Istituto di Catanzaro: due anni di deformazioni e falsificazioni

Il 30 Aprile del 2009, i compagni che fino ad allora avevano costituito la sezione catanzarese di Battaglia Comunista davano vita ad un Istituto che, a nostro modo di vedere, andava a configurarsi come un centro studi ed editoriale (1). Rientra nella logica delle cose, purtroppo, che dei compagni possano decidere di abbandonare un'organizzazione non condividendone più piattaforma e attività, mentre non ha nessun senso politico l'accanimento e l'astio che l'Istituto ha mostrato dei nostri confronti. Questi compagni giudicano Battaglia Comunista un organizzazione superata, inutile, nemmeno comunista, eppure continuano a perdere tempo spulciando minuziosamente i nostri giornali, i volantini, gli articoli, persino gli interventi sui forum.

Non conosciamo di preciso quale senso politico diano alla loro sistematica attività di “critica” contro Battaglia Comunista, se non quella di un costante versamento di bile, ma poco importa. Per quanto ci riguarda non abbiamo mai avuto interesse ad alimentare polemiche pubbliche con l'Istituto, non ne vediamo utilità. Nell'era di internet e della stampa “facile”, però, non ci vuole molto a fondare un sito web e una rivista, a dare vita ad un Istituto, acquistando quindi un minimo di visibilità nell'ambiente politico. Difatti, da subito questi ex compagni avevano cercato ti attirare l'attenzione attraverso un lavoro sporco nei confronti della nostra organizzazione; questo comportamento ci spinse a scrivere l'articolo “Un po' di chiarezza sulla nascita dell'"Istituto Onorato Damen" e a rendere pubblico il documento realizzato dopo l'assemblea generale dei militanti del 2009 (2), promettendo poi di non ritornare più pubblicamente sull'argomento. Dopo due anni di assoluto silenzio, siamo costretti a non rispettare tale promessa e a battere un colpo. Non una risposta alle loro paranoiche, deliranti, ridicole accuse, ma semplicemente una nota per difendere la nostra organizzazione dal lavoro sporco di questi ex compagni finalizzato a diffamare, denigrare, la nostra organizzazione. I loro articoli infatti non costituiscono una critica di quello che realmente scriviamo o dell'attività che veramente svolgiamo, non sono un'analisi delle nostre posizioni, ma fantasiose loro ricostruzioni che servono a giustificare assurde conclusioni. “Critiche” che il più delle volte non sono altro che una rassegna di etichette - “anarco-sindacalisti”, “movimentisti”, “riformisti” “antagonisti” ecc ecc. - accuse senza un minimo di fondamento, nel migliore dei casi giustificate “citando” un pezzo di una frase (magari opportunamente tagliato…), se non addirittura poche parole, sostituendo tutto il resto con le loro disoneste ricostruzioni. Un mirato lavoro, volutamente basato sulla falsificazione nonché la distorsione, contro quello che evidentemente vedono come il loro nemico: Battaglia Comunista, la ICT.

In due anni e mezzo hanno prodotto una montagnola di fango - proporzionata, dunque, alla loro consistenza politica - ma di ciò riporteremo ovviamente solo qualche esempio delle loro porcherie. Dopo due anni di attività, l'Istituto, nell'articolo “Ci vuole il Partito” (3), cerca di fare un bilancio del proprio operato. Dovremmo aspettarci semplicemente una descrizione delle attività svolte in due anni di esistenza, invece no: l'Istituto fa il bilancio della propria attività “criticando” Battaglia Comunista. Si legge, per esempio:

Soprattutto vi si trova conclamato l'approdo definitivo sulle spiagge dello spontaneismo e dell'anarco-sindacalismo dei primi del novecento. Non c'è un solo volantino, un solo articolo che non indichi nell'autorganizzazione delle lotte dal basso la panacea di tutti i mali che affliggono il proletariato salvo, poi, constatare che si tratta di una chimera e attribuire la responsabilità del fallimento al proletariato stesso perché: "La crisi capitalistica è grave e la borghesia dimostra una determinazione, nel volerla superare, all'altezza di tale gravità. Chi, invece, non ne è all'altezza è il proletariato, anche in Grecia." Evidentemente ignorano anche la loro piattaforma politica, che, muovendo dall'assunto che il proletariato, per la sua condizione oggettiva, non può *pervenire spontaneamente a una tale consapevolezza (che* è *poi come dire a una chiara coscienza comunista) senza la presenza organizzata e attiva del Partito nel suo seno, prevedeva i gruppi comunisti internazionalisti di fabbrica e territoriali, che, invece, con un tratto di penna, sono stati cancellati* ritenendo a tal scopo più idonei organismi interclassisti quali i No Tav! e i No dal Molin!.

Ovviamente l'autore non cita nessun nostro volantino o articolo nel quale indichiamo “nell'autorganizzazione delle lotte dal basso la panacea di tutti i mali" _(4)_ o dove sosteniamo che si “possa pervenire spontaneamente a una tale consapevolezza (che _è_ poi come dire a una chiara coscienza comunista) senza la presenza organizzata e attiva del Partito nel suo seno, prevedeva i gruppi comunisti internazionalisti di fabbrica e territoriali”. Disonesta fantasia, falsificazione delle nostre posizioni, un metodo che ha contraddistinto tutti i lavori di “critica” dell' Istituto, come s'è detto. Riportiamo di seguito un altro breve esempio:

Ad emergere in tutto ciò è semmai la riproposizione di un rapporto meccanicistico tra lotta economica e lotta politica e quindi un formarsi spontaneo della coscienza politica che non solo *è* distante anni luce da una concezione leninista ma non è nelle cose in quanto la classe lavoratrice non si riconosce come classe e, per di più, mancano del tutto le avanguardie del proletariato (5).

Abbandoniamo adesso le costruzioni fantasiose dell'Istituto e vediamo un po' cosa veramente scriviamo su questi temi, riportiamo qualche esempio più recente; confrontate i grassetti:

Date le condizioni materiali che si trova a vivere il proletariato nel capitalismo, vista la genesi materialistica della coscienza e il peso dell'ideologia dominante, la classe - nel migliore dei casi - *è* spinta verso una lotta *“semplicemente”* rivendicativa. L'avanguardia organizzata della classe (il Partito) è formata invece da coloro che, al di là della fase storica e del livello della lotta di classe, maturano una coscienza rivoluzionaria. Il Partito partecipa attivamente alle lotte, ma non si accoda alla spontaneità *presente, deve intervenire ponendosi come riferimento politico comunista, spingere i proletari verso una presa di coscienza rivoluzionaria*. Il compito dei comunisti non *è, parafrasando Lenin, quello di porsi passivamente al servizio del movimento operaio*, ma di rappresentare gli interessi del movimento nel suo insieme, di mostrare a questo movimento il suo fine ultimo, il superamento del capitalismo. I comunisti quindi devono intervenire nella lotta di classe proletaria, ponendosi come riferimento politico, devono cercare di far trascrescere la coscienza della classe verso una coscienza rivoluzionaria.

Ed ancora:_

_

Un comunista deve “sostenere la linea anti-sindacalista e a favore della autorganizzazione di lotta del proletariato” (dallo Statuto del PCInternazionalista, 1997). Fermo restando che gli organismi di lotta rivendicativa sono strumenti che la classe si dà, anche senza la presenza dei rivoluzionari, i comunisti devono propagandarli, proporli, essere parte attiva negli organismi di autorganizzazione delle lotte: le assemblee dei lavoratori, i comitati di agitazione. Nel fare questo devono cercare di porsi sempre come riferimento politico comunista. Nel loro intervento i comunisti dovranno adoperarsi per formare i gruppi internazionalisti di fabbrica (in generale, sui luoghi di lavoro) e di territorio. Questi - a differenza degli organismi di lotta, che la classe stessa si dà - sono emanazione dell'organizzazione comunista (del Partito), devono essere lo strumento del partito nella classe. Sono quindi gruppi politici composti da militanti e simpatizzanti del Partito di una dato luogo/settore di lavoro. Partendo dalla specificità della situazione lavorativa portoro avanti in quel dato settore l'attività di agitazione e propaganda comunista.

Citazioni tratte da Prometeo, Maggio 2011

A riprova che l'organizzazione sindacale non è sinonimo di forza operaia, anche se la forza (operaia e proletaria in generale) richiede necessariamente forme di organizzazione per esprimersi - forme che noi comunisti internazionalisti individuiamo nelle Assemblee, nei Comitati di Lotta ecc. ecc., di cui ci facciamo promotori, ogni volta che ne abbiamo la possibilità materiale. Ma il nostro compito, in quanto comunisti rivoluzionari, non si esaurisce qui: lavoriamo *-* attraverso i nostri gruppi di fabbrica e di territorio *-* affinché *le lotte di difesa delle condizioni di vita e lavoro diventino momenti di crescita dell'antagonismo proletario e della sua consapevolezza anticapitalista* - *che si concretizzano, secondo noi, nell'organizzazione e nel radicamento di quel partito comunista genuinamente internazionalista e rivoluzionario* di cui pensiamo di essere parte imprescindibile.

Battaglia Comunista, numero 7, 2011

Noi da comunisti internazionalisti siamo e saremo sempre al nostro posto nel promuovere, dove possibile, e nel sostenere queste mobilitazioni con la prospettiva dell'anticapitalismo, della radicamento nella classe del partito comunista ed internazionalista e dei suoi gruppi di fabbrica e territorio.

Ai lavoratori serve la lotta di classe, non i sindacati, Battaglia Comunista, numero 7, 2011

Bastano questi pochi esempi per evidenziare quanto false siano le costruzioni dell'Istituto.

Un eclatante esempio di questo lavoro sporco è costituito da “Il post-marxismo della Tendenza comunista internazionale”, articolo dove l'Istituto “critica” il nostro lavoro “Liquami politici e crisi in Italia”, contenuto in Prometeo n. 4, novembre 2010. Scrivono:

Dell'articolo prendiamo in considerazione solamente il paragrafo 'Elementi per una risposta di classe', che occupa l'intera pagina 8. Qui possiamo leggere che: 'La lotta contro il capitale è la condizione necessaria affinché la schiavitù salariale non continui ad essere la condizione di una iniqua distribuzione della ricchezza sociale' (ibid pag.8). Condizione della 'schiavitù salariale' è così l'iniqua distribuzione della ricchezza sociale.

Già semplicemente questo pezzo basterebbe a smentire l'autore della “critica”: è il capitalismo la causa della schiavitù salariale e la distribuzione iniqua della ricchezza prodotta dal lavoro sociale dei proletari è una conseguenza non la causa (“la lotta contro il capitale è la condizione necessaria…” si legge infatti nel nostro articolo “criticato”). La fantasia delirante dell'Istituto questa volta serve a giustificare l'etichetta di lassalliani. Per portare a termine questo maneggio, l'anonimo autore inoltre trascura, volutamente, il pezzo che precedeva la propria monca citazione:

Le cause dello sfascio economico e sociale sono tutte all'interno della società capitalistica, nel suo modo di produrre e di distribuire ricchezza basato sul rapporto capitale-forza lavoro, che ha come unico e insostituibile obiettivo quello del profitto…

La distribuzione iniqua della ricchezza prodotta dai proletari nel capitalismo è una conseguenza del modo di produzione e solo l'abbattimento di questo sistema economico porrà fine all'impoverimento dei proletari, non certamente un'illusoria “ridistribuzione del reddito” o una improponibile “giusta retribuzione” per tutti. Questo è quello che diciamo da sempre quando ci troviamo a criticare il radical-riformismo, ci vuole una bella faccia tosta per affermare il contrario. È evidente che siamo in presenza di una disonestà intellettuale senza pari che contraddistingue tutto il loro lavoro di critica nei nostri confronti.

Altro esempio molto significativo di disonestà, l'Istituto scrive:

Ma anziché indagare le cause che sono alla radice di ciò, i più si abbandonano o alla santificazione di qualsiasi iniziativa intrapresa dai lavoratori, anche quelle più spettacolari come l'arrampicarsi sui tetti o su qualche gru delle fabbriche, minacciando di buttarsi giù nel caso del mancato accoglimento delle loro richieste; oppure si esercitano nel lanciare improbabili quanto patetici appelli alla necessità della tanto agognata ripresa della lotta di classe e della rivoluzione socialista come panacea di tutti mali. Combattere, combattere e combattere si legge, per esempio, in un articolo sulla vicenda della Fiat di Termini Imerese apparso sul n. 3/2010 di BC, come se ciò non accadesse perché finora è mancato ai lavoratori il giusto suggerimento di qualche insegnante di lotta di classe.

Sulla odierna condizione del proletariato e della lotta di classe

Ecco quello che noi veramente scriviamo nell'articolo incriminato_:_

Lavoratori, è ora di alzare la testa. È ora di combattere, combattere, combattere. Non solo per difendere il posto di lavoro, il salario, il suo potere d'acquisto, non solo per avere una vita dignitosa in questa società, ma anche per combattere il sistema capitalistico stesso che si basa sullo sfruttamento, che genera crisi su crisi, che per sopravvivere deve chiudere le fabbriche, licenziare, contenere i salari, affamare milioni di lavoratori pur di continuare ad essere quella perversa macchina che per dare il paradiso a pochi deve condannarne all'inferno molti.

Per noi parlare di lotta di classe e di rivoluzione socialista è un dovere politico, chi scrive per l'Istituto nell'articolo citato afferma che si tratta invece di “appelli patetici”.

Per concludere questa rassegna degli schizzi di sterco sparatici contro dall'Istituto, vale la pena di ricordare il fatto che noi avremmo enormemente sopravvalutato le conseguenze della crisi, tanto da aspettarci una ripresa generalizzata del conflitto di classe radicale, che, com'è sotto gli occhi di tutti, finora non è arrivata. Noi abbiamo sempre sostenuto che non c'è muoversi della classe, non c'è ripresa della lotta di classe, se alla base non c'è la spinta operante della crisi economica, ma abbiamo sempre aggiunto che non tutte le crisi producono una risposta di classe o di settori significativi di essa, o che le risposte possono essere inferiori per intensità alla gravità delle cause che le pongono in essere, proprio perché tra i due fattori, quello determinante e quello determinato, interviene una serie di elementi (che peraltro abbiamo più volte elencata) che complicano le cose: “non si dà ripresa della lotta di classe - che vada oltre le compatibilità del sistema, tutelate dai cani da guardia sindacali - senza crisi capitalistica, ma non ogni crisi capitalistica produce necessariamente la ripresa della lotta di classe” (Fabio Damen). Uno degli ultimi articoli dove abbiamo preso ampiamente in considerazione questo aspetto è stato “Crisi, lotta di classe, partito rivoluzionario”_,_ basta anche solo leggiucchiare tale lavoro per accorgersi che affermiamo praticamente il contrario di quello che ci viene attribuito dall'Istituto: “Ora, come diciamo da sempre, la crisi è la condizione necessaria perché le masse si mettano in movimento, ma non sufficiente” (Prometeo numero 2, 2009) .

Le nostre posizioni sono molto chiare e ribadite di continuo, ovviamente si possono condividere o meno, si possono anche criticare ma etichettarle in modo superficiale e strumentale come movimentiste, antagoniste, riformiste, anarchiche, spontaneiste, lasselliane, meccaniciste è veramente ridicolo; tanto è vero che a questi ambienti politici certamente non risultiamo simpatici.

La vera distanza tra Battaglia Comunista e l'Istituto

A tuttora è impossibile definire l'impostazione politica complessiva dell'Istituto. L'Istituto infatti è nato “criticando” Battaglia Comunista, ma fino ad oggi non si è dotato di una piattaforma politica o almeno di una sorta di documento che descriva chiaramente le proprie posizioni politiche di base. A parte le porcherie (un po' precedentemente descritte), dobbiamo dire che questi due anni di vita dell'Istituto sembrano aver evidenziato la sostanziale distanza di questi ex compagni dalla piattaforma politica di Battaglia Comunista (e della TCI) su una tematica fondamentale. Da quello che scrivono, e ancora di più dalla tipologia di attività che hanno svolto fino ad adesso, esce fuori un modo molto differente di concepire il lavoro dei comunisti oggi e - in generale - sembra emergere un'opposta concezione sul ruolo che dovrebbe svolgere in futuro il Partito internazionale del proletariato.

L'Istituto scrive:

Per parte nostra, non avendo di tali pretese e consapevoli che per un'impresa come quella della costruzione del partito rivoluzionario è necessario l'apporto di ben altre forze e intelligenze*, ci basterà aver dato il nostro contributo nello sforzo di affilare le armi della critica* per poter meglio comprendere la nuova condizione del proletariato affinché possano emergere, in modo sempre più chiaro e distinto, tutti gli elementi formativi di una nitida coscienza di classe senza la quale un'ulteriore e più drammatica sconfitta sarà inevitabile.

Da C'era una volta il proletariato e c'è ancora

Ed ancora, per esempio:

Il compito più immediato di chi ha consapevolezza del reale stato delle cose dunque non può che essere innanzitutto l'approfondimento in tutti i suoi aspetti della conoscenza della nuova condizione di classe e la produzione di un bilancio rigoroso delle passate esperienze nonché una critica spietata delle ragioni delle precedenti sconfitte. Altresì definire, a partire dallo studio dei possibili sviluppi della crisi capitalistica, almeno i tratti i fondamentali e caratterizzanti della possibile alternativa storica (il socialismo)…

L'Istituto quindi afferma_: “_ci basterà aver dato il nostro contributo nello sforzo di affilare le armi della critica”, l'attività dei comunisti ridotta ad una attività di riflessione, bilancio, critica, studio. L'Istituto si accontenta di svolgere un lavoro di critica e di studio, noi no. Il Partito Comunista Internazionalista ha fin dalla sua nascita rigettato un tale tipo di impostazione; visto che questa - non possiamo non evidenziarlo - a cinquant'anni di distanza ricorda non poco quella assunta allora dall'area “bordighista”. I comunisti non devono ridurre mai il proprio lavoro soltanto ad una attività di critica e studio ed Onorato Damen è stato sempre in prima fila a combattere un tale tipo di concezione, in particolare durante gli anni di scontro con l'area politica “bordighista”:

Attestare le forze, pur se modeste, della istanza rivoluzionaria sulle trincee, in parte distrutte, sbrecciate, malsicure, della lotta operaia; attestarle ad una militanza politica attiva e non esclusivamente ad una macchina da scrivere e ad una saggistica che per essere personale è sempre discutibilissima negli intenti come nei risultati.

O. Damen, Battaglia Comunista n.11, 1958

Ed ancora, Onorato Damen e i compagni che ci hanno preceduto, sempre durante gli anni della polemica con i “bordighisti”, scrivevano:

L'affermazione che la stampa è la principale attività del Partito nella fase odierna è da respingere perché porta a confondere uno degli strumenti della lotta con la lotta stessa. La politica del Partito è azione che va condotta nella classe e con la classe, che i rivoluzionari compiono nei limiti delle possibilità materiali anche 'con la stampa', ma non soltanto con la stampa (6).

Ditazione tratta dal libro “Bordiga fuori dal mito”, Onorato Damen

La coscienza rivoluzionaria non nasce spontaneamente dalla lotta rivendicativa di classe, questo è certo. Il processo dialettico che porta alla formazione della coscienza rivoluzionaria ha infatti come presupposto un elemento che è esterno alla spontaneità della classe, ovvero il metodo di analisi marxista della realtà, il programma politico comunista. L'intervento dei comunisti nella classe serve proprio ad agevolare l'incontro della spontaneità di classe con questo elemento politico esterno alla spontaneità. L'elaborazione teorico-politica dell'avanguardia - parte più cosciente della classe - avviene all'esterno della spontaneità di classe ma partendo dalle esperienze prodotte dalla classe nel suo insieme e riportando il risultato dell'elaborazione alla classe stessa, sotto forma di analisi delle situazioni e direzione politica. L'avanguardia politica stessa quindi non nasce e si rafforza spontaneamente dalla lotta di classe, ma certamente si alimenta (deve alimentarsi!) dalla lotta di classe stessa. Il lavoro di crescita dell'organizzazione dei comunisti non può prescindere dall'intervento nella classe, al di là dei limiti numerici e della fase storica. I comunisti non sono fisicamente un elemento esterno alla lotta di classe, devono essere parte della classe nella classe, questo indipendentemente dalla contingenza storica.

Commetteremmo un grave errore se riducessimo i termini della questione alla distinzione rigida tra chi, per non avere ancora maturato la 'coscienza del fine' è solo in grado di elaborare una coscienza tradeunionista e coloro, gli intellettuali della borghesia, che per essere detentori della scienza e della tecnica sono portatori della coscienza socialista, si finirebbe per cadere in una valutazione quanto mai scolastica, fondamentalmente dualistica, lontana perciò da una visione dialettica del problema. Socialismo e lotta di classe, che, anche se sorgenti da premesse diverse, sono tuttavia il risultato dell'intrecciarsi di due momenti necessari di un unico processo, quello delle vicende di classe (7).

Premesso che non sta al partito politico rivoluzionario avanzare rivendicazioni diverse da quella del potere di classe del proletariato, e poiché la lotta economica dei lavoratori, sia pure di difesa, rimane una necessità oltre che un presupposto per lo sviluppo della lotta di emancipazione dal dominio del capitale, il problema delle avanguardie comuniste, i loro compiti e la loro azione, si pongono in questi termini: alle lotte economiche della classe i comunisti partecipano in qualità di avanguardia della classe stessa; si distinguono agitando e propagandando il programma rivoluzionario, per la rottura e il superamento del lavoro salariato; nella misura in cui si attengono a questi compiti, denunciando i limiti del puro rivendicazionismo, entrano in aperto contrasto con l'istituzione sindacale. E' in questo rapporto fra compiti del partito e azione dei militanti all'interno delle lotte operaie che si realizzano le possibilità della trascrescenza politica delle lotte economiche stesse verso lo scontro di potere (8).

Questo è quanto affermiamo nelle nostre tesi, posizione peraltro che sembrava totalmente condivisa dai “critici” dell'Istituto_._

Questo diverso modo di concepire il rapporto tra la lotta di classe e i comunisti sembra consolidarsi ulteriormente quando si passa ad analizzare il ruolo che dovrebbe svolgere in futuro il Partito comunista del proletariato. Su questo punto, come a dire il vero anche su altri, l'Istituto esprime posizioni molto ambigue, contraddittorie. L'aspetto che più di ogni altro ci ha negativamente colpiti è il seguente. Citiamo l'articolo di critica dell'Istituto al resoconto dell'assemblea generale dei militanti di Battaglia Comunista 2009 (9). Nel nostro documento scrivevamo:

I Gruppi di Fabbrica sono gli strumenti di intervento del partito nella lotta di classe, non gli strumenti della lotta di classe stessa. Questi sono e saranno sempre le assemblee proletarie che oggi operano nella lotta di difesa dagli attacchi padronali e domani, se il Partito sarà stato capace di assumerne la direzione, potrebbero costituire la base sia per la costruzione del soggetto della rivoluzione comunista sia per la costituzione degli strumenti del potere proletario. Questa confusione tra forme organizzative nelle quali si esprime la lotta di classe e strumenti che il partito si dà per intervenire in queste, ci sembra ben riassumere la posizione dei compagni di CZ, tutta tesa a sottovalutare sistematicamente le problematiche dell'intervento reale nella classe.

L'Istituto criticherà questo passaggio in tale modo:

Secondo questi compagni, dunque, è dallo sviluppo di organismi di questo tipo che ci si deve attendere sia la nascita del soggetto della rivoluzione comunista ovvero del Partito sia degli organi del potere proletario ovvero il Soviet o la Comune.

Il Partito sarebbe quindi, per l'autore dell'articolo, il soggetto della rivoluzione, una tesi questa per noi improponibile. Il soggetto della rivoluzione è la classe proletaria, il Partito deve costituire il riferimento politico per la classe. La rivoluzione è un atto che deve compiere la classe, il potere proletario lo deve esercitare la classe e questo attraverso i propri organismi: i “Consigli” e i meccanismi di centralizzazione di questi. Il Partito - parte più cosciente della classe - non può sostituirsi alla classe nella sua interezza, questo vale ovviamente per la ripresa della lotta di classe quanto per il processo rivoluzionario di abbattimento del capitalismo.

Le contraddizioni sono di classe a classe e non di partito a partito, perché infine la forza di eversione dialettica è la classe e non il Partito. Il Partito sensibilizza e potenzia, rende cosciente e guida all'azione rivoluzionaria. In questo senso il partito è parte della classe nella classe, non fuori della classe e distinto da questa. Il rovesciamento dialettico è operato dalla classe nel suo insieme, non dal partito in funzione della classe; solo che non avverrebbe il passaggio dalla classe in sé alla classe per sé dove questa mancasse del suo centro nervoso di preparazione e di guida che è poi il Partito (10).

l comunisti, il Partito, intervengono nella classe con i propri strumenti (militanti, sezioni, gruppi di fabbrica e territoriali…) ma non sono gli strumenti politici di Partito a rappresentare la lotta di classe proletaria e non saranno questi gli organismi attraverso i quali si esprimeranno l'azione rivoluzionaria e la dittatura del proletariato. La lotta rivendicativa di classe si esprime attraverso comitati di sciopero e agitazione, attraverso le assemblee dei lavoratori, attraverso organismi che la classe può darsi indipendentemente dalla presenza dei comunisti, in questi i rivoluzionari devono essere parte attiva e intervenire con i propri strumenti politici, con il proprio lavoro. Gli organismi attraverso i quali si dovranno esercitare azione rivoluzionaria e potere proletario saranno i “Consigli” (i Soviet o come questi si chiameranno..) della classe, questi matureranno solo grazie all'intervento dei comunisti nella classe con l'opportuno lavoro e gli adeguati strumenti di Partito. Per chiarire questo aspetto, continuiamo a citare le nostre Tesi congressuali del 1997:

10. Come è dimostrato dai più significativi, e rari, episodi di lotta della classe operaia in questi ultimi decenni, i più efficaci strumenti organizzativi -- ancora una volta riproposti dai lavoratori stessi -- hanno assunto le forme assembleari dei comitati di agitazione e di sciopero o dei consigli, che, in prima istanza si sono sempre dati come momento di rottura con le strutture sindacali esistenti. Questi organismi di base concludono inevitabilmente la loro funzione col finire stesso della lotta. Non è un caso che siano stati sempre, finora, sostituti nelle fasi conclusive e “trattativistiche” della lotta, da organismi propriamente sindacali. Ma è proprio dalla esperienza del loro porsi in essere e della loro fine che i comunisti possono trarre i motivi della agitazione e propaganda rivoluzionaria: non è la contrattazione col capitale che può cambiare il rapporto fondamentale fra le classi; l'originaria spinta alla lotta deve giungere all'attacco complessivo al capitale. Continuità di classe e risultati politici concreti delle singole esperienze nel senso della prospettiva rivoluzionaria non significano rendere permanenti - attraverso la pratica sindacalista - gli organismi economici operai, ma conquistare i lavoratori più sensibili al programma e alla politica rivoluzionaria, acquisendoli alla milizia rivoluzionaria organizzata.
11. La maturazione della situazione rivoluzionaria sarà segnata dall'orientamento esplicitamente anticapitalista e rivoluzionario di questi organismi, che, allora, prenderanno le caratteristiche dei consigli operai capaci di trascrescere da organismi di lotta anticapitalista a organismi del potere proletario.
L'orientamento anticapitalista e rivoluzionario non si afferma spontaneamente, senza cioè l'intervento attivo e organizzato dei militanti rivoluzionari. Ed è per questo che le singole esperienze degli organismi di lotta possono segnare passi avanti nella strategia rivoluzionaria: in quanto possono sedimentare e aggregare forze che dovranno svolgere il ruolo di orientamento e di direzione dei consigli nella fase di attacco.

Ci sentiamo quindi di ribadire quanto sopra già citato:

Questa confusione tra forme organizzative nelle quali si esprime la lotta di classe e strumenti che il partito si dà per intervenire in queste, ci sembra ben riassumere la posizione dei compagni di Catanzaro, tutta tesa a sottovalutare sistematicamente le problematiche dell'intervento reale nella classe.

Una confusione che conduce addirittura l'Istituto ad affermare che il Partito sia il “soggetto della rivoluzione.

Una confusione che poi scade nel ridicolo quando - rispetto a queste questioni centrali per un'organizzazione che vuole essere rivoluzionaria - quello che sanno dire è il “non sconsigliare” la lotta di classe o il “non avere paura”:

Però a chi ci dovesse chiedere 'che fare?' possiamo rispondere solamente di non aver paura di quanto il capitale sta preparando perché di li si dovrà comunque passare. Questa paura lo porterebbe appunto al volontarismo, al movimentismo od addirittura a pensare che la sua lotta possa riequilibrare la società. Lungi da noi lo sconsigliare la lotta di classe [sottolineature nostra, ndr], ma quel che ci preme indicare è che quella non paura dovrebbe saldarsi alla ricerca pratica della validità e delle ragioni storiche del comunismo.

Dopo i referendum, per i lavoratori è tutto come prima, anzi peggio, 12 luglio 2011, sito dell'Istituto

Che contraddizione: dopo averci sputato addosso la qualifica di movimentisti, spontaneisti e via dicendo, dopo aver fatto del partito il soggetto della rivoluzione, mettono tutti e due i piedi nella palude del più trito spontaneismo, lasciando all'estro del proletariato il compito di ricercare la “validità e delle ragioni storiche del comunismo”.

Sulla questione della caduta del saggio medio del profitto

Non abbiamo intenzione di ripercorrere la lunga polemica sulla caduta del saggio del profitto, polemica che, come dicemmo due anni fa, sarebbe potuta essere un'ottima e interessante occasione di approfondimento teorico per tutto il partito; mentre invece i futuri membri dell'Istituto la rotearono come una clava sul partito medesimo. In breve, una delle questioni era se l'aumento della produttività collegata al plusvalore relativo fosse una controtendenza o meno. E' noto che Marx, dialetticamente, la pone come un fondamentale elemento propulsore dell'accumulazione e, allo stesso tempo, il più potente acceleratore della caduta del saggio medio del profitto. I membri dell'Istituto, a nostro modo di vedere, non sono riusciti a superare quel “pons asini” teorico su cui si è arenata la stessa economia politica borghese; vedi la lettera di Marx a Engels del 30 aprile 1868:

III. Tendenza alla diminuzione del saggio del profitto nel progredire della società. Questa risulta già da quanto è stato svolto nel I libro sul mutamento della composizione del capitale parallelo allo sviluppo della forza produttiva sociale. Ed è questo uno dei maggiori trionfi sul pons asini di tutta l'economia passata.

Un assaggio lo si può trovare in un articolo dell'Istituto già citato:

"Per i neo riformisti, la possibile alternativa a tutto ciò è quello che è stato definito un fronte di conflitto sociale di non comune ampiezza e cioè la lotta sociale. Questo per il fatto che l'aumento della produttività del lavoro non viene considerata come la soluzione del problema ma l'aggravamento dello stesso perché questo aumento, invece di incrementare il saggio medio del profitto, produce l'effetto contrario.” (Dopo i referendum per i lavoratori è tutto come prima, anzi peggio”)

Illusioni e successivi tradimenti riformisti a parte, un'ampia e radicale lotta di classe storicamente ha, in qualche caso e momentaneamente, costretto davvero il capitale a una diversa politica ridistributiva, per addormentare prima e soffocare poi un conflitto sociale che rischiava di andare fuori controllo (vedi il Fronte Popolare francese e il New Deal rooseveltiano), dai Grundrisse al Capitale, passando attraverso le Teorie sul plusvalore, Marx ha martellato il concetto che da un certo momento in poi, lo sviluppo della produttività in regime di plusvalore relativo, poiché implica un enorme aumento della composizione organica del capitale, non riesce più a compensare tale innalzamento e, quindi, i suoi effetti deprimenti sul saggio del profitto, pur in presenza di un aumento del saggio del plusvalore. Giusto per dare un riferimento, tra i tanti, riportiamo questo brano da Il Capitale, Libro III, capitolo 14 (Cause antagonistiche), ultimo paragrafo (Il commercio estero):

La caduta tendenziale del saggio del profitto è collegata con un aumento tendenziale del saggio del plusvalore, ossia del grado di sfruttamento del lavoro. Nulla di più assurdo, allora, che spiegare la diminuzione del saggio del profitto con l'aumento del saggio dei salari, quantunque anche questo fatto possa presentarsi in via eccezionale. [...] Esso [il saggio del profitto] diminuisce non perché il lavoro diviene meno produttivo, ma perché la sua produttività aumenta. L'aumento del saggio del plusvalore e la diminuzione del saggio del profitto non sono che forme particolari che costituiscono l'espressione capitalista della crescente produttività del lavoro.

Ma si può vedere anche questo:

Il saggio di profitto cade - benché il saggio del plusvalore resti invariato o salga - perché, con lo sviluppo delle forze produttive del lavoro, il capitale variabile diminuisce in rapporto al capitale costante. Esso cade, dunque, non perché il lavoro diventa meno produttivo, ma perché diventa più produttivo. Non perché l'operaio viene sfruttato di meno, ma perché viene sfruttato di più, sia che il plusvalore assoluto cresca, o che, non appena lo Stato lo impedisca, il valore relativo del lavoro diminuisca e quindi cresca il plusvalore relativo, ciò che è identico per la produzione capitalista.

Da Storia delle teorie economiche, Teorie sul plusvalore

D'altronde, tanti anni fa, uno dei soci dell'Istituto scriveva su Battaglia Comunista n.3/1972:

Il capitale costante aumenta sempre più del capitale variabile. FINTANTOCHE' ESISTE UNA FORZA SOCIALE COLLETTIVA CHE TENDE A FAR AUMENTARE LA PRODUTTIVITA' DEL LAVORO, IL SAGGIO DEL PROFITTO DEVE SEMPRE SCENDERE [maiuscolo dell'autore, ndr].

Esattamente il contrario di quello che sostengono adesso, a parte il termine criptico di “forza sociale collettiva” e di quel “sempre” che è metodologicamente errato. Le sbavature a poco poco sono lievitate, tant'è vero che tempo dopo, sempre lo stesso autore scriveva su BC n.7/1984: “In passato, l'introduzione massiccia di tecnologie nei processi produttivi, mentre, tendenzialmente riduceva il saggio del plusvalore [Marx dice l'opposto: sta qui il rapporto dialettico della produttività _con il plusvalore relativo], e con esso quello del profitto medio...”. Insomma, di sbavatura in sbavatura siamo arrivata alle ultime_ “scoperte” _dell'Istituto che magari ha anche tutto il diritto di far, purché_ non le attribuiscano a Marx, né _pretendano - con l'abituale saccenteria - di distribuire patenti di asinità_ a destra e a manca.

“Battaglia Comunista la conclusione di una storia”

È questo il titolo dell'ultimo lavoro di critica realizzato dall'Istituto. In questo articolo l'Istituto non fa altro che confermare quanto già sopra abbiamo esposto. Oggetto della critica questa volta non è un documento di Battaglia Comunista, ma della “Commissione lavoro di Roma” che noi abbiamo inserito sul nostro sito web.

Ricostruiamo un attimo i fatti per rendere la cosa più chiara al lettore. Come tutti sapranno nel mese di maggio si è sviluppato in Spagna un movimento spontaneo (ovvero non controllato sostanzialmente da nessuna realtà organizzata riformista, istituzionale o sindacale) denominato “Indignados”. Questo fenomeno è stato analizzato da noi nell'articolo “Gli indignados in piazza, per ora senza la giusta rabbia proletaria” (11); articolo che, guarda caso, l'Istituto non menzionerà. Tale movimento si è riprodotto - in modo molto meno consistente - in altre nazioni europee e anche in alcune città italiane, Roma forse è stata la città dove tale fenomeno spontaneo ha avuto maggiore rilievo. Spontaneità significa muoversi fuori, e spesso palesemente contro, partiti istituzionali, sindacati e riformismo organizzato. Questo non significa muoversi completamente fuori dall'ideologia dominante ovvero su un piano rivoluzionario comunista. Anche perché un movimento spontaneo non può spingersi - nella sua totalità o nelle individualità - fino ad una maturazione comunista senza avvicinarsi al metodo marxista, l'intervento dei comunisti serve proprio a questo.

Innanzitutto nell'articolo l'Istituto ripropone il consueto lavoro sporco fatto di deformazione ed etichette. Per esempio, l'autore scrive:

Chiediamo ora noi ai compagni di Battaglia Comunista di spiegarci la differenza che passa tra queste parole d'ordine e quelle della FIOM? A noi sembrano identiche, a meno che non ci sia sfuggito qualcosa del loro ragionamento.

Sì, all'autore sono sfuggite, volutamente, parecchie cose, una su tutte, citiamo dal documento della “Commissione lavoro”:

Pensiamo che l'unica forma di organizzazione che possa permettere al lavoratore di rialzare la testa, stimolando il suo protagonismo, sia quella assembleare… superino la delega della difesa dei nostri interessi data a sindacalisti e politicanti.

Questo comitato di agitazione nasce fuori e contro ogni sindacato, porta avanti una radicale critica alla forma-sindacato stessa. Il documento in realtà è nel suo complesso molto interessante (ovviamente ha dei limiti ma non potrebbe essere altrimenti) ma è proprio questo aspetto - l'essere fuori e contro realtà sindacali, organizzazioni riformiste e istituzionali - che rende la “Commissione” un ambito privilegiato di intervento. Invitiamo il lettore a leggere sul nostro sito il documento redatto dalla “Commissione lavoro” e a chiedersi: se non in un ambito del genere in quali realtà i comunisti dovrebbero intervenire? Ricordiamoci che non sono i comunisti che scelgono le realtà dell'intervento, ma, al contrario, è il muoversi reale del movimento che impone l'intervento dei rivoluzionari.

Lavoro sporco a parte, la questione centrale è che l'Istituto continua a confondere strumenti di intervento dei comunisti e ambiti di lavoro. Cosa fare di fronte ad un fenomeno del genere? Su questo l'Istituto tace. Critica Battaglia Comunista ma allo stesso tempo si dimentica di analizzare la realtà degli “Indignados” spagnoli e di spiegarci che tipo di lavoro devono svolgere i comunisti in situazioni del genere. Secondo noi in queste realtà - prime espressioni confuse della rabbia proletaria e giovanile - bisogna intervenire. I nostri giovani compagni di Roma sono intervenuti alle assemblee non accodandosi ai limiti della spontaneità, ma cercando di diffondere una visione comunista e rivoluzionaria, scontrandosi ovviamente con altre realtà politiche presenti. Gli interventi dei nostri compagni hanno agevolato la formazione di un comitato di agitazione - “Commissione lavoro” - che ha da subito avuto come riferimento non tanto il movimento romano degli indignati, quanto invece il mondo del lavoro. La “Commissione” ha iniziato a svolgere un'attività su diverse realtà lavorative, ha riscosso da subito la simpatia e la partecipazione di alcuni lavoratori. Ribadiamo, questo non è uno strumento politico nostro, ma è un ambito di lavoro, un comitato di agitazione che coinvolge giovani e lavoratori, nel quale i nostri compagni stanno intervenendo attivamente. I nostri strumenti in questo caso sono stati i nostri stessi compagni, la nostra sezione di partito.

Non si è trattato quindi di un appiattimento delle nostre posizioni e di una bovina forma di codismo dinanzi ad una realtà apparentemente nuova come quella del movimento assembleare degli Indignati romani. Al contrario, si tratta di un intervento volto a mettere in discussione in piazza le nostre argomentazioni politiche, quindi sfruttare l'ottimale modalità di piazza, che contraddistingue questo movimento. Mai abbiamo fatto commercio delle nostre posizioni né annacquato il contenuto dei nostri interventi . Non abbiamo mai nascosto, anzi, la necessità di adoperare il bagaglio storico-politico della lotta di classe e di combattere per il reale superamento di questa società capitalista.

Dunque, volendo fare un discorso più generale, il partito non si rinchiude in una torre isolata per non sporcarsi le mani, ma cerca di affrontare la realtà così come si presenta: non possiamo scegliere le situazioni a nostro piacere, anche se spesso in esse contraddittoriamente il proletariato si dibatte cercando una via d'uscita, attraverso esperienze spesso anche negative. Starà ai comunisti di oggi e di domani indicargliele come tali al fine di ricavarne gli insegnamenti indispensabili per riconfermare sia le posizioni rivoluzionarie sia la giusta strada politica da percorrere (tattica e strategia). La spontaneità si muoverà su un terreno limitato, non rivoluzionario, ovvio; anche perché altrimenti a che cavolo servirebbero i comunisti? Riconoscere questo, tener conto di questo, non significa certamente non intervenire nei movimenti spontanei di oggi e di domani.

Gli indignati di Roma e la “Commissione lavoro”

Tanto per chiarezza proseguiamo con una descrizione più accurata di questo movimento, qualora il lettore non ne fosse informato a sufficienza. Non si tratta affatto di esaltare lo spontaneismo bensì di dimostrare in quale misura questo movimento permette ai rivoluzionari un intervento.

Il movimento degli Indignati è andato a configurarsi a Roma come una assemblea “generale” in cui discutere vari temi, dunque un' assemblea che offre moltissime occasioni per l'intervento politico. Si tratta quindi di un luogo aperto in cui abbiamo la possibilità di far valere le nostre prese di posizioni politiche rispetto a tutte le manifestazioni dell'oppressione borghese per «come si esercita sulle più diverse classi della società, nei più diversi campi della vita e dell'attività professionale, civile, privata, famigliare, scientifica etc.» (“Che fare?”, Lenin). Non adempiremmo quindi al nostro compito di rivoluzionari intervenendo in questo momento assembleare? Il contrario! E, in generale, non intervenire perché non si reputa una realtà sufficientemente matura, o perché presenta elementi interclassisti, è opportunismo di ritorno e mostra tutta l'incapacità ad affrontare le questioni dell'intervento comunista.

A questa assemblea generale inoltre spesso si sono affiancate delle assemblee di quartiere nelle quali discutere problematiche relativi ai disagi locali. Quindi non si cerca di etichettare per battaglie comuniste quelle che sono forme embrionali di spontanee lotte rivendicative, bensì si cerca di intervenire in queste lanciando l'alternativa rivoluzionaria a questa società. Si tratta di un lavoro politico di agitazione che volge a mettere in evidenza le contraddizioni.

Venendo alla Commissione lavoro, tanto per essere chiari, e se mai ce ne fosse bisogno, ricordiamo al lettore che non ci «siamo dimenticati di essere comunisti» e non «siamo diventati sindacalisti» (sic!). La Commissione Lavoro è un ambito che nasce avendo come punto di partenza la critica alla forma-sindacato, nelle riunioni si raccolgono le contraddizioni del mondo del lavoro (è questo il vero significato della “raccolta dati”), si riportano le esperienze dei lavoratori che vi partecipano e ci si organizza per la difesa delle proprie condizioni, fuori e contro i sindacati. Tutto ciò non sarebbe motivo di interesse particolare per noi internazionalisti se non si discutesse anche del senso dello sfruttamento capitalista, del motivo per cui questo sistema entra strutturalmente in crisi, della necessità del superamento di questa società, di comunismo. Si tratta dunque di una piccola realtà dove ci si organizza per la difesa delle condizioni di lavoro, si discute delle prospettive politiche di classe e della necessità di una organizzazione politica del proletariato. Tutto questo non è stato ancora raccontato a sufficienza per il semplice motivo che è in divenire, ma si può naturalmente ricavare dalla vivacità della discussione che emerge dai verbali nel blog della Commissione Lavoro. Lungi quindi dal voler creare un proto-sindacato, come ci viene imputato, si lavora al contrario per la costruzione di gruppi internazionalisti territoriali!

L'irresponsabilità delle dichiarazioni dell'I_stituto_ sono evidenziati dal tono iper-polemico, distruttivo, che dimostra con chiarezza l'intento esclusivamente diffamatorio, invece che chiarificatore. La paranoica ricerca di un cambio di rotta in Battaglia Comunista serve solo a giustificare la loro sconsiderata scelta di rinunciare al Partito Comunista Internazionalista per diventare un Istituto, di rinunciare alla lotta di classe per l'arma della “critica”.. Invece di calunniare la nostra organizzazione, potrebbero argomentare meglio la necessità di un Istituto o descrivere il loro lavoro anziché criticare quello degli altri, questo magari potrebbe aiutarli a impiegare meglio il tempo.

Dopo più di due anni, visto il lavoro di calunnia e diffamazione, siamo stati costretti a stendere questo ulteriore documento, per difendere la nostra organizzazione. Fatto questo, riprenderemo a ignorare (definitivamente…) i futuri lavori di “critica” dell'Istituto. Anche perché le cose da fare sono tante e ben più importanti. La nostra organizzazione sta attraversando un periodo molto vivo e - forte del bagaglio politico lasciatoci da chi ci ha preceduto - si trova ad affrontare una grossa sfida, quella di saper crescere. Stiamo riscuotendo interesse soprattutto tra i giovani, avviliti dalla mancanza di futuro, così come si stanno aprendo nuovi spazi di intervento per i comunisti. La sfida è quella di crescere principalmente con questi giovani, trasmettendo loro il metodo di analisi ed azione proprio del Partito Comunista Internazionalista.

Studiare, propagandare, organizzare. Il nostro lavoro sarà fatto di analisi teorica quanto di prassi di intervento, l'una non può essere distaccata dall'altra. Coscienti di non essere infallibili, avremo l'obbligo di valutare volta per volta il nostro operato, modi e strumenti che mettiamo in campo per intervenire, correggendo gli eventuali errori, affinando così la nostra capacità di lavoro. Su questa strada proseguiamo, senza esaltazioni, coscienti del nostro ruolo, per la crescita politica e organizzativa del proletariato, per il Partito internazionale della classe, per il comunismo.

NZ

Articolo correlati:

Un po' di chiarezza sulla nascita dell'"Istituto Onorato Damen.

“A proposito degli ultimi, dolorosi, avvenimenti”, resoconto dell'assemblea dei militanti 2009.

(1) In seguito alla attività disfattista praticata, al rifiuto di partecipare alle attività, alla costituzione di questo Istituto, alla mancata partecipazione all'assembla generale dei militanti (da loro inoltre precedentemente richiesta), l'assemblea stessa - in mancanza di espliciti dimissioni - non poté fare altro che decretarne la formale espulsione. In questo articolo eviteremo di commentare di nuovo la nascita dell'istituto di CZ, per tali considerazioni rimandiamo all'articolo “Un po' di chiarezza sulla nascita dell'"Istituto Onorato Damen", che trovate sul nostro sito web.

(2) Entrambi si trovano sul nostro sito, alla fine dell'articolo riportiamo i collegamenti web a questi due precedenti lavori.

(3) Potete trovarlo sul loro sito web, così come tutti i documenti dell'Istituto citati in questa nota.

(4) A parte l'inventata “panacea di tutti i mali”, l'indicazione della necessità dell'autorganizzazione delle lotte è da sempre presente dei nostri documenti, Statuto compreso, e sembrava peraltro sostanzialmente condivisa finché erano all'interno dell'organizzazione

(5) “Breve bilancio di un anno di attività”, articolo sul sito web dell'Istituto.

(6) Che beffa ha riservato il destino alla figura politica di Onorato Damen oggi accostata ad un Istituto che su tematiche centrali (l'attività dei comunisti, il rapporto Partito-classe) propone una impostazione politica da Onorato Damen sempre rifiutata e combattuta. Tanto è vero che, in seguito alla famosa scissione “bordighista” del 1952, O. Damen e tutti i compagni del Partito Comunista internazionalista hanno dovuto subire essi stessi l'uso di etichette, frasi vuote e insulti non molto differenti da quelli che oggi ci riserva L'Istituto. Una delle accuse preferite dei *“bordighisti”* era allora quella di *“disprezzare il lavoro teorico”* accontentandosi della *“praticaccia organizzativa”, di essere* “maniaci dell'attivismo”, *dediti all'”attivismo spaccone e inconcludente”. Oggi la parola* “attivisti” *viene sostituita con la più* moderna *“movimentisti”* ma la sostanza poco cambia.

(7) Da “Spontaneismo e ruolo della personalità” testo contenuto nella “Premessa” del libro “Gramsci tra marxismo e idealismo”. In questo lavoro O. Damen, stimolato anche dalla polemica con i “bordighisti” su questo tema, chiarisce proprio tale aspetto (il rapporto tra la genesi dell'avanguardia comunista e la lotta di classe, il ruolo dei comunisti) analizzando parti del “Che fare” di Lenin.

(8) Battaglia Comunista, Tesi congressuale, Milano 1997

(9) “A proposito degli ultimi, dolorosi, avvenimenti”, resoconto dell'assemblea dei militanti 2009, reso successivamente pubblico.

(10) Onorato Damen, citazione tratta da "Bordiga fuori dal mito".

(11) Sul nostro sito web in diverse lingue.