Per un opposizione internazionalista alla guerra

Alcuni appunti per avviare un confronto con il Collettivo Internazionalista di Napoli (1)

Guerra ed imperialismo

  • L'imperialismo è il modo di essere del capitalismo nella sua fase matura.
  • La fase imperialista del capitale si palesa nella esportazione di capitale finanziario, nel dominio del mondo da parte di un pugno di potenze le quali si scontrano per il controllo dei mercati commerciali, delle materie prime, dei mercati monetari e della forza lavoro.
  • Il capitale finanziario ha favorito una enorme centralizzazione di capitali, i quali hanno dato vita alla formazione dei monopoli fino alle attuali "corporation" o multinazionali. Da tempo ogni angolo di questo nostro pianeta è posto nella sfera di influenza di questa o di quella potenza imperialista.
  • Laddove esiste un "area di conflitto" dove due o più potenze entrano in contrasto e qualora i - sempre più spuntati - mezzi della diplomazia non sono in grado di dirimere la controversia, interviene la guerra quale fattore determinante nel processo di appropriazione di plusvalore. In tale contesto, centrale è la politica dell'imperialismo USA di mantenere l'egemonia del dollaro quale moneta di riferimento negli scambi internazionali. Sotto il peso della crisi, la guerra permanente è il devastante mezzo che sta assumendo la contesa interimperialistica.
  • Se è innegabile che, dopo l'implosione del 1991 del blocco imperialista russo, gli Stati Uniti sono stati la potenza che ha seminato di gran lunga più guerre e distruzione sul pianeta, altrettanto vero è che nuovi poli imperialisti sono in via di ricomposizione sullo scenario internazionale (dalla Russia all'Iran, dall'Europa all'India alla Cina).
  • L'imperialismo moderno, dunque, è caratterizzato dalla esportazione di capitale finanziario, dal parassitismo, oltremodo esasperati da una crisi che ha accelerato e approfondito le contraddizioni del capitalismo, dalla guerra permanente quale risposta alle sue contraddizioni, dall'attacco alle condizioni di lavoro del proletariato e dalla barbarie sociale che ne deriva.

Autodeterminazione dei popoli, lotte di liberazione nazionale e resistenze

  • Nel periodo storico che va dalla Rivoluzione francese alla fine dell'800 le lotte di liberazione nazionale (in quella che adesso definiamo metropoli del capitale) hanno avuto un significato progressivo, in quanto affermavano l'emancipazione borghese dai limiti imposti dalla struttura economica e dalla formazione sociale feudale.
  • L'appoggio tattico alle lotte di liberazione nazionale dei popoli dei paesi della periferia capitalista è una posizione politica che si è affermata nel seno della Terza Internazionale (1919-1943). Questa tattica (mai verificatasi vincente nella sua applicazione pratica) poggiava su due assunti di base: 1) la presenza dell'esperienza rivoluzionaria russa che poteva/doveva fungere da polo di attrazione al fine di trasformare le lotte anticoloniali in lotta di classe; 2) la presenza di un partito internazionale teoricamente e praticamente capace di ricondurle su tale tattica. È mero esercizio scolastico quindi riproporre questa tattica in assenza dei due elementi che, allora, la rendevano almeno enunciabile, per quanto scivolosa e infida essa fosse (come l'esperienza ha dimostrato). Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, l'appoggio alle guerre di liberazione nazionale era, ed è ancora, giustificato dalla necessità di favorire la creazione di un mercato capitalistico interno che a sua volta favorisca la nascita e il rafforzamento del proletariato, o dal fatto che si confonde l'anti-americanismo con l'anticapitalismo quando il primo non presuppone il secondo, anzi ne è la negazione.
  • Nei fatti, anche negli anni 1920, le istanze delle borghesie colonizzate “in corso di liberazione” si sono dimostrate per quello che erano, moti nazionalistico-borghesi che hanno piegato i rispettivi proletariati alle esigenze nazionalistiche, e che mai hanno posto il problema dell'emancipazione dallo sfruttamento. Le borghesie dei paesi coloniali, come ovunque, andavano semplicemente combattute sul fronte interno, quale primo momento di una lotta antimperialista in quanto anticapitalista. La tragica politica dei fronti uniti con la borghesia, che tante vittime mieterà nelle file proletarie è stata, invece, il trionfo del nazionalismo borghese in contrapposizione all'internazionalismo proletario.
  • Oggi ogni ipotesi di “fronte unito” con la propria borghesia, ogni ipotesi di “resistenza” interclassista è da respingere e denunciare come politica nefasta, reazionaria e capitolatrice. Liberazione, autodeterminazione e resistenza sono termini che hanno senso solo ed unicamente se saldati alla caratterizzazione di classe e proletaria, alla necessità di sviluppare l'autonomia politica ed organizzativa del proletariato in opposizione alle altre classi della società. Tali termini utilizzati senza la caratterizzazione di classe sono da considerarsi interclassisti e quindi conservatori e reazionari. Non esiste quindi opposizione alla guerra che non sia di classe ovvero riassumibile nella formula: proletari di tutti i paesi uniti, prima di tutto contro la propria borghesia, ovunque.

L'opposizione internazionalista alla guerra

Ne consegue che:

  • praticare l'opposizione internazionalista alla guerra significa:
  • # individuare quelli che sono gli autonomi interessi del proletariato dell'area e le istanze che lo accomunano con i proletari dei paesi vicini;
  • # denuncia di tutte le posizioni frontiste, interclassiste, patriottiche e nazionaliste;
  • # appoggio ed analisi critica di tutti i momenti nei quali si manifesta autonomia proletaria di lotta;
  • # sviluppo di un istanza critica, anticapitalista e di classe capace di saldare i tre punti precedenti alla costruzione del partito di classe internazionalista.
  • Il nostro lavoro non può che essere di chiarificazione, di sviluppo dell'autonomia proletaria nella lotta e di elaborazione di una chiara, moderna e praticabile prospettiva anticapitalista.
  • Da quando (quasi un secolo) il capitale, con l'imperialismo, domina ogni angolo del pianeta imponendo ovunque le sue relazioni sociali al proletariato, a qualsiasi latitudine esso si trovi, non rimane che una sola parola d'ordine: trasformare le guerre in rivoluzione sociale, internazionalismo proletario per la sua dittatura.

Il movimento contro la guerra

  • L'attuale movimento contro la guerra - in quanto movimento politico non classista - non è altro che l'espressione di forze politiche riformiste che, a vari livelli, ritengono possibile un mondo capitalista "epurato" dai suoi mali senza porsi il problema di eliminarne la cause che li pongono in essere. Il movimento, quindi, si colloca all'interno del quadro imperialistico internazionale, in quanto opera una scelta tra i fronti che, di volta in volta, vengono definiti meno aggressivi, di difesa davanti all'arroganza delle grandi potenze o, il che è ancora peggio, progressisti.
  • All'interno di tale movimento le frange più estreme non si pongono sul terreno di classe. O individuano nel "movimento" (quindi ancora nelle forze riformiste che lo promuovono) il loro referente ed allora, per dialogare con esso, scendono a compromessi, volgendo così le spalle alla classe, passando di fatto dall'altra parte della barricata; oppure individuano nel micro-imperialismo d'area, e nelle molteplici forme nelle quali esso si manifesta, il proprio referente. Passano così armi e bagagli - invece che a favore dell'imperialismo europeo come i primi - a favore di un altro imperialismo di cui l'islam politico, la rivoluzione bolivariana, ecc. ne sono espressione. Entrambe queste posizioni sono distanti, anzi opposte, a una politica internazionalista; tale politica consiste infatti nell'individuare nel proletariato locale - zone di guerra incluse - il soggetto sociale rispetto al quale elaborare una strategia che porti alla sua autonomia politica e progettuale.
  • Caratterizza, quindi, il “movimento contro la guerra”:
  • # l'appoggio, nei fatti, a questo o quel fronte imperialista;
  • # il mantenimento di una posizione mai coerentemente di classe che contribuisce a mantenere il proletariato delle zone di guerra imbrigliato nelle trappole nazionalistiche, frontiste ed interclassiste, invece di contribuire, con la critica internazionalista, a sviluppare un percorso autonomo di classe;
  • # la distinzione tra una pittoresca opposizione alla guerra da portare periodicamente in piazza e lo sviluppo di una risposta di classe alle politiche del capitale, a partire dai luoghi di lavoro. Tale percorso viene abbandonato ai sindacati più o meno di sinistra come se non fosse invece il fulcro, il cuore, di una reale opposizione alla guerra;
  • # l'assenza/cancellazione del proletariato quale proprio referente sociale.
  • Per gli internazionalisti non esiste che un modo per opporsi alla guerra: aprire il fronte interno ovvero, fuor di metafora, impedire alla borghesia, attraverso la lotta di classe, di fare i comodi propri, tra cui la guerra. Contrapporre al democratico parolaismo la lotta auto-organizzata ed antisindacale per la difesa degli interessi proletari locali, elevare il "proprio" proletariato a soggetto - l'unico - in grado di contrastare i disegni del capitale.
  • Da ciò discende che la giusta condotta da tenere nei confronti del "movimento" è la critica: mettere in evidenza il suo carattere borghese, sviluppare confronti e riflessioni con i compagni più sensibili ancora ingabbiati nelle sue logiche, riflettere sulle contraddizioni del movimento medesimo e sviluppare così percorsi di costruzione di una reale opposizione alla guerra, questa volta sì, internazionalista ed anticapitalista, cioè di guerra alla guerra.
I compagni della sezione di Napoli del Partito Comunista Internazionalista (Battaglia Comunista)

(1) Per maggiori approfondimenti delle questioni trattate vedi Prometeo 13/1997, “Tattica comunista nei paesi della periferia capitalista” e Prometeo 2/2000, “Il proletariato palestinese versa il suo sangue per uno stato borghese”.