Francia - La crisi, le lotte: prime valutazioni

Si tratta, per la borghesia, di continuare ad attaccare ancora e ancora la classe operaia...

Introduzione

Pubblichiamo qui di seguito le riflessioni di un compagno francese, da tempo collaboratore della TCI, su quanto sta avvenendo in Francia da oltre due mesi.

Ciò che colpisce, soprattutto se paragonato al resto d'Europa, a cominciare dall'Italia, non è il contenuto della legge El Khomri (la ministra del lavoro), ma la reazione che ha suscitato in larghi settori di lavoratori salariati e della cosiddetta “società civile”, cioè studenti e strati significativi di piccola borghesia declassata (in via di proletarizzazione e in parte già proletarizzata), che si ritrova per lo più nelle assemblee notturne di “Nuit debout”. Infatti, la “Loi Travail” non si discosta affatto, nella sostanza e spesso anche nelle misure specifiche,, da quanto governi di ogni colore politico hanno attuato in Europa (per rimanere nel vecchio continente) da almeno un quarto di secolo. Si tratta, com'è noto, di misure dirette a rendere la forza lavoro più “flessibile”, più “performante” rispetto ai bisogni dell'azienda (privata o “pubblica” che sia), a eliminare il più possibile gli ostacoli all'estorsione di quote crescenti di plusvalore o, detto in altro modo, che ancora “limitano” e “disciplinano” lo sfruttamento operaio (inteso in senso lato) secondo regole figlie di un'altra epoca e che lo stato attuale del capitalismo non può più tollerare. La crisi profonda in cui versa il sistema economico mondiale “incattivisce” il padronato, lo spinge a premere sui suoi governi affinché eliminino tutto quello che impedisce la formazione e la realizzazione di un profitto “giusto”, di un profitto, cioè, adeguato all'attuale composizione organica del capitale, agli investimenti necessari per far proseguire il processo di accumulazione, alla fame insaziabile di una speculazione finanziaria abnorme, che non solo si appropria una grossa parte della ricchezza presente, prodotta dalla classe lavoratrice, ma ipoteca anche quella futura. In breve, dietro alla guerra, non solo sociale, che la borghesia muove contro il proletariato e le stratificazioni sociali a esso vicine, c'è una delle crisi più gravi del capitalismo, di cui le guerre imperialiste, con i loro tragici “effetti collaterali” della fuga di milioni di essere umani in condizioni disperate, sono “solamente” un'altra faccia della medaglia.

Basta col welfare, è l'ora del workfare. Detto con altre parole, fuori dal linguaggio esoterico, incomprensibile, del personale politico borghese, non si deve interrompere il prelievo forzoso del salario indiretto e differito, ma questa quota di salario deve andare sempre meno ai servizi sociali (pensione, sanità, scuola ecc.), per essere sempre più risucchiata dalle “istituzioni” economico-finanziarie della borghesia ossia l'impresa ovunque e comunque operante. Occorre tagliare i sussidi ai disoccupati distribuiti indiscriminatamente e a tempo pressoché indeterminato (secondo il verbo borghese): il disoccupato deve allontanare il “legittimo” sospetto di essere un fannullone e accettare qualunque lavoro, qualunque rimunerazione, qualunque organizzazione dell'orario – anche se tutto questo complica enormemente la sua vita e ne degrada la qualità – pena la perdita del sussidio. Anche le deboli barriere contro lo strapotere padronale in “fabbrica” devono essere spazzate via: che un licenziamento sia giusto o meno, agli occhi dello stesso diritto borghese, non ha più importanza; per salvare le apparenze e in coerenza con la logica dominante del mercato, quattro soldi posso bastare per liberarsi di chi non è giudicato idoneo a prestare la sua opera nella sedicente comunità aziendale, soprattutto se con la lotta mostra l'inganno di una “comunità” fondata invece sullo sfruttamento, dunque sulla contrapposizione inconciliabile tra sfruttatori e sfruttati.

Lo stesso contratto collettivo deve passare in secondo piano, dare la precedenza al contratto aziendale (o territoriale, di prossimità...), perché più flessibile rispetto alle esigenze aziendali in un periodo di incertezza, alla necessità di adeguarsi più rapidamente e puntualmente agli alti e bassi del mercato. E' facile capire come, soprattutto nelle piccole aziende – la maggioranza, non solo in Italia – dove il controllo del padrone è più diretto, dove la sindacalizzazione è più bassa (al di là di ogni valutazione sul sindacato), dove, in molti casi, non esiste neppure un contratto aziendale, questo, se mai si farà, sarà orientato, in genere, al ribasso rispetto ai già poco entusiasmanti contratti nazionali, oltre a indebolire il senso di appartenenza a un'unica categoria (per non dire classe), a favorire lo sviluppo di egoismi aziendalisti, di una mentalità ristretta, meno aperta alla solidarietà con gli altri lavoratori. Se in altri periodi storici, con una classe meno passiva (anche di gran lunga), più propensa, per così dire, a scendere sul terreno del conflitto sociale, la contrattazione collettiva poteva apparire agli occhi della borghesia come il male minore e persino un elemento utile della programmazione economica generale – tanto più se la lancetta del saggio del profitto non puntava verso il basso – oggi le difficoltà del processo di accumulazione e il “mutismo” sostanziale della classe (in parte figlio di quelle difficoltà) spingono il capitale a premere sull'acceleratore dell'attacco complessivo alle condizioni di esistenza del proletariato. Jobs act in Italia, “Loi Travail” i Francia, legge Peeters in Belgio, e prima ancora legge Hartz in Germania, solo per ricordare alcune tappe del “cammino delle lacrime” della classe operaia, del lavoro salariato-dipendente: vanno tutte nella stessa direzione.

Il più contestato o, al contrario, il punto fermo considerato irrinunciabile dal padronato francese, l'articolo 2 della “Loi Travail” non assomiglia al famigerato articolo 8 della legge Sacconi 2011, che permette la deroga ai contratti nazionali? Legge dopo legge, viene confermata e accelerata la tendenza generale al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro proletarie iscritte nel DNA del processo di accumulazione capitalistico, che, arrivato a un certo punto, raggiunta una determinata composizione organica del capitale, è costretto a potenziare quegli strumenti a torto considerati da molti eredità marginali di fasi storicamente superate del capitale, vale a dire la svalorizzazione della forza lavoro (abbassamento marcato del salario) e l'allungamento dell'orario (e della vita) di lavoro; in breve, l'estorsione del plusvalore assoluto.

Nulla di sorprendente, da questo punto di vista, nella condotta del governo francese, cosa che non si può dire per il comportamento dei maggiori (non tutti) sindacati francesi, in testa la CGT, almeno rispetto ai parametri italiani. Nel momento in cui scriviamo questa nota, oltre alle azioni già messe in campo, è stato proclamato lo sciopero illimitato nelle ferrovie e in altri settori del trasporto pubblico. Stiamo dunque assistendo alla conversione del sindacalismo francese alla prospettiva rivoluzionaria? Niente d tutto questo, naturalmente, perché non è, in sé, l'utilizzo di mezzi “duri” di lotta a definire l'identità di un organismo e il sindacato, in linea di massima, per sua natura, in quanto organo di contrattazione della vendita della forza lavoro, deve presupporre il capitalismo, non il suo superamento. La storia del sindacalismo, francese e non, lo conferma. Ciò che connota politicamente una lotta e chi la dirige è il senso, la direzione che si vuole dare a questa lotta e il sindacato punta non solo al ritiro o alla modifica della legge El Khomri, ma una politica di riforme, per altro incompatibili con lo stato attuale del capitalismo1. Altre volte, in Francia, erano partiti scioperi a tempo indeterminato e vasti movimenti di contestazione (1995, 2006), che però, se hanno momentaneamente rallentato l'attacco borghese (il che in sé non è certo disprezzabile), non l'hanno fermato e hanno seminato ben poco – a nostra conoscenza – sul terreno della coscienza di classe rivoluzionaria. La grande determinazione alla lotta, messa generosamente in campo dal proletariato francese, allora era stata, in fin dei conti, diretta dal sindacato, esattamente come sta avvenendo finora, un sindacato che non disdegna, in linea con la propria tradizione stalinista, di affiancare le forze dell'ordine borghese nella repressione di certe forze combattive e contestatrici del sindacato stesso dentro i cortei.

Naturalmente, non pensiamo affatto che quanto sta succedendo sia opera di un piano preordinato del sindacato, anche se l'approvazione dell'articolo 2 potrebbe creargli dei problemi e indebolirlo ulteriormente: di rabbia sociale ce n'è molta e sta crescendo, ma fino a ora si esprime per lo più sul piano sindacale, captata e diretta dal sindacalismo maggioritario (CGT, FO) e da quello cosiddetto alternativo (SUD). Nonostante la sfiducia, nonostante il disincanto nei confronti del sindacalismo, questo continua a rimanere il punto di riferimento organizzato delle esplosioni di collera sociale. Mai come in queste circostanze si sente la mancanza di un polo di attrazione classista, che sappia organizzare e orientare il profondo malcontento sociale contro il capitalismo, per il suo superamento.

Ritorneremo di nuovo su ciò che sta accadendo, per una valutazione più puntuale di quanto è in corso di svolgimento, che, se non altro, vede la riapparizione sulla “piazza” della combattività proletaria.

2016-05-31

Lo scopo di questo testo è quello di riflettere sulla situazione attuale e sul rapporto di forze tra le classi in Francia, ma anche nel mondo. I lavoratori saranno costretti a superare il contesto attuale fatto di attacchi accaniti contro la classe operaia [inteso in senso lato, ndr], che va avanti da una trentina d'anni, per salvare il capitalismo,

Il movimento sociale cominciato ormai da due mesi resta largamente inquadrato e manipolato dalle forze «di sinistra» della borghesia. La chiave della situazione rimane lo scoppio della gabbia borghese di «Nuit debout» [Notte in piedi, ndr] che ci spinge. Questo passa anche per una riflessione e discussioni politiche aperte sulla nostra situazione, ma al di fuori dei quadri limitati, imposti e ben delimitati di “Nuit debout”.

Indipendentemente dall'utilizzazione e dallo sviamento operati da “Nuit debout”, questo fenomeno è il segno di un percorso sotterraneo di una certa riflessione e della necessità di riflettere di fronte alla gravità della situazione politica, economica, sociale, ecologica ecc. da parte di certe frazioni di lavoratori, disoccupati, della gioventù in via di proletarizzazione.

La situazione sociale in Francia nel 2016? Niente di nuovo! La crisi economica continua con il suo seguito di disoccupati

Ovviamente, la situazione economica e sociale non è diversa da quella degli altri paesi, mentre la propaganda ci racconta che “va meglio” qui o là nel mondo. Ma dopo gli Stati Uniti, di cui ci avevano raccontato fino alla nausea che l'economia ripartiva, poi in Spagna – malgrado un tasso di disoccupazione esplosivo – poi in Cina e in Brasile – che dovevano salvare il pianeta e rilanciare l'economia – si cerca ora di rifilare la stessa balla con la Francia, dopo sedicenti due mesi di abbassamento della disoccupazione. In realtà, non è vero. Ma quali strombazzamenti, da parte dei mass media a comando!

In questo modo, la borghesia continua ad attaccare la classe operaia con la scusa di fare “le riforme” o portare avanti la “modernizzazione”!

E' chiaro che per i lavoratori la misura è colma. La legge El Khomri ha fatto traboccare il vaso. Si tratta di un progetto di riforma del Codice del Lavoro che costituisce un attacco brutale senza precedenti al lavoro salariato. I punti essenziali di questo attacco sono.

Lo sviluppo della flessibilità del posto di lavoro, il che significa rendere i licenziamenti più facili e rendere inutile il contratto di lavoro.

La liberazione della imprese dalle regole imposte dai contratti di categoria e dalle convenzioni collettive, per cui l'azienda, lei sola, è libera di decidere nel suo “territorio”.

La soppressione o l'indebolimento del potere dei giudici del lavoro (Conseil de Prud'hommes).

L'introduzione del referendum d'impresa per approvare le scelte e le decisioni della direzione.

Evidentemente, la borghesia comincia a temere delle reazioni della classe operaia e allora bisogna bagnare le polveri prima di possibili reazioni. La collera monta!

Il punto, qui, non è di non sentirsi solidali con le lotte e con la lotta dei lavoratori che cercano come lottare e come opporsi a questo nuovo attacco. Il punto non è criticare gli interventi alla “Nuit debout” che sono il primo atto di un tentativo di riprendere l'iniziativa contro il rullo compressore della borghesia conquistatrice. E' già straordinario vedere levarsi questo vento di contestazione di tutti i poteri contro la falsa democrazia che ci è imposta.

Per quanto ci concerne, si tratta di spingere i lavoratori a liberarsi da tutti i loro “falsi amici” che li/ci spingono su strade sbagliate.

Due livelli di manovra sono in effetti in marcia: ricomporre la sinistra sul piano politico e rivalutare il ruolo dei sindacati.

1. “Notte in piedi”, un tentativo di ricomposizione dell'estrema sinistra...

Immaginato a fine marzo dal giornalista François Ruffin1 e dai suoi amici al fine di permettere la “convergenza di lotte sparse”, il movimento “Nuit debout” conosce attualmente un successo insperato. La prima occupazione della piazza [Place de la République, a Parigi, ndr] si è volta il 31 marzo, alla fine di una giornata di manifestazione contro il progetto di legge El Khomri. Il movimento si è poi sviluppato in numerose città e anche all'estero.

In realtà, è un tentativo per sostenere Mélanchon [del Parti de Gauche, attualmente in discesa verticale, ndr].

Ruffin «non nasconde il sostegno della redazione [di Fakir] a Jean-Luc Mélanchon, sostegno _che è stato oggetto di un votazione interna_». «L'avvenire del giornale è legato alla situazione politica. Se non nasce nessuna opposizione di sinistra, si terrà duro – racconta – Il nostro obiettivo è che delle persone in Francia si sentano, incoraggiate» (Le Monde, 15 febbraio 2013).

Nel momento in cui la “sinistra” non fa più sognare, si ritrova nuda, in cui nessuno crede più a niente, tutte le avventure sono possibili. La frazione della borghesia che sta dietro a Ruffin cerca di venderci vecchie ricette e quello che è avvenuto in Spagna con Podemos e in Grecia con Syriza. Per il momento, il linguaggio è molto radicale, non si dà più nessuna fiducia alla democrazia classica, a tutti gli uomini “corrotti”, ma domani...

2. La CGT cavalca l'onda

Lo sviluppo attuale delle lotte sui luoghi di lavoro è stato preparato da qualche settimana. Adesso, la CGT adotta un linguaggio radicale e spinge alla lotta anche violenta e radicale, quando avrebbe potuto avere questo linguaggio già due mesi fa, allorché organizzava le giornate d'azione a ripetizione con una settimana di distanza tra una e l'altra. La lotta era sempre per domani, in effetti questo “domani” era per quando il movimento sarebbe stato sfiancato.

Così, riporta Street presse, dal 21 aprile:

Indossando una T-shirt “I love Berdanrd Arnault”, [François Ruffin] lancia un appello per fare una “azione eclatante” il primo maggio, in collegamento tra “Nuit debout” e i sindacati. Sul podio, parecchi responsabili di Sud [sindacato “alternativo”, ndr] o della CGT hanno già risposto al suo appello. Non è che così che si potrà fare lo sciopero generale, pensa uno di essi.

Che cosa si vede oggi?

Dieci raffinerie sono bloccate, portuali, portalettere, ferrovieri, operai del trasporto aereo, uscenti dal limbo in cui i mass media pensavano di averli relegati, per andare a strigliare sonoramente un potere sconcertato e richiamarsi ai buoni ricordi di un'opinione sbalordita. Avete detto 36? Avete detto 68? [si riferisce ai grandi scioperi del 1936 e del 1968, ndr]. Tempo fa era stato detto che se le “Nuit debout” riuscivano a raggiungere gli operai, questo avrebbe fatto male. Detto fatto […]. Come tanti altri, anch'io faccio parte degli “utenti presi in ostaggio”. Ma posso dirvi che per quanto mi concerne, la sindrome di Stoccolma (empatia, se non aperta simpatia degli ostaggi per i loro rapitori) funziona in pieno. Un'ultima cosa: ho spesso detto – e non lo rinnego, rispetto al contesto di allora – peggio che penzolare dalla CGT. Ecco ora la vecchia centrale sindacale che pilota questo movimento d'insurrezione operaia radicale da maestro. Su, ragazzi, è una di quelle situazioni che adoro in cui mi si dà torto.

Ecco, la frode è perfettamente descritta proprio qui. “Nuit debout” che criticava ogni “establishment”: partiti e sindacati tradizionali, si trova in prima fila a interpretare il ruolo di battitore per la CGT e di restauratore del blasone del sindacato.

Sì, bisogna lottare, sì, ma non lasciandosi inquadrare né dai manipolatori di “Nuit debout” né dai sindacati che da parecchi anni ci sfiancano e distruggono le nostre lotte d'accordo, in realtà, con lo Stato per fare passare le sue misure antiproletarie.

Prendiamo le lotte nelle nostre mani, organizziamoci in comitati di lotta e in coordinamenti. Non diamo fiducia che a noi stessi e alle nostre forze.

Olivier, 26-05-'16.

(1) François Ruffin (1975), giornalista francese. E' il fondatore e il redattore in capo del giornale Fakir. Scrive anche su Le Mode diplomatique. Da sette anni partecipa alla trasmissione Là-bas s'y je suis. Realizza il suo primo film, Merci patron, film che critica Bernard Arnault [l'uomo più ricco o tra i più ricchi di Francia, ndr]

(2) Vedi l'articolo di Philippe Martinez, segretario generale della CGT, su L'Humanité del 26 maggio 2016: humanite.fr

Mercoledì, June 1, 2016