Elementi di riflessione sulle crisi della CCI

Ci troviamo di fronte a una nuova, ennesima, crisi politico-organizzativa della CCI di cui non si conoscono ancora le conclusioni. Esso si presenta in un momento delicato della dinamica capitalista da una parte e del movimento proletario dall'altra. In campo borghese la marcia verso la guerra ha appena subito una potente accelerazione con l'iniziativa bellica degli Usa occasionata dall'attentato alle Twin Towers; in campo proletario, l'Argentina ha presentato il primo grande episodio di rivolta di classe che nonostante o proprio in forza dei suoi grandi limiti, pone enormi problemi alle avanguardie proletarie e a quanti si pretendono tali.

Il Bureau, contemporaneamente alla redazione di questo documento, sta diffondendo a scala internazionale un documento/manifesto sugli eventi argentini che vuole essere, oltre che un richiamo alla urgenza del partito internazionale, un appello alla serietà da parte di tutte le pretese avanguardie di classe.

Di fronte a ciò, cosa fa la CCI? A quanto ci risulta, invece di mettere allo studio e alla discussione gli eventi macroscopici che si propongono al proletariato internazionale, convoca riunione plenarie per... regolare i suoi guai organizzativi e si impegna in ogni sorta di pratiche per contrastare le sue interne dissidenze, compresa quella di scrivere a tutto il preteso milieu per denunciarle.

Non può competere a noi di assegnare ragioni e torti nelle querelles organizzative/disciplinari della CCI. Ci limitiamo a constatare che esse occorrono - e non è la prima volta - nel momento in cui la realtà dei rapporti economici e sociali e della loro dinamica rimette in questione i fondamenti metodologici e teorici della CCI stessa.

È naturale, inevitabile, che una organizzazione politica il cui impianto metodologico e politico la pone al di fuori del materialismo storico e non in grado di spiegarsi la successione degli eventi del "mondo esterno", sia portata a chiudersi a riccio, a difesa di se stessa come organizzazione, tendendo così a esasperare gli aspetti formali dell'organizzazione e della militanza e conseguentemente le diffidenze e le tensioni personali.

Ricordato questo, non ci resta che verificare l'erroneità di quell'impianto.

Possiamo iniziare da quando il P.C.Int convocò le Conferenze Internazionali della Sinistra Comunista (1976) che valsero, fra le altre cose, a evidenziare la profondissime divergenze fra la CCI e le organizzazioni che di lì a poco avrebbero dato vita al Bureau.

Fra queste divergenze ricordiamo quelle sui temi chiave: - analisi della crisi capitalista, concezione dei periodi storici, fase di transizione, ruolo e funzione del partito.

Circa l'analisi della crisi, noi denunciammo già allora l'estraneità della CCI al metodo marxista, malamente coperta da una formale adesione alla teoria luxembughiana dell'esaurimento dei mercati precapitalistici, ma che si palesava in una evidente incapacità di spiegare i fenomeni relativamente nuovi della sopravvivenza capitalista, riassumendoli comodamente tutti nel concetto tanto universalistico quanto confuso di decadenza.

Come vedremo, da qui discesero poi le altrettanto comode ma inconsistenti generalizzazioni di "disgregazione e caos" con le quali si pretende oggi di spiegare ogni singolo fenomeno, dalla guerra di Afghanistan alla rivolta argentina.

La concezione schematica dei periodi storici, che appartiene storicamente alla corrente originale della sinistra comunista francese, che fu successivamente all'origine della CCI, definisce i periodi storici in rivoluzionari e controrivoluzionari sulla base di astratte considerazioni sulla condizione della classe operaia. Così per la Gauche comuniste era sbagliato (addirittura opportunistico) costituire il Partito Comunista Internazionalista d'Italia nel 1943, nel corso della II guerra imperialista, perché si era in pieno periodo controrivoluzionario; questo periodo controrivoluzionario sarebbe finito, per la CCI delle Conferenze Internazionali, nel 1968, seguito dunque da un periodo ormai chiuso alla guerra imperialista e aperto invece alla rivoluzione proletaria. Il proletariato "non sconfitto" era di nuovo in piedi "non disposto a lasciarsi irreggimentare per la guerra" e in grado dunque di impedire la soluzione borghese alla non meglio definita crisi. Poco importa che nella condizione di pace delle metropoli si conducessero in giro per il mondo micidiali guerre locali in cui masse proletarie, semiproletarie e sottoproletarie si massacravano e si facevano massacrare in nome dei mandanti imperialisti; poco importa che il proletariato a scala mondiale (nelle periferie come nelle metropoli) stesse subendo senza praticamente reagire uno dei più poderosi attacchi da parte del capitale al suo salario e alle sue condizioni di vita, quale una delle misure di controtendenza alla crisi (da caduta del saggio di profitto); per la CCI, il proletariato era in piedi a fermare la guerra!

La implosione del blocco sovietico mutava un poco la situazione: secondo la CCI, mentre il proletariato restava imbattuto a impedire che il mondo precipitasse nella guerra, la rottura degli equilibri imperialisti della guerra fredda è "sfociato in un fenomeno di decomposizione generalizzata, di putrefazione in piedi della società" (da "La décomposition, phase ultime de la décadence du capitalisme" Rev.Int. 62) ovvero in una successione di convulsioni violente, nelle quali esplodono gli appetiti di tutti gli stati, grandi e piccoli. Ecco la decomposizione, nel quadro della quale si fa rientrare di tutto e di più.

È esattamente l'uso di questi concetti generali, da parte della CCI, nei quali essa vuole costringere la realtà, che significativamente avvicina la CCI a quel San Bruno (Bauer) che

come tutti i filosofi e ideologi prende i pensieri, le idee, la espressione concettuale, resa autonoma, del mondo esistente per il fondamento di questo mondo esistente

@Marx Engles "L'ideologia tedesca" II San Bruno

È dunque evidente che con questo metodo - che scambia la realtà con I'arbitaria espressione concettuale di questa - non si contribuisce all'armamento del proletariato con l'arma della critica, né si dota la stessa propria organizzazione degli strumenti di confronto vitale con la realtà.

Tornando al concetto madre di decadenza, torniamo a sottolineare che esso ha senso solamente se riferito allo stato generale della società, ma non ha alcun senso se riferito alla capacità di sopravvivenza del modo di produzione. In altri termini non si può parlare di decadenza intendendo con questa una presunta incapacità crescente del capitalismo di far succedere a un ciclo di accumulazione un altro. Ci si può anche spingere a considerare come fenomeno della "decadenza", la abbreviazione delle fasi ascensive della accumulazione, ma è proprio la esperienza di questo ultimo ciclo di accumulazione a dire che ciò (la brevità della fase ascensiva) non comporta necessariamente l'accelerazione del ciclo completo accumulazione/crisi/guerra/nuova accumulazione. Quale ruolo riveste dunque il concetto di decadenza sul terreno della critica dell'economia politica militante, sul terreno cioè della analisi accurata dei fenomeni e delle dinamiche del capitalismo nella fase che si vive? Nessuno. Tant'è che la parola stessa non compare mai, dicesi mai, nei tre volumi di cui si compone Il Capitale.

Non è con il concetto di decadenza che si spiegano i meccanismi della crisi né, tanto meno, si può denunciare il rapporto fra la crisi e la finanziarizzazione e il rapporto fra questa e le politiche delle superpotenze per il controllo della rendita finanziaria e delle sue fonti.

Appare dunque quantomeno singolare, e comunque fuorviante sul terreno politico, derivare da un concetto di per sé impreciso ed estraneo alla critica dell'economia politica un altro concetto - a questo punto del tutto astratto - quale quello di "decomposizione e caos".

Stabilito che questi concetti sono estranei al metodo e all'armamentario della critica dell'economia politica, un malinteso senso della agitazione e propaganda rivoluzionaria potrebbe accettare questi concetti come elementi utili di denuncia del capitalismo, che è a sua volta necessaria per l'organizzazione delle avanguardie di lotta. Ma si tratterebbe di una concezione del tutto errata della agitazione e propaganda, come basi dell'organizzazione delle avanguardie rivoluzionarie.

Le avanguardie devono essere armate della critica dell'economia politica, della comprensione e degli strumenti reali di denuncia dei meccanismi veri del capitalismo, delle sue reali contraddizioni perché in esse risiede il fondamento della sua infamia.

Ruolo e funzione del partito costituiscono l'altro grosso nodo di divergenza fra noi e la CCI in tutta la sua storia.

In realtà la CCI ha mutato molte delle posizioni specifiche riguardo il partito. È anzi proprio a seguito della prima svolta che si verificò la prima significativa scissione nel nucleo fondatore della CCI, con la nascita della FECCI (ora Internationalist Perspectives).

L'altra svolta (da altri definita leninista) della CCI in tema partito ha implicato l'avvio della cosiddetta lotta al clan-ismo, allo spirito di circolo ecc. nell'ambito della quale si è verificata la fuoriuscita di un altro membro fondatore (RV). Caratteristica di questa svolta fu il ricorso a certi aspetti delle tesi leniniste nel corso del Congresso del 1903 del Posdr e alla polemica Lenin-Martov. Paradossalmente, a quei temi e a quelle polemiche avevamo fatto ricorso noi a sostegno della nostra concezione del partito nel corso della II Conferenza Internazionale contro il consiliarismo di fondo della CCI.

Ora la lettera del 6/2 della Cci fa ancora riferimento a quel Congresso per paragonare l'attuale comportamento della FI a quello dei menscevichi di allora.

Pensiamo di cogliere nel segno se affermiamo che la svolta "partitista" della CCI rientra nella logica del chiudersi in se stessa, a riccio, nel momento in cui la vita reale del capitalismo smentisce e ridicolizza senza possibilità d'appello i suoi schemi astratti sui temi maggiori di cui abbiamo detto sopra.

Non si spiega altrimenti la natura "leninista" della CCI da una parte e il suo contemporaneo rifiuto della concezione marxista, prima ancora che leninista, della dittatura del proletariato. La CCI infatti considera la dittatura del proletariato come una realtà differente ed esterna allo stato del periodo di transizione. Per la CCI, la organizzazione dei consigli operai e dei loro delegati non costituirebbe il tessuto reale dello stato operaio, bensì lo strumento di controllo di uno stato altrimenti costituito. Francamente non sappiamo di eventuali variazioni rispetto alla posizione originale con cui avemmo modo di polemizzare nell'ormai lontano 1979 (vedi "Elementi per la critica alla risoluzione della CCI sul periodo di transizione" in Prometeo IV Serie n3, dicembre 1979), ma allora le posizioni erano sintetizzabili in una frase della risoluzione citata: "Esso (stato) non può identificarsi con nessuna classe dominante, perché non esiste una tale classe nella società nel periodo di transizione". Questo significa in buona sostanza che per la CCI:

  • lo stato di transizione non è la dittatura del proletariato;
  • lo stato di transizione... transita al socialismo per forza e virtù dello spirito santo, qui meglio incarnato dalla alleanza fra tutte le classi non sfruttatrici, che a pari livello, senza che una conti più dell'altra, stanno anche alla pari della residua borghesia;
  • la stessa dittatura del proletariato cessa da ogni ruolo dittatoriale (tipico di chi domina).

È per noi evidente che con questo la CCI si era posta sin da allora fuori dalla tradizione della Sinistra Comunista, nonostante le sue conclamate rivendicazioni, e che quelli sono i punti e i problemi con i quali devono "fare i conti" coloro che dall'interno vivono gli stati di crisi di quella organizzazione. Altrimenti continuerà a verificarsi quello che si è fin qui verificato con le crisi della CCI (e che la fanno somigliare drammaticamente a Programma comunista, madre da parte sua di molteplici filiazioni tutte rivendicanti la ortodossia bordighista): il sorgere di nuovi gruppi in polemica con la Cci accusata di tralignare dalle sue... origini.

BIPR