1905

Sovrano, noi, lavoratori, i nostri figli, le nostre donne, i nostri vecchi genitori infermi, siamo venuti da te, sovrano, a cercare giustizia e protezione. Siamo ridotti in miseria, siamo oppressi ed aggravati da fatiche insostenibili, siamo insultati; non ci considerano come uomini, ci trattano come schiavi condannati a subire la loro sorte tacendo. E noi abbiamo sopportato; ma ci spingono sempre più avanti nel baratro della miseria, dell'asservimento e dell'ignoranza. II dispotismo e la prepotenza ci soffocano: e noi siamo senza fiato. Non nepossiamo più, Sovrano! Siamo giunti al limite della sopportazione; per noi è arrivato quel terribile momento quando la morte è preferibile alla continuazione di insopportabili tormenti. (1)

Con queste parole cominciava la celebre petizione rivolta dagli operai di Pietroburgo allo zar Nicola II il 9 gennaio 1905 (22, per il calendario europeo); con esse, oltre a denunciare le inumane condizioni di vita del proletariato russo, si...

esigeva l'amnistia, le libertà civili, la separazione della chiesa dallo stato, la giornata lavorativa di otto ore, un equo salario ed un progressivo passaggio della terra al popolo. Come primo punto però... la convocazione dell'Assemblea costituente mediante un suffragio universale e paritetico. (2)

Nonostante gli operai fossero guidati da un prete, Gapon, organizzatore della classe operaia per conto della polizia, essi furono accolti dal fuoco dei reggimenti della guardia e dalle cariche dei cosacchi, e alla fine lasciarono sul selciato centinaia di morti e di feriti. Era la "Domenica di sangue", che dette il via alla rivoluzione del 1905, "prologo possente del dramma rivoluzionario del 1917" (3) e assegnò definitivamente alla classe operaia il ruolo di forza trainante e dirigente del processo rivoluzionario, nonostante il parere di autorevoli rinnegati del marxismo, passati armi e bagagli dalla parte della borghesia, i quali, solo due giorni prima, sentenziavano sui loro colti giornali che "In Russia non esiste ancora una classe rivoluzionaria". (4) Questa classe rivoluzionaria, invece, esisteva eccome: era apparsa con lo sviluppo industriale degli ultimi quindici-venti anni, uno sviluppo basato in buona parte sul massiccio afflusso di capitale straniero: Nata in ritardo, l'industria russa aveva però assunto immediatamente dimensioni gigantesche, tanto che le fabbriche con più di mille operai erano la norma (5) e la forza-lavoro, di origine prevalentemente contadina, era quasi del tutto priva di tradizioni di tipo corporativo o professionale. Insomma, non aveva nessun passato da rivendicare o da rimpiangere con nostalgia.

Sebbene in crescita, tuttavia era nettamente minoritaria rispetto alla gran massa dei contadini, la cui differenziazione sociale procedeva a passi spediti dopo l'abolizione della servitù della gleba nel 1881, anche se nelle campagne, come in tutta la società, il peso di un regime semifeudale restava forte. L'arretratezza russa si manifestava anche con un'accentuata fragilità della classe borghese, sia dal punto di vista economico-sociale che, ovviamente, politico. La grande borghesia, in parte straniera, faceva affari d'oro con lo zarismo, per cui aveva poca voglia di scontrarsi con esso; la media e la piccola - essenzialmente quella delle "professioni" (medici, ingegneri, avvocati ecc.) - sia per debolezza che per connaturata viltà non osava contrapporsi all'autocrazia. D'altra parte, il possibile modello democratico occidentale a cui fare riferimento, la Francia, aveva stretto con Nicola II una saldissima alleanza politico-militare cementata dalle speculazioni di Borsa:

La Borsa era direttamente interessata al mantenimento dell'assolutismo, perché nessun altro governo le avrebbe consentito un simile tasso di interesse usurario.
[Era un capitale] il cui potere politico risiedeva nei parlamenti francese e belga. (6)

In breve, la forma più moderna del capitale, quello finanziario, era indissolubilmente legata alla forma statale (cioè alla formazione sociale) più retrograda d'Europa: l'autocrazia zarista; in pratica, la Russia stava vivendo le trasformazioni prodotte dallo sviluppo capitalistico senza essere passata attraverso una qualsiasi rivoluzione borghese (anche abortita, come quella tedesca del 1848). Niente parlamento quindi, niente partiti (legali), niente libertà (in senso borghese) di stampa e, soprattutto, strapotere dell'aristocrazia e dei preti, proprietari di gran parte della terra. Il problema della rivoluzione democratica borghese conviveva dunque con quello della rivoluzione proletaria e contribuì a separare la socialdemocrazia russa (7): da una parte i menscevichi, i quali interpretavano in maniera del tutto meccanica il processo rivoluzionario (rivoluzione borghese, borghesia al potere, rivoluzione proletaria eccetera in un arco di tempo molto ampio); dall'altra i bolscevichi, i quali puntavano, come programma minimo, alla dittatura del proletariato e dei contadini in un'ottica internazionalista. Secondo Lenin, infatti, compito dei marxisti rivoluzionari era di fare...

della rivoluzione politica russa il prologo del rivolgimento socialista europeo. (8)

Fin da allora si dava marxisticamente per scontato che in Russia la rivoluzione, per le oggettive condizioni di arretratezza, non avrebbe potuto travalicare, come contenuto sociale, i limiti di una rivoluzione borghese, per quanto radicale, mentre avrebbe agito da detonatore della rivoluzione socialista in Europa:

condurre fino in fondo la rivoluzione borghese in Russia per attizzare la rivoluzione proletaria in Occidente: così si poneva il compito del proletariato nel 1905. (9)

E la rivoluzione, attesa o temuta da tutti, arrivò all'improvviso sotto la spinta della guerra russo-giapponese: come per la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione d'Ottobre del 1917, il Biennio Rosso europeo, la guerra ha sempre costituito un potente acceleratore della rottura rivoluzionaria; lo schema però si è interrotto con l'ultimo conflitto imperialista. Perché? Essenzialmente perché è venuta a mancare una delle due condizioni che mandano in corto circuito la macchina borghese, ossia il partito rivoluzionario. Senza di questo, non è sufficiente che il vecchio regime borghese abbia fatto bancarotta economica, sociale, ideologia perdendo il controllo sulle masse proletarie; non è sufficiente che queste si mettano in moto e si ribellino se non c'è chi le guida e incanala l'energia rivoluzionaria che da esse si sprigiona per far saltare l'apparato statale borghese. Gli insegnamenti di centocinquant'anni di lotta di classe ormai dovrebbero bastare per convincere anche i più scettici di questa verità che a noi, francamente, appare addirittura elementare nella sua chiarezza cristallina, tanto più che l'unico caso in cui il proletariato ha potuto conquistare il potere e tenerlo per più di tre mesi - come diceva Lenin, in riferimento alla Comune - è stato proprio quello che ha visto il partito prendere la testa della spontaneità delle masse. Tutto il resto, lo si può rimestare fin che si vuole, ma sono soltanto chiacchiere o illusioni, per quanto sincere.

La Comune sarebbe stata sconfitta ugualmente, ma certi errori macroscopici avrebbero potuto essere evitati, rendendo meno facile la vittoria delle truppe di Versailles, se i marxisti avessero avuto, organizzativamente, più peso. L'occupazione delle fabbriche in Italia nel 1920 e i Consigli tedeschi del 1918 sono finiti in niente, aprendo la strada al fascismo, non perché il partito astrattamente inteso ha soffocato la spontaneità creatrice delle masse, ma, al contrario, perché il partito comunista non c'era o era troppo debole. Anarchici, consiliaristi e spontaneisti vari, ivi compresa l'odierna petulante Autonomia, hanno un bel da idolatrare la succitata spontaneità; non basta, lo ripetiamo, che il proletariato sia armato, se queste armi non sa come, quando, contro chi e per che cosa usarle: la Spagna del 1936 e la cosiddetta Resistenza sono lì a dimostrarlo in tutta la loro tragicità. Se nel 1945 non ci fu nessun serio movimento rivoluzionario, non è perché mancassero fame, miseria, distruzioni e lutti, ma perché l'ideologia borghese della concordia nazionale aveva sufficientemente intossicato il corpo proletario col veleno di partiti totalmente stalinizzati. Nel '45 i vari partiti "comunisti" disponevano di decine di migliaia di militanti più o meno armati, per cui non fu l'esiguità del numero che impedì loro di dare l'assalto ai centri del potere capitalistico; il fatto è che avevano cambiato completamente natura politica: ormai erano diventati esattamente l'opposto di quei pochi "socialdemocratici" che quarant'anni prima, nell'illegalità più assoluta, si preparavano (e preparavano) alla rivoluzione.

Alcune centinaia di organizzatori rivoluzionari, alcune migliaia di aderenti alle organizzazioni rivoluzionarie, una mezza dozzina di fogli rivoluzionari che non uscivano più di una volta al mese... tali erano prima del 22 gennaio 1905 i partiti rivoluzionari in Russia [ma] le poche centinaia di socialdemocratici rivoluzionari divennero 'di colpo' migliaia e si misero alla testa di due o tre milioni di proletari. (10)

E pur non prefiggendosi di lottare subito per il socialismo, non pensarono mai di allearsi o, peggio, di confondersi coi partiti borghesi, anzi, per i bolscevichi la maggioranza non proletaria (i contadini) doveva sempre e comunque essere politicamente subordinata alla minoranza (statistica): il proletariato. D'altra parte fu lui e solo lui, lo ripetiamo, il motore di una rivoluzione che, come dimostra il contenuto della petizione del 9 gennaio, non era e non poteva essere socialista (11); le insurrezioni contadine che incendiarono vaste regioni del paese avrebbero potuto essere "niente più" che un altro capitolo delle periodiche jacqueries russe (12), se non avessero avuto la guida della classe operaia. Le stesse rivolte militari più significative - dall'ammutinamento della corazzata "Principe Potemkin" alle sollevazioni di Kronstadt e Vladivostok, alla insurrezione del soviet di Sebastopoli, avvenute tra giugno e novembre -furono attuate dai marinai ossia dall'operaio che indossava la divisa da soldato.

È la classe operaia che con i grandi scioperi generali di ottobre e novembre costringe l'autocrazia zarista a concedere uno straccio di costituzione e di parlamento (la Duma), è lei che fa revocare lo stato d'assedio proclamato in Polonia, è solo lei che impedisce, là dove è massicciamente presente, alla feccia della società di essere scatenata dalla corte e dai suoi preti in spaventosi progrom contro gli ebrei e i rivoluzionari.

Il vecchio regime si vendicava dell'umiliazione subita [lo sciopero generale di ottobre - ndr]. Aveva reclutato le sue falangi dappertutto, negli angoli, nei covi, nei tuguri. Aveva chiamato al suo servizio il piccolo bottegaio e l'accattone, il bettoliere e il suo fedele cliente, il portinaio e lo spione, il ladro di mestiere e il mariuolo dilettante, il piccolo artigiano e il portiere della casa di tolleranza, l'affamato rozzo muzik ed il contadino inurbato da poco, stordito dal fracasso delle macchine industriali. La miseria incollerita, l'ignoranza desolante, la venalità degenere si posero sotto il comando dell'egoismo dei privilegiati e dell'anarchia degli alti funzionari... Nel giorno fissato viene celebrata una solenne funzione nella cattedrale. Sua eminenza pronuncia un solenne discorso. Infine la processione patriottica, col clero in testa, col ritratto dello zar... (13)

La stessa borghesia, impotente per viltà o per interesse, strizza l'occhio all'operaio (14), almeno fino a quando non si accorge che egli non si accontenta di una Duma qualsiasi e che, travolgendo l'autocrazia, va all'attacco a quanto essa ha di più sacro: il suo dominio nella fabbrica, il profitto. Le otto ore, l'aumento dei salari, l'assistenza ai poveri, il fucile agli operai, fanno improvvisamente ricordare ai borghesi di ogni caratura che non più tempo di baloccarsi con la rivoluzione e che un parlamento qualunque è più che sufficiente per dare la patente di democraticità alla Santa Madre Russia e invocare il ritorno all'ordine.

Come un organismo malato giunto alla sua fase estrema, non sopporta più nessuna cura, allo stesso modo la mostruosità sociale dell'assolutismo zarista era ormai non riformabile, poteva solo essere spazzato via.

Tale è oggi il capitalismo giunto alla sua fase suprema e chi illude il proletariato che esiste una via d'uscita riformista al costante peggioramento delle sue condizioni nella riduzione d'orario a parità di salario, nei lavori socialmente utili, nel rilancio dello stato sociale e insulsaggini simili, si schiera consapevolmente o inconsapevolmente (sono pochi, questi) dalla parte della controrivoluzione. Il capitalismo odierno, entrato da tempo nella fase decadente, è dunque come l'autocrazia dei Romanov: non si può spostare neppure un mattone pena il crollo dell'intero edificio.

Si è già detto che la stessa classe che secondo una visione meccanicistica del marxismo - perciò falsa - avrebbe dovuto partecipare quanto meno da protagonista alla rivoluzione, ossia la borghesia, si ritrae subito spaventata, conscia che il suo vero nemico non è più il dispotismo zarista ma la dittatura rivoluzionaria del proletariato, il quale si è dato uno strumento di lotta e di potere del tutto nuovo: il Soviet. È proprio sul rapporto dialettico tra organismi di massa (i soviet o consigli o... come li si vuol chiamare) e il partito che la rivoluzione del 1905 ci ha lasciato gli insegnamenti più fecondi. Nato il 13 (26) ottobre su base di fabbrica, il soviet dei Deputati operai di Pietroburgo travalicò immediatamente gli angusti limiti aziendali per porsi come punto di riferimento di tutto il proletariato, espressione - per usare un termine che non amiamo, per l'uso superficiale che ne è stato fatto - del vero contropotere operaio.

Un ordine scritto del Soviet poteva esonerare un cittadini dal rispettare le leggi... Tutti nei momenti difficili si rivolgevano al Soviet, chiedendo protezione contro privati, contro funzionari, e persino contro il governo... Nella sede del Soviet si affollavano in continuazione postulanti, mediatori, querelanti, offesi di ogni genere; per lo più si trattava di operai, di persone di servizio, di commessi, di contadini, di soldati, di marinai... (15)

Trotsky

I delegati, eletti prima dalle grandi industrie e poi via via da molti altri settori lavorativi, erano revocabili in qualsiasi momento e, in molti casi, formalmente apartitici; questo però non significa nel modo più assoluto che le masse, e soprattutto gli atti del Soviet, mancassero di un preciso indirizzo politico, ben al contrario l'influenza della socialdemocrazia russa fu determinante fin dalla sua nascita: fu Trotsky a redigere quasi tutti i manifesti politici più importanti del Soviet di Pietroburgo, nel cui comitato esecutivo sedevano sei socialdemocratici. Tra l'altro, quando il primo presidente, Chrustalev - figura incolore di menscevico che nel 1918 si schiererà coi Bianchi e per questo finirà fucilato dall'Armata Rossa -fu arrestato, la scelta per un nuovo presidente oscillò tra Trotsky e un operaio bolscevico. Che dire poi del fatto che l'apice del 1905, cioè l'insurrezione di Mosca del 9-19 dicembre, fu proclamata e diretta dal soviet di questa città, controllato dai bolscevichi? Gli spontaneisti di ogni scuderia preferiscono chiudere gli occhi di fronte a questi fatti che, come tali, sono indiscutibili; ma per gli antipartito di professione è una scelta di vita sprofondare nella melma della "creatività delle masse" da contrapporre alla soffocante rigidità del partito e , naturalmente, al perfido Lenin. Ma chi, se non lui, a proposito dell'insurrezione di Mosca, aveva esaltato l'iniziativa spontanea del proletariato e contemporaneamente criticato a fondo l'operato del partito rivoluzionario che, in qualche modo, non era stato all'altezza del suo compito?

L'azione del dicembre a Mosca dimostrò in modo evidente che lo sciopero generale, in quanto forma indipendente e principale di lotta, è superato; che il movimento spezza con una forza spontanea, irresistibile, questa stretta cornice e genera una forma superiore di lotta: l'insurrezione - ma - le organizzazioni si erano lasciate sopravanzare dallo sviluppo e dallo slancio del movimento... Senza l'intervento delle organizzazioni, la lotta proletaria di massa era passata dallo sciopero all'insurrezione. In ciò sta la più grande conquista storica della rivoluzione russa fatta nel dicembre 1905... Il proletariato aveva avvertito prima dei suoi capi il mutamento delle condizioni oggettive della lotta, la quale esigeva il passaggio dallo sciopero all'insurrezione. Come sempre, la pratica aveva preceduto la teoria. (16)

Si potrebbe continuare con le citazioni, ma sarebbe del tutto inutile oltre che noioso; per sfatare l'immagine di un Lenin come fosco tiranno asiatico, basterebbe solo pensare al fatto che lui per primo, contro la maggioranza del nucleo dirigente del suo partito, ma in piena armonia con la "base" operaia, appena arrivato in Russia nell'aprile del 1917 aveva lanciato la parola d'ordine che reclamava "tutto il potere ai Soviet" e la "Repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli e dei contadini, in tutto il paese, dal basso all'alto". (17)

Per chi non l'avesse presente o facesse finta di non saperlo, ricordiamo che nell'aprile del '17 il partito bolscevico era ben lontano dall'avere una qualche influenza sul Soviet di Pietroburgo o di altre città, erano piuttosto i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi a riscuotere la simpatia delle masse; tuttavia, furono solo gli "autoritari" bolscevichi ad indicare nel soviet, organismo di democrazia diretta, l'organo del potere proletario....

La classe operaia, nonostante il suo eroismo, venne sconfitta, schiacciata, prima di tutto, dalla arretratezza dello sviluppo, cioè dal peso enorme del contadiname:

Il proletariato nella insurrezione di novembre-dicembre non andò ad infrangersi contro una tattica errata, ma contro una grandezza ben più reale: contro le baionette dell'esercito contadino. (18)

Ma quella sconfitta, preparò la vittoria dell'Ottobre!

Scrive Lenin:

Se il proletariato russo non avesse per tre anni, dal 1905 al 1907, sferrato le formidabili battaglie di classe e mostrato la sua energia rivoluzionaria, la seconda rivoluzione non avrebbe potuto essere così rapida, nel senso che la sua tappa iniziale è stata portata a termine in qualche giorno. La prima rivoluzione (1905) ha profondamente rimosso il terreno, sradicato pregiudizi secolari, svegliato alla vita politica e alla lotta politica milioni di operai e decine di milioni di contadini, rivelato le una alle altre e al mondo intero tutte le classi (e i principali partiti) della società russa nella loro vera natura, nei reali rapporti dei loro interessi, delle loro forze, dei loro mezzi d'azione, dei loro obiettivi immediati e lontani. (19)

Per noi, ricordare il 1905 non ha, ovviamente, nessun intento di tipo accademico-culturale, al contrario, significa continuare a fare il bilancio di quasi un secolo di lotte rivoluzionarie, non perché crediamo che la nuova spinta rivoluzionaria debba ricalcare meccanicamente le orme della prima rivoluzione russa (anche se ci possono essere delle analogie, basti pensare all'estrema esiguità delle forze rivoluzionarie e allo strapotere del nemico di classe allora e oggi), semplicemente per attrezzarci al meglio alla prossima ondata rivoluzionaria. Allora noi - o chi verrà dopo di noi - potremo dire, con Trotsky:

Noi l'aspettavamo. Noi non avevamo dubbi in lei. Nel corso di lunghi anni essa era stata soltanto una deduzione della nostra 'dottrina', di cui si facevano beffe tutte le nullità di ogni sfumatura politica. Costoro non credevano nella funzione rivoluzionaria del proletariato, credevano invece nella forza delle petizioni degli zemstva, credevano in Vitte, in Svjatopolk-Mirskij, nel barattolo della dinamite.... Non v'era pregiudizio politico nel quale costoro non credessero. Ritenevano un pregiudizio soltanto la fede nel proletariato. (20)

Celso Beltrami

(1) Trotsky, 1905, La Nuova Italia, 1971, pag. 79.

(2) Ibidem.

(3) Trotsky, op. cit., pag. 1.

(4) Così scrive P. Struve nel suo giornale di indirizzo liberale, pubblicato a Stoccarda, "La Liberazione", cit. in Trotsky, 1905, pag. 83. Struve era stato, nel 1898, tra fondatori del POSDR (Partito operaio socialdemocratico russo), ma subito dopo passò con i liberali e finì per appoggiare le armate bianche durante la guerra civile 1918-1920.

(5) Secondo il censimento del 1902, in Russia le imprese con più di mille operai erano 458 per un numero complessivo di 1.155.000 addetti, mentre quelle da 51 a 1000 operai erano 6.334 per un totale di 1.202.800 addetti. In Germania, il censimento del 1905 rilevò per il primo settore 255 imprese con 448.731 operai e per il secondo 18.698 imprese con 2.595.536 operai.

(6) Trotsky, Bilanci e prospettive, in Classi sociali e rivoluzione, Ottaviano, 1976, pagg. 65-66.

(7) Non ce ne sarebbe bisogno, ma ricordiamo che all'epoca il termine "socialdemocratico" qualificava normalmente i partiti operai e non aveva il significato fortemente negativo che dal 1914 ha assunto per i rivoluzionari comunisti.

(8) Lenin, La dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini, 30 marzo (12 aprile) 1905, in Opere Scelte, Editori Riuniti, vol 1, pag. 556.

(9) Lenin, La sconfitta della Russia e la crisi rivoluzionaria, 7 20 novembre 1915, in Lenin, La guerra imperialista, Ed. Riuniti, 1972, pag. 37.

(10) Lenin, Rapporto sulla rivoluzione russa del 1905, Conferenza tenuta alla Casa del Popolo di Zurigo ai giovani socialisti il 22 gennaio 1917, in Opere Scelte, cit., Il vol., pag. 637 e pag. 638.

(11) "L'originalità della rivoluzione russa è da ricercare nel fatto che essa fu democratico-borghese per il suo contenuto sociale, ma proletaria per i suoi mezzi di lotta", ibidem, pag. 638.

(12) Con il termine "jacquerie" si indicano le grandi rivolte contadine e prendono il nome dal nomignolo dispregiativo, Jaques le bonhomme, con cui la nobiltà francese chiamava i contadini nel medioevo. La prima grande jacquerie scoppia per l'appunto in Francia nel 1358.

(13) Trotsky, 1905, op.cit., pagg. 135-136.

(14) Una parte degli industriali era giunta al punto di pagare il salario nei primi giorni dello sciopero d'ottobre, sperando di addomesticare la classe operaia. Sperava inoltre che una democratizzazione in senso borghese del regime e un moderato aumento salariale avrebbero potuto allargare il mercato interno, come stava accadendo, per esempio, in Italia con Giolitti.

(15) Trotsky, 1905, op. cit., pagg. 223-224.

(16) Lenin, Gli insegnamenti dell'insurrezione di Mosca, 29 agosto 1906, in Opere Scelte, op. cit. I vol, pagg. 680-682.

(17) Lenin, Tesi d'aprile, in Lettere da lontano, Savelli, 1968, pagg. 113 e 114. Il punto di vista di Lenin non era improvvisato, per lo meno dal 1915 affermava che: "I Soviet dei deputati operai e altri consimili organismi devono essere considerati come organi per l'insurrezione, come organi del potere rivoluzionario", 30 settembre 1915, in La guerra imperialista, op. cit., pag. 42.

(18) Trotsky, 1905, op. cit, pag. 258.

(19) Lenin, Lettere da lontano, op.cit. pag. 46.

(20) Trotsky, 1905, op. cit., pag. 84. Gli zemstva erano organi di autogoverno locale istituiti nel 1864, roccaforti del liberalismo. Vitte, fu il redattore del Manifesto del 17 ottobre 1905 attraverso il quale lo zar concedeva le riforme liberal-borghesi. Fu primo ministro dal 1905 al 1906. Svjatopolk-Mirskij era il ministro dell'interno il 9 gennaio 1905; aveva una fama di uomo aperto quando assunse quella carica, nell'autunno del 1904, e ciò aveva suscitato le illusioni di riformisti e riformatori di ogni specie. Per quanto riguarda la dinamite, Trotsky allude ai Socialisti-rivoluzionari, eredi diretti dei Populisti, che praticavano la strategia del terrorismo contro gli esponenti del regime zarista e, politicamente, rappresentavano le prospettive piccolo-borghesi della gran massa dei contadini.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.