiente naturale fino a rendere sempre più difficile la sopravvivenza non solo di fauna e flora ma della stessa specie umana. Evitare tutto ciò sarebbe per il capitale un suicidio, ma il suo funerale potrà far seguito unicamente ad un totale rivoluzionamento politico, economico e sociale del presente stato di cose

Man mano che gli anni – anzi i decenni – trascorrono, il progetto dell’operazione TAV si sta nel suo complesso complicando, prima ancora dell’inizio vero e proprio dei lavori, proprio a causa delle finalità e della gestione capitalistica dell’opera. Fino a minacciare quella che alcuni temono possa essere una «frattura tra paese legale e paese reale». Ed in quest’ultimo vengono agitati i fantasmi degli «interessi» della comunità e della cittadinanza, in abiti a volte mascherati ma pur sempre e concretamente borghesi. La copertura ideologica del cosiddetto «bene comune» e «interesse nazionale» non riesce a nascondere gli enormi e specifici… utili della classe al potere. Quelli, cioè, di fazioni della borghesia che di fronte all’aggravarsi della attuale crisi sono disposte a tutto pur di non rotolare nel baratro (al limite solo dilazionandolo nel tempo) di un collasso generale del sistema.

Ridare alla «democrazia» (ma quale? noi conosciamo soltanto quella del capitale e dei suoi gestori) la sua giusta sovranità e assicurare, per il capitale… l’indispensabile «progresso e crescita»: questo è l’unico obiettivo mistificante che anima i contendenti, tant’è che mentre governo e parlamento (in tutte le sue sfumature) dichiarano la zona della contesa un «luogo di interesse strategico militare», altri (proprio il Movimento NO TAV) a nome della «resistenza popolare» si dichiarano pronti a tutto pur di «difendere i valori costituzionali» chiamando alla partecipazione diretta di «tutti i cittadini» per realizzare un tale obiettivo.

Siamo di fronte ad un movimento, quello NO TAV, chiaramente interclassista il quale non presenta, nella protesta e neppure nella lotta che lo caratterizza, un potenziale di classe in termini proletari. La sua impostazione – che non può che risentire della dominante influenza ideologica che viene esercitata dalla borghesia anche su frange dello stesso proletariato – condiziona in partenza contenuti e finalità delle “rivendicazioni” avanzate. Tutto si va a concretizzare entro i limiti di una “questione valligiana” che non mette seriamente in discussione nel suo complesso il “sistema” (modo di produzione e distribuzione) unica causa degli attacchi del capitale rivolti non solo al territorio ma innanzitutto alle condizioni di lavoro e di vita della classe operaia. Cioè quella parte della “cittadinanza” che ancora serve al capitale per estorcere plusvalore dallo sfruttamento della sua forza-lavoro, lasciando ampi strati di essa (sempre più in aumento) senza quel lavoro-salariato che nel sistema dominante costituisce l’unica possibilità di sopravvivenza. Una “questione”, questa, che non riguarda la classe borghese, soprattutto quella alta e media, la quale possiede ben altre fonti di… reddito. A proposito: la ministra Fornero ha detto che lo Stato non può assicurare un «minimo reddito» agli italiani (quelli naturalmente “proletari”!) poiché «si siederebbero a prendere il sole (almeno per nove mesi all’anno) e mangiare pasta al pomodoro»…

In questa drammatica situazione noi non dobbiamo certamente stare alla finestra bensì cercare spazi per una nostra presenza al fine di far sentire la voce di una critica di classe. Il tutto però a chiare e precise condizioni. Innanzitutto quelle di poter chiarire ancora una volta come attorno al business delle grandi opere pubbliche, specie se inutili e costosissime, i gruppi imprenditoriali-finanziari (legali) e mafiosi (illegali), si scatenano speculando e saccheggiando, rapinando e devastando senza freni. Lo fanno forse perché sono “cattivi”, perché non hanno una morale, non hanno un comportamento basato sui valori della giustizia e della solidarietà, non ascoltano la voce del popolo?

La verità è che il reale nemico – in quanto colpevole di tutto ciò che viene perpetrato a danno non del «popolo» ma di una classe ben precisa, il proletariato – è unicamente il capitalismo.

L’«intreccio perverso partiti-imprenditori-mafie» e la conseguente devastazione di territori, ambienti e salute dei «cittadini», non sono cause bensì effetti del dominio esercitato dal capitale nei rapporti fra gli uomini, e fra gli uomini e lo stesso ambiente in cui sono costretti a vivere. La situazione va chiarita da un punto di vista che per noi è dettato dalla constatazione di un antagonismo di classe, in quanto la società in cui viviamo è divisa in classi sociali – proletari e borghesi -- dai contrapposti e inconciliabili interessi. Quindi non confondendoci nel semplice accodamento ad una protesta che nei termini in cui viene portata avanti non potrà avere sbocchi al di fuori di qualche aggiustamento e compromesso formale.

Il punto di forza del movimento NO TAV sarebbe infatti quello di una «protesta unitaria della cittadinanza» sulla quale un governo, il quale non riuscirebbe a liberarsi dalle influenze di particolari interessi, esercita un potere «non democratico» essendo sordo alla necessità di un costruttivo dialogo fra i cittadini stessi e i loro «rappresentanti», sempre democraticamente votati…. Questo il succo del loro discorso.

Ma noi sappiamo che il capitalismo non sopporta ostacoli di alcun genere nel suo movimento all’interno della società borghese: lo stesso uso della forza, che lo Stato organizza e rende operante, è un obbligo per la conservazione del capitalismo e del vigente regime politico e sociale, con gli esecutori di ogni prevaricazione che fingono di richiamarsi ipocritamente alla necessità e ai valori del… dialogo in nome di una «convivenza democratica e civile»: quella cioè che non va ad incidere sui loro averi e sui loro privilegi.

Ogni protesta sarà perciò destinata a naufragare sugli scogli dell’impotenza sterile – cioè che lascia solo confusione politica – se non si innesterà sulla strada della lotta di classe proletaria, contro le stesse gabbie ideologiche che imprigionano il proletariato. Per questo noi dobbiamo sforzarci di elevare il proletariato – l’unica classe in grado di svolgere nell’epoca storica moderna un ruolo rivoluzionario – al livello di una consapevolezza politica di classe, attraverso una pratica di costante critica e un indirizzo di trasformazione del sistema oggi imperante. Dobbiamo, non solo in questa occasione s’intende, fare emergere chiaramente la insopportabile condizione di quanti sono obbligati, per sopravvivere, a vendere la propria forza-lavoro al capitale il quale nella sua fame di plusvalore sta trascinando la stessa specie umana verso limiti di sopravvivenza sempre più rischiosi.

In questo contesto va pur chiarita la nostra difficile posizione nei confronti di movimenti interclassisti come quelli contro il TAV. Partendo dal presupposto che il proletariato, la classe operaia, anche quando è portata a lottare contro gli attacchi che (oggi quasi quotidianamente) le sferra il capitale, continua a sentirsi legata al capitale stesso e non va spontaneamente al di là della rivendicazione di una relativa stabilità delle proprie condizioni di vita e di lavoro in questo sistema.

Nel tentativo di difendersi dalle devastazioni che in ogni settore il capitale provoca, noi troviamo coinvolte anche parti della classe borghese e delle sue sottoclassi. Addirittura può accadere che prendano la direzione della protesta, mirando a costituire una aggregazione che avanza la pretesa di trascinare l’intera cittadinanza attorno ad un interesse comune che in realtà tale è soltanto mistificando o negando ogni fondamentale differenziazione economica e sociale presente fra i “cittadini”. Così facendo viene nascosta, addirittura negata, l’esistenza determinante di una struttura economica e di un potere, il capitalismo, che tutto domina fino alle più estreme conseguenze a danno del proletariato, sul cui sfruttamento esso vive. Questo anche se, man mano che la crisi avanza, parte della stessa piccola borghesia, il cosiddetto ceto medio, viene coinvolto negli attacchi e nelle devastazioni che il capitale diffonde.

A proposito della enorme influenza che l’ideologia conservatrice della borghesia esercita sul proletariato, Lenin ci ricordava che

l’ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione (…) È la più diffusa e resuscita costantemente nelle più svariate forme.

Che fare?

Se il proletariato, oppresso, sfruttato e angariato in mille occasioni, si trova condizionato e addirittura soffocato dall’ideologia borghese e dalle logiche del capitale e dei suoi movimenti, oggi globali, figuriamoci quella piccola e media borghesia, da sempre legata al carro del potere dominante.

Tuttavia, pur in condizioni ancora di estrema minoranza e scarsa disponibilità di mezzi, i comunisti (intesi come uomini e donne, naturalmente) non possono limitarsi a guardare saccentemente dall’alto in basso le agitazioni per lo più spontanee e come tali incapaci di superare le spinte istintive e immediate di protesta, al limite anche di lotta. I comunisti devono – con la loro presenza, la loro critica e propaganda – far crescere nei proletari la consapevolezza della realtà che li circonda, aiutandoli a superare tutti gli ostacoli che in generale e in particolare rendono difficoltosa la comprensione dell’antagonismo radicale esistente fra i loro interessi, ormai per loro questione di vita o di morte, e quelli del capitale e della classe borghese che lo gestisce. Spetta ai comunisti rendere il proletariato consapevole, basandosi sulla esperienza dei fatti sempre più evidenti, della impellente necessità di una trasformazione radicale, politica ed economica dell’intero regime sociale, di un superamento del sistema produttivo dominante. Un cambiamento definitivo il quale non può che scontrarsi, anche sul terreno puramente teorico-critico, con le illusioni dure a morire di possibili riforme e correzioni sostanziali di alcuni aspetti del presente stato di cose. Il compito dei comunisti, dunque, l’unico fine del loro attuale operare, è quello di portare gli elementi migliori, più risoluti e disponibili, sul terreno di una «attività teorica, politica e organizzativa» che affronti alla radice le questioni che si vanno accumulando intorno a noi.

Sappiamo di muoverci in una condizione di drammatica debolezza delle sparute forze veramente anticapitaliste, cioè del partito rivoluzionario, l’unico strumento col quale dare un preciso indirizzo politico e uno scopo rivoluzionario alle lotte, spostandole dal ribellismo interclassista – per quanto generoso e combattivo – alla prospettiva di un radicale superamento e quindi di un programma per il comunismo. Il rafforzamento dell’organizzazione di classe, con l’indispensabile e diretto contributo degli elementi più attivi del proletariato, è di fondamentale importanza per la realizzazione di questi obiettivi, unica soluzione valida a quello che si sta manifestando come un vero e proprio imbarbarimento della vita umana in generale. La crisi del capitale e quindi l’azione di attacco al proletariato, la quale si farà conseguentemente sempre più feroce, esige risposte che superino ogni illusione sulla possibilità di soddisfare gli «interessi generali» o i cosiddetti «beni comuni» attraverso – come tutti credono o vogliono far credere – una diretta e democratica partecipazione popolare. Questo quando tutto intorno a noi ci indica chiaramente come non esistano interessi generali, che il popolo in sé rappresenterebbe, quando invece in esso sono presenti divisioni e contrapposizioni di classe in dipendenza di condizioni di esistenza, economiche e sociali, che sono il prodotto dei presenti e storici rapporti produttivi.

Tutti i movimenti attuali procedono con una esaltazione ideologica delle «forme di partecipazione e decisione politica» che, a loro parere, dimostrerebbero esempi concreti e «inediti» della possibilità di un «incontro tra soggetti fra loro eterogenei: amministrazioni locali, comitati popolari, collettivi politici e semplici cittadini». Quindi si guarderebbe ad ipotesi di decisioni pubbliche possibili senza «pregiudicare l’autonomia delle parti», indicando una strada per il «futuro della democrazia nel nostro paese», sempre passando attraverso risoluzioni collettive e scelte condivise, sempre in nome del fantomatico «interesse generale».

Questa illusione (portata avanti dal movimento NO TAV), la cui pericolosità politica è enorme, va criticata a fondo poiché si basa pur sempre sulla conservazione del capitalismo (modo di produzione e distribuzione fondato su precise categorie economiche quali il denaro la merce, il profitto, il lavoro salariato, eccetera). Un capitalismo – si dice – che sarebbe solo da rivedere e correggere in alcune sue forme e attraverso l’instaurazione di un ipotetico «nuovo suo modello» col quale si avvierebbe un miglior futuro da tutti accettabile. Questo è un colossale inganno o, nel “migliore” dei casi, un grosso abbaglio! Addirittura, attorno ad una fantasmagorica formula – «conversione ecologica» – si mirerebbe a «cambiare la società, il sistema produttivo, le priorità, il lavoro», ridando appunto «dignità» al lavoro salariato….

Un punto di forza e concretezza di tale prospettiva sarebbe quindi, per molti dei NO TAV, la denuncia di un progetto colpevole, oltre ai suoi danni eco-ambientali, di «bloccare miliardi su miliardi» che invece andrebbero usati per altre necessità, andando a far parte – siamo al fondo del pozzo ideologico – «dell'insieme di verità e giustizia che compone la democrazia che vogliamo», senza intaccare questo assurdo modo di produrre e distribuire… E se esiste una contrapposizione, un conflitto, che a questo punto non si può evidentemente negare, lo si dovrebbe superare con «una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa (…) seguendo un modello di sviluppo che consenta la partecipazione democratica ai processi decisionali…». Un ritornello ripetitivo e insidioso.

Concludendo, anche in questa drammatica situazione, le possibilità di intervento per noi sono di due tipi:

  1. ci accodiamo al movimento di protesta, compresi i suoi episodi di lotta dimostrativa, e quindi – anche date le deboli forze attuali – veniamo assorbiti e confusi nelle istanze portate avanti da tutti gli altri gruppi partecipanti alle manifestazioni;
  2. interveniamo con il nostro programma cercando di propagandarlo e mostrando contemporaneamente tutti gli aspetti e i contenuti negativi di ciò che viene invece rivendicato ufficialmente.

È nella seconda direttiva che dobbiamo muoverci.

Davide Casartelli

Nel volume complessivo della produzione capitalistica i prodotti per il consumo individuale [soprattutto quelli per soddisfare i bisogni indispensabili a uomini, donne, bambini e anziani – n.d.r.] occupano un posto sempre minore. Ciò corrisponde pienamente alla “missione” storica del capitalismo e alla sua specifica struttura sociale: la prima consiste appunto nella sviluppo delle forze produttive della società (la produzione per la produzione); la seconda esclude la loro utilizzazione da parte della massa della popolazione.

Lenin, da Le caratteristiche del romanticismo economico – Opere – Editori Riuniti 1970, vol. 2°, pagg. 143-144
Venerdì, November 16, 2012

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.