Art. 18: il voto ci difende?

Sul referendum di estensione dell'art. 18

Con l'articolo 18 nelle grandi aziende si arginano le minacce di licenziamento, con cui sono ricattati gli operai impegnati sindacalmente o politicamente. Anche se sono poche centinaia i licenziamenti respinti a fronte di decine e decine di migliaia di licenziamenti collettivi per..."giusta causa", tuttavia sarebbe "stupido" rifiutare l'estensione di questa pur minima difesa anche alle aziende sotto i 15 dipendenti. È però un inganno spacciarla come l'alba di nuovi e democratici rapporti fra il lavoro e il capitale.

  1. L'art. 18 riguarda solo i lavoratori assunti a tempo indeterminato (sempre meno), mentre gli altri (sempre più) ne sono esclusi: lavoratori interinali, a tempo determinato, atipici, co.co.co. Cioè quelle "nuove categorie" che il capitalismo in crisi ha preteso e che i governi, fra cui il centro sinistra con l'appoggio di Rifondazione e del sindacalismo confederale, gli hanno offerto su un piatto d'argento.
  2. Il referendum è un istituto borghese: non può risolvere i problemi dei lavoratori, occupati o disoccupati; infatti non chiama al voto i soli diretti interessati, ma tutti i "cittadini" (borghesi grandi, medi e piccoli; commercianti, bottegai, e altre fasce sociali estranee, se non ostili, al mondo del lavoro).
  3. Chi ha indetto il referendum finge di non aver a sua volta firmato centinaia di migliaia di licenziamenti collettivi, introdotto flessibilità, precarietà, contratti d'area sottopagati, acconsentito alla demolizione dello "stato sociale" (pensioni, sanità, ecc.) in nome dei sacrifici oggi per miglioramenti domani (???). È la filosofia dei riformisti, anche dei più estremi, che vorrebbero migliorare ciò che invece altro non aspetta che di essere eliminato e superato.
  4. In una sinistra borghese, la quale fa acqua da tutte le parti, il gioco politico sta nel cercare di guadagnare consensi elettorali, chi fra la piccola e media borghesia e chi fra gli operai. Ingannando come sempre i lavoratori, a cominciare dalla illusione che un referendum o un voto in parlamento possa condizionare il potere del capitale sui lavoratori e su tutto il proletariato.

Il fronte del No (DS compresi) terrorizza il suo elettorato con catastrofici quanto assurdi allarmismi; il fronte del Sì approfitta della buona fede di molti lavoratori per continuare a confonderli.

Ammesso che l'importanza della vittoria dei Sì starebbe nella sua... "valenza simbolica", la CGIL propone già una legge che estendendo cassa integrazione e contratti di solidarietà anche nelle piccole aziende, di fatto darà loro la giustificazione ufficiale ai licenziamenti per ragioni economiche. Poi, spacciando lucciole per lanterne, si dichiara che l'art. 18 aiuterebbe l'economia italiana (ma perché non la chiamano capitalismo?) ad avere una forte espansione, un aumento dei consumi e delle vendite di merci attraverso la stabilità del posto di lavoro. Insomma, il capitalismo girerebbe al meglio accarezzando il pelo ai lavoratori e impedendo ad alcuni imprenditori di "cadere in preda a idee false e suicide, perché ragionano come singoli e non come sistema": il sistema dello sfruttamento della forza lavoro e del profitto come solo scopo del produrre. Queste - da gente che si spaccia per... comunista! - le ragioni per cui i lavoratori dovrebbero farsi tosare come un gregge di pecore mansuete, fra canti e balli referendari. Altrimenti, ahi noi!, il capitalismo finirebbe nel disastro... Insomma, vorrebbero farci fessi e convincerci che con l'art. 18 - comunque vada, sempre da votarsi poi in Parlamento - sia possibile far rinsavire gli imprenditori e far uscire l'economia dalla stagnazione, conservando a lungo il capitalismo.

Dunque, se la difesa delle nostre condizioni di vita e di lavoro è il presupposto elementare e irrinunciabile per la lotta contro lo sfruttamento, l*a difesa reale dei nostri interessi, anche di quelli minimi, deve partire dai luoghi di lavoro, dalle sue assemblee realmente autorganizzate, per trasformarsi in lotta di difesa prima e di attacco poi a tutto il sistema*.

L'aumento dello sfruttamento, la rapina del salario indiretto (lo stato sociale) sono l'*unico sviluppo di un capitalismo in crisi: quindi, non per esso ma per la sua fine dobbiamo organizzarci e lottare, contrapponendo a quelli del capitale i nostri esclusivi interessi e il nostro programma per una nuova società, non di cittadini dai diversi portafogli ma di uomini e donne liberi ed uguali.*

Solo la lotta di classe, e non il voto, può realmente difenderci!

Partito Comunista Internazionalista - Battaglia comunista