Assemblea Proletaria di Bologna: chi siamo?

Pubblichiamo di seguito il volantino di presentazione redatto dall'Assemblea Proletaria di Bologna, in diffusione presso numerose aziende della zona

Siamo operai, salariati di ogni settore, sottoccupati (infognati nelle cooperative, nelle interinali o semplicemente lavoratori in nero), studenti, pensionati… insomma, proletari stanchi di vedere ogni giorno peggiorare le nostre condizioni di vita e di lavoro, a causa di un sistema economico entrato in crisi in tutto il mondo. Un sistema che ci spinge ad una serie di utilissime (per i padroni) guerre tra poveri, che si scannano per le briciole (la casa, il posto…), quando queste non vengono nemmeno più ridistribuite, perché in tempi di magra i padroni vogliono prendersi tutta la torta.

Se il sistema non funziona, e crea sempre più miseria, sfruttamento, disoccupazione e guerre, forse è giunto il tempo di sbarazzarcene. Ma per poterlo fare abbiamo bisogno di cominciare almeno a difenderci, e a questo scopo partiti parlamentari, istituzioni e sindacati non servono a nulla. Questi signori sono implicati a tal punto nelle maglie del capitalismo, che non sono più in grado neanche di indorare le pillole al veleno che imprenditori sempre più rapaci continuano a propinarci… Dal “piano Marchionne” ai licenziamenti di massa, dalla precarietà all’impoverimento crescente, non si è ancora vista una seria risposta proletaria a questi attacchi, se non quando alcuni operai messi alla porta dal padrone, hanno reagito nell’unico modo possibile: lottando, senza l’aiuto del sindacato – che tutt'al più si è limitato a inseguirli a lotta iniziata, cercando di deviarli sul binario morto degli ammortizzatori sociali, mentre la lotta era e sempre più sarà per il mantenimento del posto. Infatti, ai licenziamenti e alle chiusure aziendali, per gli operai seguono inevitabilmente anni di divisioni, solitudine, reinserimento per pochi e disoccupazione per molti, povertà e indebolimento per tutti… Nei primi mesi di vita di questa assemblea abbiamo discusso soprattutto di questo: come reagire da parte operaia e proletaria al continuo ricatto padronale, dettato dalla crisi di un sistema che non ci appartiene, e di cui non vogliamo salvare niente e nessuno - tanto meno chi cerca di convincerci che sia ancora possibile concertare, mediare, trovare dei punti di incontro tra i nostri interessi e i loro profitti.

La nostra assemblea è entrata in contatto con gli operai della Verlicchi, che hanno sorpreso i “topi” del padrone mentre di notte tentavano di rubarsi le presse; a loro abbiamo fatto conoscere l’esperienza di quelli della INNSE di Milano, che dopo un anno e mezzo di lotta intransigente, hanno ottenuto la riapertura della “loro” officina… Siamo stati al fianco degli operai della Terim di Modena, che a dispetto della burocrazia sindacale, per 13 giorni hanno tenuto in piedi un picchetto per scongiurare il licenziamento di 40 operai “scomodi”… Siamo stati con gli operai della Titan, che il 1° marzo hanno allargato lo sciopero dei migranti a tutti i lavoratori dell’azienda, e ritenendolo uno sciopero di interesse operaio, lo hanno fatto di otto ore, italiani e stranieri insieme… Siamo stati nelle piazze durante gli scioperi sindacali, per affermare che gli scioperi vanno estesi e approfonditi, e che i proletari devono pretendere più salario anche in un momento di crisi come questo, perché il carovita continua e i salari, quando ancora ci sono, rimangono fermi. A Bologna, siamo stati in piazza contro gli arresti dei militanti di “Fuoriluogo” e la chiusura della loro sede, non solo perché tra loro c’è un compagno che finché era libero, stava con noi nell’assemblea e davanti ai cancelli delle fabbriche in lotta, ma perché riteniamo questi arresti un'intimidazione rivolta a tutti quelli che vogliono alzare la testa, e non solo agli anarchici.

Crediamo però che la lotta più utile e indispensabile a un cambiamento di sistema sia quella nei luoghi di lavoro, dove gli operai e i proletari devono organizzarsi indipendentemente dai sindacati, fare gruppo e decidere direttamente le forme di lotta da mettere in campo, per non essere svenduti agli interessi padronali.

Quello che vogliamo è che questi operai non siano soli a lottare, che si connettano tra loro e con i proletari in lotta di altri settori; che si connettano con gli studenti che hanno scelto il campo proletario, per fare conoscere queste lotte e prenderle ad esempio… non per creare un altro inutile sindacato, ma un unico fronte di classe.

Ci sentiamo parte di una classe mondiale che ha bisogno urgente di organizzarsi territorialmente e collegarsi, per non soccombere alla crisi di un sistema che non ci appartiene, ma continua ad avvelenarci, sfruttarci e buttarci via.

Sabato 11 giugno, ore 17, al circolo Iqbal Masih , via della Barca 24/3, assemblea proletaria per l’autorganizzazione delle lotte.

Comments

Un compagno sincero si permette di esprimere un'idea. Io credo che la classe oppressa per uscire finalmente dallo stato di oppressione in cui si trova da millenni, debba recuperare le più grandi esperienze del 900: Albert Einstein socialista-pacifista e Ghandi non-violenza come strada per arrivare al non-possesso. Senza questo salto culturale io credo che le nostre "battaglie" rimangano fini a se stesse.

Se la teoria sociale può soltanto nascere dalle dinamiche sociali, ebbene dobbiamo avere la capacità di esprimere le nostre idee e i nostri metodi in forma diversa:

1) Democrazia diretta delle Assemblee Generali in cui ogni donna e ogni uomo si assume, solo e soltanto in prima persona, lo stesso carico di responsabilità politiche.

2) Assemblee dinamiche. Non possiamo rinchiudere ogni uomo e ogni donna in una sola assemblea: assemblee territoriali, assemblee di categoria, assemblee di pensiero qualunque esso sia. Il potere politico che oggi è nel parlamento deve essere trasferito pacificamente e democraticamente alle assemblee generali.

3) Rotazione costante collettiva delle deleghe, in qualunque momento revocabili. Una società complessa come quella in cui viviamo ha bisogno di sovrastrutture. Ogni uomo e ogni donna non può essere eletto per più di due mandati nell'arco della propria vita, poi ritornerà felicemente al suo lavoro.

4) Proprietà sociale dei mezzi di produzione strategici ( acuqua energia, comunicaizoni, trasporti, infstrutture, istruzione, sanità, credito, servizi pubblici, spiagge, boschi). La proprietà sociale non è nè statale nè privata: nessuno può comprarla e nessuno può venderla.

5) Elezione dei delegati alla gestione dei beni sociali secondo il principio di rotazione costante collettiva. Chi va a gestire l'acqua, l'energia, l'istruzione non può essere nominato da una gerarchia ma deve essere eletto nelle assemblee generali sovrane: questa sarebbe democrazia.

6) Pianificazione democratica dell'economia nelle assemblee generali. In tal modo per esempio si produrrebbe solo la quantità di beni necessari ai bisogni umani, si ripartirebbero le ore di lavoro necessarie fra tutti e tutte e utilizzando le tecnologie al fine di migliorare la condizione umana, probabilmente si lavorerebbe non più di 4 ore al giorno.

7) Realizzare la più grande libertà che il capitalismo ci ha regalato: la libertà di fare impresa di cui oggi il capitalismo stesso ci priva. La proprietà della libera impresa deve essere dell'imprenditore e dei lavoratori insieme. In tal modo il profitto verrebbe socializzato pacificamente.

8) Garantire una csa di proprietà a tutti. Cosi potremmo abolire quella logica che spesso riduce i rapporti umani al nudo interesse: la successione.

9) Autonomia idirica, energetica e agricola di ogni realtà sociale. Nessuno è libero se non è autonomo e autosufficiente.

IMPARIAMO DAL NOSTRO PASSATO, RECUPERIAMO IL PENSIERO DI MARX, EINSTEIN E GHANDI, E SVILUPPIAMO NUOVE IDEE. UNIAMOCI PACIFICAMENTE PER LA PACE COMPAGNI

scrivo per proporre un punto di vista pacifista e comunista che spero possa essere discusso alla prossima assemblea insieme al mio precedente commento.

Se la teoria sociale può soltanto nascere dalla dinamica sociale va da sè che la teoria sociale è in continuo divenire in relazione alle dinamiche stesse, che in quanto tali, sono in costante fermento.

Analizziamo le dinamiche: nel 1848 nel Manifesto viengono descritte le dinamcihe delle crisi capitalistiche. Nel 1929 questa crisi si riepete secondo le stesse dinamiche e tutti ne conosciamo le conseguenze. Oggi anno 2011 le dinamiche sono ancora tristemente le stesse: guerre coloniali, finanziarizzazione, delocalizzazione, mondializzazione o globalizzazione come dir si voglia, conflitto sociale, discriminazioni, creazione di disoccupazione allo scopo di abbassare il costo della merce-lavoro ecc.

Credo sia importante porre l'accento su questa questione.

La domanda nasce spontanea: perchè il mondo, dopo un secolo di terribili violenze, il 900, continua sulla stessa strada?

E' colpa dei capitalisti che portano perfettamente avanti il proprio sistema o, forse, i comunisti non riescono a far propria la propria cultura?

Lotte, consigli proletari, rabbia proletaria non fanno parte di una toeria sociale del passato che non si adatta più alle dinamcihe di oggi e che già nel passato non è stata efficace? Non è che questo linguaggio tiene lontani i proletari moderni che, non solo non si rendono conto di essere proletari ( persone che hanno come unica fonte di sostentamento il proprio lavoro) e, che sono assolutamente pacifici?

Se la toeria sociale può soltanto nascere dalle dinamiche sociali perchè non proviamo ad uscire dal passato, perchè non proviamo a costruire una nuova teoria sociale magari provando a partire dal pensiero di due grandi socialisti come A. Einstein socialista-pacifista e Ghandi non violenza come strada per giungere al non possesso.

Grazie alle lotte dei compagni del passato abbiamo acquisito ( almeno formalmente) dei diritti: espressione, riunione, organizzazione, voro ecc. Io credo che grazie alle conquiste delle lotte passate oggi noi possiamo proseguire il cammino verso una società senza classi solo attraverso la strada della non violenza. Certo, il parlamento non può essere la strada per giungere a questo ma, per cambiare pacificamente la società occorre mettere in moto le assemblee dei lavoratori. Apparentemente tra Consigli proletari e Assemblee dei lavoratori non c'è differenza ma, se non cambiamo linguaggio, i lavoratori di oggi profondamente diversi da quelli del passato non ci seguiranno nè ora nè mai. Cambiamo linguaggio, elaboriamo una nuova teoria dall'analisi delle dinamiche sociali e cominciamo ad esprimerla in maniera comprensibile ai proletari di oggi.

Perché il socialismo? *

  • di Albert Einstein

E' prudente per chi non sia esperto in materia economica e sociale esprimere opinioni sul problema del socialismo? Per un complesso di ragioni penso di sì.

Consideriamo dapprima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano essenziali differenze di metodo tra l'astronomia e l'economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi generalmente accettabili per un gruppo circoscritto di fenomeni, allo scopo di rendere il più possibile comprensibili le connessioni tra questi stessi fenomeni. Ma in realtà tali differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che i fenomeni economici risultano spesso influenzati da molti fattori difficilmente valutabili separatamente. Inoltre l'esperienza accumulata dal principio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come ben si sa, largamente influenzata e limitata da cause che non sono di natura esclusivamente economica.

Molti dei maggiori Stati, per esempio, dovettero la loro esistenza a conquiste. I conquistatori si stabilirono, giuridicamente ed economicamente, come classe privilegiata nel Paese conquistato. Essi si presero il monopolio della proprietà terriera e formarono un sacerdozio con uomini della loro classe. I preti, avendo il controllo dell'educazione, trasformarono la divisione in classi della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori dal quale, da allora in poi, il popolo si lasciò in gran parte inconsciamente guidare nella sua condotta sociale.

Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; oggi noi abbiamo realmente superato quella che Thorstein Veblen chiamò la "fase predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che noi possiamo ricavare non sono applicabili alle altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è precisamente di superare e andare al di là della fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nelle sue attuali condizioni può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.

In secondo luogo, il socialismo mira ad un fine etico-sociale. La scienza, viceversa, non può creare fini, e ancormeno imporli agli esseri umani; essa, al massimo, può fornire i mezzi con cui raggiungere certi fini. Questi sono concepiti da persone con alti ideali etici e se essi non sono sterili, ma vitali e forti, sono assunti e portati avanti da quella larga parte dell'umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.

Per queste ragioni, noi dovremmo guardarci dal sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano i soli che hanno il diritto di esprimersi su questioni che concernono l'organizzazione della società.

Da un po' di tempo innumerevoli voci asseriscono che la società sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristica di questa situazione è che gli individui si sentano indifferenti e persino ostili al gruppo, sia esso grande o piccolo, cui appartengono. Per illuminare questo concetto, ricorderò un'esperienza personale. Recentemente discutevo con un uomo intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, a mio giudizio, porterebbe gravi danni all'esistenza del genere umano, e facevo notare che solo un'organizzazione internazionale potrebbe proteggerci da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con molta calma e freddezza mi disse: "Perché siete così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?". lo sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto con tanta leggerezza una dichiarazione di questo genere. E' la dichiarazione di un uomo che si è sforzato di raggiungere il suo equilibrio interno e ha più o meno perduto la speranza di riuscirvi. E' l'espressione di una penosa solitudine e di un isolamento di cui molti soffrono. Quale ne è il motivo? C'è una via d'uscita?

E' facile sollevare queste questioni, ma difficile rispondervi con un certo grado di sicurezza. Tenterò tuttavia, come meglio posso, sebbene sappia che i nostri sentimenti e i nostri sforzi siano spesso contradditori e oscuri e non possano essere espressi in formule semplici e chiare.

L'uomo è, nello stesso tempo, un essere solitario e sociale. Come essere solitario, egli tenta di proteggere la sua esistenza e quella di coloro che gli sono vicini, di soddisfare i suoi desideri personali e di sviluppare le sue innate capacità. Come essere sociale, egli cerca di guadagnarsi la stima e l'affetto degli altri esseri umani, di partecipare alle loro gioie, di confortarli nei loro dolori e di migliorare le loro condizioni di vita.

Solo l'esistenza di questi vari e spesso contradditori sforzi dà ragione del particolare carattere di un uomo, e le loro speciali combinazioni determinano in quale grado un individuo possa raggiungere un equilibrio profondo e contribuire al benessere della società. E' possibile che la relativa forza di questi due indirizzi sia in gran parte determinata dall'eredità. Ma la personalità che emerge alla fine è largamente formata dall'ambiente nel quale accade che l'uomo si trovi durante il suo sviluppo, dalla struttura sociale in cui cresce, dalle tradizioni di quella società e dal suo giudizio sui particolari tipi di comportamento. L'astratto concetto di "società" significa per l'essere umano individuale la somma totale dei suoi rapporti diretti e indiretti con i suoi contemporanei e con tutti gli uomini delle precedenti generazioni.

L'individuo è in grado di pensare, sentire, lottare e lavorare da solo; ma è tale la sua dipendenza dalla società, nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva, che è impossibile pensare a lui o comprenderlo fuori dalla struttura della società. E' la "società" che provvede l'uomo del cibo, dei vestiti, della casa, degli strumenti di lavoro, della lingua, delle forme di pensiero e della maggior parte dei contenuti del pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dalle realizzazioni dei molti milioni di uomini, passati e presenti, che si nascondono dietro la piccola parola "società".

E' evidente perciò che la dipendenza dell'individuo dalla società è un fatto di natura che non può essere abolito; proprio come nel caso delle formiche e delle api. Tuttavia, mentre l'intero processo della vita delle formiche e delle api è fissato fin nei più piccoli dettagli dai rigidi istinti ereditari, il modello sociale e le relazioni tra gli esseri sociali sono molto variabili e suscettibili di mutamenti. La memoria, la capacità di nuove combinazioni, il dono della comunicazione verbale hanno reso possibili tra gli essere umani sviluppi che non sono dettati da necessità fisiologiche. Tali sviluppi si manifestano in tradizioni, istituzioni e organizzazioni, nella letteratura, nel perfezionamento scientifico e costruttivo, in opere d'arte. Questo spiega come accade che, in un certo senso, l'uomo possa influenzare la propria vita con la sua condotta, e che in quel processo possano avere una parte il pensiero e la volontà consapevoli.

L'uomo acquista dalla nascita, per eredità, una costituzione biologica che dobbiamo considerare inalterabile e fissa, che contiene gli impulsi naturali caratteristici della specie umana. Inoltre, nel corso della sua vita, egli acquista un abito culturale che riceve dalla società per mezzo di un complesso di rapporti e di molte altre specie di influenze. Questo abito culturale, col passare del tempo, è soggetto a mutamento e determina in grado molto elevato le relazioni tra l'individuo e la società. Su questo possono poggiare le loro speranze coloro che lottano per migliorare il destino dell'uomo; gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, ad annientarsi l'un l'altro o a essere alla mercé di un destino crudele.

Se ci domandiamo come la struttura della società e l'atteggiamento culturale dell'uomo dovrebbero essere modificati al fine di rendere la vita umana quanto più possibile soddisfacente, dobbiamo essere costantemente consci che vi sono certe condizioni che non possono essere modificate. Come ho già detto, la natura biologica dell'uomo non è soggetta a mutamenti, almeno praticamente. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato condizioni destinate a durare. In popolazioni stabili e di densità relativamente elevata, con i beni indispensabili alla loro esistenza, sono assolutamente necessari un'estrema divisione del lavoro e un sistema produttivo altamente centralizzato. Il tempo, ai nostri occhi così idillico, in cui gli individui o gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti, è passato per sempre. E' appena una lieve esagerazione affermare che il genere umano costituisce fin d'ora una comunità planetaria di produzione e di consumo.

Eccomi giunto al punto in cui mi è possibile indicare brevemente che cosa per me costituisca l'essenza della crisi del nostro tempo. L'individuo è divenuto più che mai consapevole della sua dipendenza dalla società. Questa dipendenza però egli non la sente come positiva, come un legame organico, come un fatto produttivo, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali o anche alla sua esistenza economica. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vanno costantemente aumentando, mentre i suoi impulsi sociali, che sono per natura più deboli, vengono di mano in mano deteriorandosi. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, sono danneggiati da questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egoismo, essi si sentono malsicuri, soli e privi dell'ingenua, semplice e non sofisticata gioia della vita. L'uomo può trovare un significato alla vita, breve e pericolosa com'è, solo votandosi alla società.

L'anarchia economica della società capitalistica, quale esiste oggi, è secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un'enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per privarsi reciprocamente dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza ma, complessivamente, in fedele complicità con gli ordinamenti legali. Sotto questo punto di vista è importante comprendere che i mezzi di produzione -vale a dire tutta la capacità produttiva che è necessaria sia per produrre beni di consumo quanto per produrre capitale addizionale- può essere legalmente, e per la maggior parte dei casi è, proprietà dei singoli individui.

Per semplicità, nella discussione che segue, io chiamerò "lavoratori" tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, sebbene ciò non corrisponda all'uso abituale del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di comperare il potere-lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuove merci che divengono proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e la misura in cui viene pagato, misurando entrambe le cose in termini di valore reale. Dal momento che il contratto di lavoro è "libero", ciò che il lavoratore percepisce è determinato non dal valore delle merci che produce, ma dalle sue esigenze minime e dalla richiesta capitalistica di potere-lavoro, in relazione al numero dei lavoratori che sono in concorrenza tra di loro per i posti di lavoro. E' importante comprendere che anche in teoria il pagamento del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.

Il capitale privato tende a essere concentrato nelle mani di una minoranza, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti e in parte per il fatto che lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro incoraggiano la formazione di più larghe unità di produzione a spese delle più piccole. Il risultato di questo sviluppo è un'oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può essere effettivamente arrestato nemmeno da una società politica democraticamente organizzata. Ciò è vero dal momento che i membri dei corpi legislativi sono scelti dai partiti politici, largamente finanziati o altrimenti influenzati dai privati capitalisti che, a tutti gli effetti pratici, separano l'elettorato dalla legislatura.

La conseguenza si è che di fatto i rappresentanti del popolo non proteggono sufficientemente gli interessi degli strati meno privilegiati della popolazione. Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, le principali fonti d'informazione (stampa, radio, insegnamento). E' così estremamente difficile, e in realtà nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, che il cittadino privato giunga a oggettive conclusioni e a fare un uso intelligente dei suoi diritti politici.

La dominante in un'economia fondata sulla proprietà privata del capitale è caratterizzata da due principi basilari: primo i mezzi di produzione (il capitale) sono posseduti da privati e i proprietari ne dispongono come meglio credono; secondo, il contratto di lavoro è libero. Naturalmente una società capitalistica pura, in questo senso non esiste. In particolare si dovrebbe notare che i lavoratori, attraverso lunghe e dure lotte politiche, sono riusciti ad assicurare per certe loro categorie una forma alquanto migliorata di "libero contratto di lavoro". Ma, presa nell'insieme, l'economia odierna non differisce dal "puro" capitalismo.

Si produce per il profitto, non già per l'uso. Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego; un "esercito di disoccupati" esiste quasi in permanenza. Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno. Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il movente dell'utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è responsabile dell'instabilità nell'accumulazione e nell'utilizzazione del capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi. Una concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di lavoro e a quel deterioramento della coscienza sociale degli individui cui ho prima accennato.

Questo avvilimento dell'individuo io lo considero il maggior male del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo ne è danneggiato. Un'attitudine competitiva esagerata viene inculcata allo studente, così condotto, come preparazione alla sua futura carriera, ad adorare il successo.

Sono convinto che vi sia un solo modo per eliminare questi gravi mali: la creazione di una economia socialista, accompagnata da un sistema educativo volto a fini sociali. In una tale economia i mezzi di produzione sono di proprietà della società e vengono utilizzati secondo un piano. Un'economia pianificata che adatti la produzione alle necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro tra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino.

L'educazione dell'individuo, oltre che incoraggiare le sue innate qualità, dovrebbe proporsi di sviluppare il senso di responsabilità verso i suoi simili, invece dell'esaltazione del potere e del successo che è praticata dalla nostra attuale società.

E' tuttavia necessario ricordare che un'economia pianificata non è ancora socialismo. Un'economia pianificata come questa può essere accompagnata dal completo asservimento dell'individuo. Il raggiungimento del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi politico-sociali estremamente difficili: come è possibile in vista di una centralizzazione di vasta portata del potere politico ed economico, impedire che la burocrazia divenga potente e prepotente? Come possono essere protetti i diritti dell'individuo ed essere con ciò assicurato un contrappeso democratico alla potenza della burocrazia?

Albert Einstein (da Monthly Review, New York, maggio 1949)

Due domande per Mariano (anzi tre):

Dovremmo "realizzare la più grande libertà che il capitalismo ci ha regalato: la libertà di fare impresa di cui oggi il capitalismo stesso ci priva. La proprietà della libera impresa deve essere dell'imprenditore e dei lavoratori insieme". Ma cos'è: il capitalismo dal volto umano? E dove si sarebbe mai visto o realizzato?

Dovremmo così "socializzare pacificamente il profitto"? Ma non "così", non dobbiamo affatto socializzarlo: dobbiamo "eliminarlo", perchè non ci serve proprio per nulla.

Mariano, scusami: ma hai mai letto il Programma Cinque Stelle? Dovresti farlo ed aderirvi. Credo vada a pennello per te. E non scherzo affatto.