No alla concertazione, si alla lotta di classe!

Sciopero generale

L'attacco violentissimo, globale, che padroni e governo vanno portando contro tutto il mondo del lavoro salariato/dipendente è diretto a completare il lavoro dei precedenti governi che avevano in gran parte già demolito lo "stato sociale" (cioè, il salario indiretto e differito) e spianato la strada alla precarietà senza freni, al sottosalario, allo strapotere padronale. Dopo la flessibilità in entrata, padronato e governo stanno imponendo la flessibilità in uscita, vale a dire la possibilità di licenziare come e quando gli pare, senza il pur debole ostacolo dell'articolo 18. Il Patto per l'Italia, prontamente firmato da CISL e UIL, è "solo" un altro passo su questa strada. Infine, la nuova legge sull'immigrazione peggiora fortemente le già difficili condizioni di esistenza del proletariato immigrato. Ma più sfruttamento e oppressione per gli immigrati vogliono dire maggiore sfruttamento e maggiore oppressione per tutti i lavoratori.

Di fronte a un attacco di questa gravità, la CGIL (con o senza CISL-UIL) ha sempre cercato di imbrigliare la disponibilità alla lotta dei lavoratori nella gabbia della concertazione, vale a dire della totale sottomissione alle esigenze padronali. E anche oggi siamo chiamati a scioperare "per l'Italia", come se in Italia (e nel mondo intero) ci potesse essere comunità di interessi tra sfruttatori e sfruttati, tra l'italiano operaio FIAT licenziato e l'italiano Agnelli che licenzia. Anche per questo, lo sciopero (indetto oltre un mese prima!) appare chiaramente come una valvola di sfogo della rabbia che cresce tra i lavoratori, un tentativo di rilancio del centro-sinistra e di una pratica riformista che la crisi del capitalismo ha reso totalmente impraticabile.

È infatti finita l'epoca delle concessioni parziali e dei piccoli miglioramenti ottenibili con scioperi di settore. Né tantomeno risultano realistiche rivendicazioni quali lo stipendio "europeo" o il salario minimo garantito ai disoccupati, portate avanti con le normali prassi sindacali concertative o "antagoniste", ma comunque condotte nel rigoroso rispetto della normativa anti-sciopero: nelle epoche di crisi i padroni e i governi indirizzano ogni intervento alla difesa accanita dei margini di profitto e delle manovre speculative, intensificando lo sfruttamento e moltiplicando i focolai di guerra. La minacciata guerra all'Iraq - come quella in Afghanistan - non ha altra libertà da difendere che quella dell'imperialismo USA di schiacciare chiunque (vero o presunto) ostacoli i suoi piani di dominio planetario.

Siamo di fronte all'inizio di una nuova fase di contesa imperialista, nella quale si evidenzierà ancor di più come i nostri interessi immediati e storici siano totalmente opposti a quelli della borghesia. Infatti, col pretesto della guerra, qualunque forma di opposizione sociale potrebbe essere considerata una forma di tradimento e perciò vietata o fortemente limitata; inoltre, la guerra è sempre pagata coi sacrifici dei lavoratori. Infatti, mentre taglia pesantemente salari, pensioni, sanità, scuola, il governo trova i soldi per pagare la spedizione degli alpini in Afghanistan e diminuire le tasse ai ricchi.

Oggi siamo dunque in piazza, ma non per seminare illusioni sulla possibilità di "riconquistare" un cosiddetto stato sociale o sulla costruzione di un "mondo possibile" attraverso un'impossibile umanizzazione dei meccanismi del mercato e dello sfruttamento. Ci siamo per dire che non dobbiamo cadere nella trappola di farci usare come cieca massa di manovra per il rilancio della concertazione, né di lottare solo contro questo governo infame per spianare la strada a governi diversi, ma ugualmente anti-operai. Scioperiamo per agitare la necessità indispensabile di unire la classe operaia e tutti gli sfruttati nella lotta anticapitalistica, autenticamente autorganizzata, per dire no alle guerre dei padroni, per propagandare l'unica via d'uscita dalle conseguenze catastrofiche del capitalismo in crisi: la rivoluzione comunista per una società senza classi.

Partito Comunista Internazionalista - Battaglia Comunista