La pace violenta della borghesia

... e l’ingenua scorciatoia del “gesto esemplare”

Nel nome della democrazia borghese, sotto le cui ali protettrici il proletariato dovrebbe starsene buono e tranquillo nel rispetto dell’interesse generale del Paese, Milano ha visto recentemente una sfilata fascista ufficiale, quella della Fiamma tricolore regolarmente partecipe alla campagna elettorale e già presente nel parlamento europeo. L’ha preceduta un’altra manifestazione, organizzata da un gruppo di antifascisti che avrebbe voluto impedire lo svolgimento del corteo di Fiamma, risoltasi in una dimostrazione di... abilità guerrigliere: rompere le vetrine dei negozi, incendiare auto, motorini, cestini della spazzatura e lanciare bombe di carta riempite di chiodi. Non ne siamo certamente scandalizzati né qualcuno pensi di confondere la nostra nota come un atto di allineamento con la protesta dei tanti borghesi e dei loro servi sciocchi e ipocriti. Non censuriamo alcuno, tantomeno la rabbia di molti a fronte del presente stato di cose.

Certamente qualcuno, nell’episodio milanese, si sarà mosso in buona fede, spinto da una disperazione più esistenziale che politica. Siamo con lui, picchiato e arrestato dalle forze dell’ordine, quello stesso ordine che poi ha garantito e protetto il lugubre corteo di neri vessilli, fasci, teschi e croci uncinate, svoltosi con un “civile comportamento” a base di saluti romani. Vi sono però altri soggetti che nella loro protesta hanno rivendicato l’uso esemplare del metodo forte, basato sull’attacco violento e dimostrativo, capace - si dice - di “muovere l'immaginario della città, per sostenere una memoria antifascista”. Un gioco di stimoli e di provocazioni dimostrative, che dovrebbero - in mancanza d’altro - scuotere l’opinione pubblica ma che ottengono il risultato opposto, seminando sconcerto fra quanti ancora subiscono l'addomesticamento della borghesia e delle sue illusioni, di destra e di sinistra. Nel mezzo, tra antifascisti e fascisti - poiché a questo si riduce il “combattimento” - fa da arbitro lo Stato arrestando i primi e tollerando i secondi.

Fra gli organizzatori e propagandisti degli atti esemplari, vi sono molti che guardano a noi snobbando le nostre “problematiche ottocentesche”, molti che rifuggono dalla fatica della milizia politica attiva portata avanti da chi, come noi, considera un problema centrale la costruzione del partito, e contro la quale da troppe parti si ergono montagne di apriorismi e particolarismi.

Ancora una volta, riaffermiamo che l’azione per l’azione, la violenza per la violenza, non porta alla consapevolezza del fine politico da perseguire, delle sue possibilità e dei suoi limiti. Contro queste azioni, di volta in volta riproposte al seguito di ideologie spontaneistiche e volontaristiche, occorre sostenere e radicalizzare tra i giovani in particolare la necessità del partito, i suoi principi teorici, il programma, la strategia. Senza questo punto di riferimento stabile, capace di dare coscienza e volontà alla lotta di classe per la costruzione di una società a misura d’uomo e non più del profitto, non si fa altro che allontanare i proletari dalla ricerca e dall’analisi critica delle fondamentali cause economiche della crisi e dall’impegno comunista per uscirne.

Ma la distanza è grande anche dalle tubanti colombe pacifiste che fingono di ignorare la realtà di una società, la loro società, che trasuda quotidiane violenze, fisiche e spirituali; una violenza aperta o nascosta, che si manifesta nei rapporti tra gli uomini (e tra uomo, donna, bambini e anziani), tra le classi, tra gli Stati. Una violenza che viene messa in bella mostra da giornali, settimanali di cronaca e costume, televisione e cinema. Una violenza devastante, macroscopica, che costituisce il biglietto da visita dell’attuale ordine economico e sociale imposto dal capitale, nella sua fase ormai acuta di degradazione e imbarbarimento.