Sul blocco degli scrutini: un punto di vista classista

Articolo scritto nei giorni precedenti al blocco degli scrutini del 2010

Giustamente, da più parti è stato detto che con la cosiddetta riforma Gelmini/Tremonti e la manovra finanziaria messa a punto dal governo, siamo di fronte a uno dei più grandi, se non il più grande, licenziamento in massa degli ultimi decenni.

I provvedimenti, è noto, avranno conseguenze molto pesanti non solo sul piano occupazionale, ma anche sullo stipendio e, a cascata, sull'importo delle pensioni, oltre che sulla durata della vita lavorativa. In breve, un netto peggioramento delle condizioni di esistenza per milioni di persone: più che metterci le mani nelle tasche, il governo, con la complicità aperta dei suoi scagnozzi sindacali CISL-UIL-UGL, ci mette le mani addosso!

Di fronte alla guerra sociale scatenata contro il mondo del lavoro dipendente a cominciare, in questa tornata, dal Pubblico Impiego, qual è, finora, la reazione dei diretti interessati e dei sindacati rimanenti? La CGIL è attraversata da malumori manifestati dagli iscritti e dalle correnti interne di sinistra che vorrebbero un'azione più incisiva, che andasse oltre le simboliche occupazioni degli uffici scolastici provinciali/regionali - per altro, poco e male pubblicizzate: è un caso? - per arrivare al blocco degli scrutini. Riguardo a questa forma di lotta, però, la FLC-CGIL nazionale, a meno di svolte clamorose e al momento improbabili, non solo ha preso nettamente le distanze, ma ha fatto presso i propri iscritti aperta opera di crumiraggio (come la CISL, del resto), invitandoli, con argomenti vergognosi e ridicoli, a boicottare lo sciopero proclamato dal sindacalismo di base. D'altronde, a parte il senso di ripugnanza, il crumiraggio della CGIL non stupisce, visto che la sua firma non è mai mancata né sui contratti-bidone degli ultimi vent'anni almeno, né sulla legge fascistoide del 1990 che ingabbia i lavoratori dei servizi pubblici e rende pressoché innocui - per il padronato, non per i lavoratori medesimi - gli scioperi sindacali.

Noi internazionalisti, come valutiamo il blocco degli scrutini indetto dal sindacalismo che vuole essere alternativo? Non è un mistero per nessuno - eccetto i prevenuti - la nostra critica di fondo alla logica sindacale nel suo insieme, benché occorra distinguere tra sindacalismo “ufficiale” (CGIL-CISL-UIL-UGL) e sindacalismo base. Il primo è un ingranaggio fondamentale del sistema di comando del capitale sulla forza-lavoro, vera e propria cinghia di trasmissione degli interessi borghesi nel proletariato; ciò vale, naturalmente, anche per la CGIL, nonostante l'attuale linea critica adottata nei confronti del governo. Se l'affermazione può apparire troppo forte per chi ancora crede alla sua diversità, basterebbe guardare le decine di contratti di categoria firmati recentemente, che di fatto recepiscono la riforma del modello contrattuale, formalmente respinta dagli organi direttivi centrali; per non dire, naturalmente, delle numerose “riforme” contro il lavoro salariato sostenute ed accettate dalla CGIL medesima per il bene del Paese... della borghesia!.

Il secondo invece, indipendentemente dalle generose intenzioni di larga parte dei suoi iscritti, è, ben che vada, un'arma spuntata, non da ultimo perché semina l'illusione che in questa fase storica di crisi acuta del capitalismo si possano ottenere notevoli risultati - sul piano rivendicativo/riformista - rimanendo sul terreno sindacale, il che significa nel pieno rispetto della normativa anti-sciopero.

E' il caso, appunto, del blocco degli scrutini. Ora, tutto ciò che si muove contro le stangate che si abbattono sul mondo del lavoro dipendente e, nello specifico, della scuola, tutto ciò che può lacerare la cappa soffocante della rassegnazione e dello scoraggiamento è da valutare positivamente, nonché da incoraggiare attivamente, tant'è vero che là dove siamo presenti soffiamo sul fuoco della lotta, sebbene questa parta, se parte, in genere da livelli politicamente arretrati o quanto meno confusi. Ma anche perché non ci ritiriamo mai dalle lotte (anzi) che siano espressione di un reale malessere sociale (per quanto dirette e controllate dai sindacati) e non una parata politicantesca di apparati politico-sindacali, anche per questo, dicevamo, ci sentiamo in diritto/dovere di criticare le debolezze e i limiti delle lotte medesime. La prima debolezza del blocco degli scrutini è l'aver accettato la normativa anti-sciopero: non più di due giorni consecutivi ed esclusione delle classi terminali (la terza media, il terzo anno dei professionali e le quinte delle superiori). E' evidente, ma questo la sa pure gran parte degli iscritti ai sindacati di base, che uno sciopero, per essere veramente efficace, non deve avere limitazioni di tempo né di spazio: per esempio, deve potersi estendere ad ogni settore del comparto e allargarsi ad altre categorie. Invece, oltre ad escludere le ultime classi dei corsi, lo sciopero è segmentato per regioni: alcune bloccano il 7-8 giugno, altre il 9-10 e via dicendo. Chi lavora nella scuola, però, sa che gli scrutini, di solito, proseguono per quattro o cinque giorni, per cui si arriva al paradosso che, dall'inizio, una parte degli insegnanti è esentata dalla partecipazione alla lotta; in pratica, le modalità della stessa prevedono la divisione preliminare della categoria, compreso, va da sé, il personale non insegnante, non meno colpito dai provvedimenti governativi. Dunque, considerazioni politiche a parte sull'errore madornale di frammentare il fronte di lotta, anche dal punto di vista “tecnico” lo sciopero è depotenziato, e di molto, in partenza, tanto che rischia fortemente di essere pura testimonianza. E' vero che, vista la situazione potenzialmente esplosiva, ci possa essere uno scavalcamento spontaneo delle modalità di sciopero, con un prolungamento oltre le barriere fissate per legge, fino ad arrivare a una saldatura delle lotte su tutto il territorio nazionale. E' la speranza, ufficiosa, di chi ha proclamato lo sciopero ed è quello che ci auguriamo fortemente, perché solo in tal modo l'astensione dagli scrutini, da testimonianza, comincerebbe a fronteggiare efficacemente le guerra sociale che ci viene fatta. Ma se così fosse, emergerebbero, una volta di più, i limiti del sindacalismo, anche di quello che raccoglie le individualità più combattive, e si confermerebbe che una lotta, perché possa contrastare veramente il padronato (pubblico o privato non fa differenza), deve per forza di cose abbandonare il terreno melmoso del sindacalismo e camminare spedita su quello dell'autorganizzazione o “dal basso” che di si voglia.

Davvero la dirigenza dei sindacati di base pensa di poter ricacciare in gola al duo Berlusconi/Tremonti la manovra finanziaria, la “riforma” della scuola, il decreto Brunetta e tutte le altre porcherie storiche con un giorno di astensione dal lavoro indetto nel pieno rispetto delle normative antisciopero? Serietà vuole che quando si chiama a una lotta, e per di più molto difficile: chi lo nega?, si guardi in faccia la realtà e non si nascondano le difficoltà dietro la cortina fumogena delle frasi e delle rivendicazioni roboanti, che, per avere qualche possibilità di essere soddisfatte (e in modo relativamente duraturo) , richiederebbero una lotta di classe generalizzata a livelli quasi pre-rivoluzionari. Allora, per cominciare, si sarebbe dovuto dire che per raggiungere obiettivi tanto ambiziosi la strada è piena di ostacoli, il che non significa l'accettazione rassegnata della macelleria sociale, ma, al contrario, la coscienza che senza una lotta determinata, prolungata e, probabilmente, costosa in termini di sacrifici personali, non si va da nessuna parte. Secondariamente, ma non per importanza, non si sarebbe dovuto proclamare scioperi a scacchiera, che, come s'è visto, escludono a priori una parte dei lavoratori. Terzo, dare una prospettiva politica allo sciopero, cioè farne un momento importante di maturazione della coscienza di classe anticapitalista, inquadrando le manovre del governo nel quadro complessivo di crisi del capitale (non solo del cosiddetto neoliberismo!), che rende molto difficile, per usare un eufemismo, il ritorno a politiche riformiste, possibili - sotto la spinta della mobilitazione dei lavoratori - negli anni di crescita del ciclo di accumulazione. Dunque, politicizzare la lotta, sottolineando l'incompatibilità degli interessi tra borghesia e lavoro salariato, più che mai evidente nelle epoche di crisi come la nostra: il capitale può sopravvivere solo attaccando e intaccando a fondo le nostre condizioni di esistenza, non ci sono alternative. E' dunque la cornice politica dentro cui si muove il sindacalismo “di base” che noi critichiamo radicalmente, non la giusta rabbia sociale che in parte riesce a captare, ma, purtroppo, a far arenare nella palude di un riformismo fuori tempo massimo.

Molti ci accusano di essere attendisti, di osservare dall'esterno lo svolgersi di episodi di lotta sputando sentenze: che i nostri censori siano in buona o malafede, il loro punto di vista è falso, semplicemente. Per noi, è addirittura banale dire che senza lotte sul terreno economico-rivendicativo mancano i presupposti stessi della possibilità di maturazione della coscienza di classe, dunque, non c'è lotta che, pregiudizialmente, debba essere disertata. Ma bisogna praticarla con gli strumenti adeguati e nella prospettiva giusta, che per noi è il superamento del capitalismo. Il sindacalismo non è tra quegli strumenti.

CB, 2010-06-08

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.