Per la serie delle riforme-truffa del sistema previdenziale

Lo ha affermato, ottimisticamente, la Ragioneria dello Stato: fra qualche decina d'anni le pensioni si ridurranno dall’attuale 67,3% al 51,6% dell’ultimo stipendio, naturalmente per i più “fortunati” con 35 anni di lavoro e 63 di età. La colpa di ciò ricadrebbe soprattutto su quegli operai che come topi, egoisticamente, lascerebbero in anticipo la nave aggravando “il conflitto generazionale." Questo dopo che - ma non lo dicono - centinaia di migliaia di lavoratori sono stati scaricati in prepensionamento, anche a meno di 50 anni, per andare incontro alle esigenze capitalistiche delle ristrutturazioni aziendali.

Il dibattito accesosi attorno alla questione pensioni, ha avuto come sua unica trasparenza un'abbondante dose di menzogne. Si parte da quello che viene considerato, tutto sommato, come “un livello minimo di decenza” della maggior parte delle attuali pensioni, per preoccuparsi - al massimo - che non si vada al di sotto di una tale "condizione sociale" la quale, da destra a una certa “sinistra” ovvero dalla padella alla brace, sarebbe pur sempre e in generale “troppo tutelata”. La logica dei riformisti è allora quella di togliere qualcosa a chi vivrebbe - a loro dire - persino troppo... decentemente, per darlo ai "meno tutelati".

Conti in tasca all'Inps

Facciamo innanzitutto chiarezza sulle campagne di terrorismo diffuse sulle teste di lavoratori e pensionati. Dal Bilancio preventivo Inps 2007 (Tomo 1, pag. 89) si apprende che lo Stato trasferirà all’Inps 72,3 miliardi di euro, ma non per pagare le pensioni ordinarie bensì per “oneri non previdenziali”. Precisamente: 2,5 mld per il mantenimento del salario (Cassa integrazione); 2,7 mld per sostegno alle famiglie; 13,5 mld per assegni e indennità agli invalidi civili; 12,7 mld per sgravi degli oneri sociali e altre agevolazioni alle industrie. L’Inps gestisce tutto ciò dal 1988 con una cassa separata, la Gias (Gestione interventi assistenziali), e quei 72,3 mld non c’entrano nulla con le pensioni dei lavoratori, il cui Fondo nel 2007 avrà un avanzo di esercizio di quasi 3,5 mld (pag. 219), pari alla differenza tra entrate in contributi e uscite (9 milioni 600mila) per pensioni. Questo rilevante attivo si trasforma in un passivo di 2,9 mld solo perché l’Inps si è fatto carico di ex-Fondi in perdita (trasporti, elettrici, telefoni e - addirittura - l’ex-Fondo dirigenti di azienda, che da solo è in rosso per 2,8 mld). Il passivo totale di tutti questi Fondi è di 6,3 mld; i pensionati che ancora dipendono da questi Fondi sono poche centinaia di migliaia.

Dopo di che ci raccontano che le pensioni sono un pericolo per il Paese e che l’Inps corre il rischio di non poterle più erogare! E tutti si guardano bene dal denunciare questa enorme imbroglio contro i lavoratori e dal buttare in faccia a lor signori la legge n. 67 del 1988 che dava per scontata la separazione della gestione assistenziale da quella previdenziale. Al punto che il presidente dell’Inps e quello del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza ci vengono a dire che “il tema separazione assistenza e previdenza ha ormai maturato una lunga stagionatura”...

Un'altra verità nascosta: i costi dell'assistenza sociale in tutta Europa sono separati e a carico della fiscalità generale; non incidono affatto sul capitolo della spesa pensionistica, la quale risulta così più bassa che da noi. Il trucco c’è e si vede, ma guai a parlarne!

Da un inganno all'altro

Sappiamo, e lo abbiamo più volte dimostrato, come la crisi del capitalismo non solo corrode i salari (per chi ha un lavoro) ma cancella anche le illusioni di una “tranquilla e lunga” vecchiaia ai pensionati. Quello che inoltre ci interessa qui sottolineare è che, da quanto esposto, il cosiddetto deficit Inps non solo non esiste ma il rapporto pensioni/Pil in realtà risulta inferiore di più di due punti (7,4% e non 9,7 per il 2007) e può essere comunque calcolato con esattezza solo in presenza dei dati veri di un Pil per tutti imprevedibile in cifre esatte.

Nelle pesanti bordate propagandistiche scagliate dal fronte borghese contro l’attuale assetto previdenziale, figura una minaccia categorica: o si mette mano ad una riforma generale delle pensioni oppure “parti dell’attuale generazione adulta cadranno in povertà”. Una delle cause sarebbe anche il fattore demografico (si vive di più e si fanno meno figli). Ma il rimedio suggerito - “ritardare l’età del pensionamento e lavorare più a lungo” - dimostra quanto inguaribile sia la... senilità del capitalismo e dei suoi gestori.

Si parla di incentivi per trattenere in fabbrica gli ultra sessantenni come se gli industriali, appena possono e a dispetto di quanto propongono attraverso i loro rappresentanti politici, non si affrettassero ad alleggerire le aziende dal peso della forza-lavoro più anziana e più costosa (quasi tutta con pensioni calcolate secondo il vecchio metodo retributivo, che sarà sostituito dal più penalizzante metodo contributivo sancito nel 1995), inserendo giovani con contratti atipici, a tempo determinato e salario inferiore.

Sfruttati e beffati

Nella società borghese chi non riesce a vendere la propria forza-lavoro al capitale affinché questo, sfruttandola, possa ricavarne un profitto, è costretto a far parte - prima e dopo l'età pensionabile - di quella massa ufficiale di poveri che già in tutti i paesi “sviluppati” si contano a decine di milioni. Le fasce di povertà si allargano ovunque; figuriamoci, con l'avanzare delle difficoltà economiche e finanziarie del sistema dominante e che si diffondono imponendo una lotta competitiva sempre più feroce, quale possa essere la sorte della forza-lavoro anziana e costosa in contrapposizione alle necessità del capitale.

Lo scandalo, per la borghesia, starebbe in quei 763 pensionati che in media si contrapporrebbero ad ogni 1.000 proletari in attività (fra qualche anno - il capitale inorridisce! - si raggiungerà la parità fra lavoratori e pensionati). In realtà il problema non esisterebbe poiché quei 1.000 lavoratori (assieme a quelli costretti alla disoccupazione) sarebbero oggi in grado, date le straordinarie conquiste della scienza e della tecnica, di produrre - addirittura con un orario di lavoro dimezzato! - quanto occorre per soddisfare i bisogni di migliaia e migliaia di uomini e donne nel mondo.

Il vero problema - più che mai lampante - è il modo capitalistico di produzione e distribuzione, con le sue insanabili contraddizioni che derivano da una produzione esasperata (mai per soddisfare i reali bisogni umani) o rallentata, sempre e unicamente per ottenere quel profitto che costituisce la sola molla di tutto il sistema. Il vero scandalo che si sta facendo sempre più insostenibile, è costituito da quegli individui, da quella classe che vive parassitariamente, dilapidando ricchezze enormi, nell'ozio e nel lusso più osceno, sfruttando per i propri interessi privati il lavoro dei salariati e negando agli anziani proletari quanto loro occorre per sopravvivere dignitosamente come esseri umani e non come oggetti inutili e ingombranti perché... ruberebbero il pane ai giovani!

Nella logica della società borghese il nodo delle pensioni - una spesa improduttiva per il capitale - va sciolto al più presto anche se non sarà proprio la più facile delle operazioni.

Le pensioni integrative

Ed ecco che a tamburi battenti entrano in scena i fondi pensione integrativi, quelli contrattuali e di categoria. Industriali, finanzieri e sindacati trattano da anni affinché il sistema integrativo privato a capitalizzazione riesca a mettere le sue unghie sulla gestione di almeno il 40% della ricchezza previdenziale. Un affare che, spostando tutto il flusso dei Trattamenti di Fine Rapporto (Tfr) nel pozzo dei fondi pensione, scatena gli appetiti di chi si assumerà la loro gestione, fra i quali si inseriscono prontamente anche i sindacati.

Se l’operazione (legale o “brigantesca” secondo i punti di vista) andrà in porto, le entrate contributive in diminuzione ridurranno via via le attuali pensioni pubbliche ad una base... decorosamente di fame. Soprattutto i giovani proletari saranno beffati due volte: disoccupati o con lavori temporanei dai salari difficilmente capitalizzabili in pensioni integrative (chi può - anche tra gli operai “fissi”- dirottare mensilmente nei Fondi pensione 150 o 200 euro?), e contemporaneamente colpevolizzati per “la mancanza di una cultura previdenziale che li porta a non aderire nemmeno a un fondo pensione privato” (questa è l'opinione dell'Istituto di vigilanza settore assicurativo). Una cultura che non fa difetto ai numerosi "onorevoli" che - con profondo senso della loro qualifica di servitori dello Stato - beneficiano addirittura di due pensioni: quella per l’attività di lavoro svolta precedentemente (grazie alla concessione di contributi figurativi, approvata dalla Corte Costituzionale) e quella che fa seguito alla loro elezione a deputati, senatori, presidenti di Regione, eccetera. Oggi basta sedere in Parlamento o in Senato per un periodo di 2 (due) anni e sei mesi per godere di un "vitalizio" che supera i limiti di ogni... indecenza: 3mila euro mensili!

Come ti inganno i pensionati

Con la maggior parte dei giovani fuori dal mercato del lavoro per lunghi periodi, l'attività lavorativa si ridurrà in media a poco più di 20 anni, dai 30 ai 50 anni, quando spremuti come limoni i lavoratori verranno buttati in strada. Ecco allora lo specchietto per allodole - se ancora se ne vedranno volare - costituito dai Fondi Pensione Integrativa (Fip) che dovrebbero servire a far nascere in Italia "un investitore di lungo termine in grado di fornire alle imprese un supporto finanziario lungimirante" - come si leggeva tempo fa sul Corsera - trasferendo ai Fip il Tfr. Si parla a tutt'oggi di accantonamenti annuali pari a 12/14 miliardi di euro. Mirando anche alla trasformazione dell'Inps in un Ente assicurativo, raccogliendo le risorse pensionistiche private e in particolare le quote del Tfr.

Di fatto, le "riforme" pensionistiche si pongono unicamente l'obiettivo di far sopravvivere il capitalismo ma non i pensionati. Così si spaccia per "giusto dal punto di vista sociale" il passaggio - dichiarato inevitabile - al sistema di capitalizzazione (contributi volontari a fondi privati) dando spazio alla “responsabilità individuale". Ed ormai, come punto di arrivo, si parla apertamente di una minima pensione pubblica che farà solo da supporto e integrazione a una pensione privata che dovrebbe "garantire la parte più consistente del reddito" (così il Presidente Banca Mediolanum). Tutto questo con la presenza - non dimentichiamolo - di ben 4 milioni500 mila pensionati che si trascinano in vita con "redditi" mensili di poco superiori ai 500 euro.

La generazione degli attuali 50enni, che dovrebbe lavorare magari fino a 70 anni (ma quali aziende li tratterranno al lavoro?), si presenta fra l'altro in condizioni precarie di salute. Si parla di alti tassi di colesterolo, diabete, ipertensione, artrite, malattie auto-immuni, ecc. Sono le conseguenze di ritmi di lavoro e di vita vertiginosi, con una alimentazione scorretta e persino sottoalimentazione, inquinamenti urbani, ecc. che mettono in forse l'ottimistico innalzamento a circa 80 anni della vita media e tale da "giustificare" l'innalzamento della età pensionabile. Sempre che anche le "riforme del servizio sanitario", con continui tagli alle spese per prevenzioni, esami e cure adeguate, non aiutino il capitale a decimare quei lavoratori che già oggi, oltre i 55 anni, vengono considerati come "esuberi" nelle fabbriche.

Finanzieri in folle agitazione

Con il decollo della previdenza integrativa e i flussi di denaro provenienti dallo spostamento dei Tfr, Piazza Affari si preparava già nei primi mesi del 2007 (fino all'esplosione della bolla speculativa dei mutui sub-prime) a un boom di acquisti in azioni, con investimenti a lungo termine in Borsa. Le previsioni davano circa 6 miliardi di euro in fondi aggiuntivi che, annualmente, dovrebbero arrivare agli strumenti di previdenza integrativa. Ma nella illusoria speranza di accelerare la produzione di capitale fittizio saltando il processo produttivo, gli investitori - alla ricerca di alti tassi di interesse - sembra abbiano preferito esporsi sui titoli di debito (obbligazioni e titoli di Stato) allargandosi anche ai più sofisticati e pericolosi strumenti finanziari ad alto rischio. Sostenendo che i rischi di fallimento nella gestione dei fondi sarebbero quasi nulli, nonostante lo scandalo dei mutui sub-prime li abbia oggi clamorosamente smentiti.

Quanti di quei "pacchetti" finanziari tanto mostruosi quanto misteriosi siano finiti anche nei fondi pensione italiani nessuno lo sa con precisione, ma in tutto il mondo si parla di cifre da collasso cardiaco. Vere e proprie mine che si aggirano nel sistema finanziario internazionale; presto o tardi esploderanno seminando vittime anche fra i futuri pensionati e quanti accedono ai vari fondi di investimento che rischiano improvvisi azzeramenti. Sul ponte del Titanic si canta e si balla, aspettando il domani...

Un'occhiata ai Fondi pensione degli USA

Se guardiano agli Usa, all'avanguardia in queste operazioni di "finanza creativa", dove in azioni e obbligazioni si trovavano congelate le pensioni di milioni di operai e impiegati e dove si annunciano perdite dei fondi pubblici e privati per decine di miliardi di dollari, la situazione si presenta a dir poco drammatica. Milioni di dollari si sono o si stanno letteralmente volatizzando, distrutti da una diffusione incontrollabile di cellule cancerogene. Un castello di carta che può crollare dalla sera alla mattina; un feticcio - quello del mercato azionario e finanziario in generale - attorno al quale i suoi cinici ed avidi sacerdoti hanno trascinato masse d’ingenui risparmiatori e milioni di aspiranti pensionati, congelando le loro misere economie nei fondi pensione.

I dati americani, a proposito di questi brigantaggi finanziari, parlano di circa 45 milioni di sottoscrittori dei conti pensioni individuali legati all’andamento del mercato finanziario, e di circa 40 milioni partecipanti ai fondi a prestazione definita, cioè con futuri assegni proporzionali ai contributi versati. In condizioni di crisi economica, fallimenti industriali, esplosioni di operazioni speculative, eccetera, quelle "pensioni" sono le prime a saltare. Ne sanno qualcosa, negli anni scorsi, le decine di migliaia di metalmeccanici americani che in aggiunta alla deindustrializzazione del settore, nell’Ohio e nella West Virginia, si sono trovati licenziati e con fondi pensione paurosamente ridotti. Migliaia di pensionati hanno perso le loro indennità; altri, con l’interruzione delle contribuzioni, si sono trovati con piani previdenziali sottofinanziati. Lo stesso in Gran Bretagna, dove a seguito di molti crolli azionari milioni di lavoratori, sottoscrittori dei piani pensionistici a prestazione definita, sono praticamente rimasti senza futuro. Il Daily Mail dell'anno scorso denunciava:

_negli ultimi dieci anni un piano aziendale su tre è stato smantellato, per un totale di 58.000. Una intera generazione di pensionati si trova di fronte ad una crisi di liquidità...

Dunque, una colossale truffa che condanna i proletari delle stesse maggiori potenze industriali, oltre che ad un presente incerto, anche ad un futuro da giocarsi, nei migliori dei casi, sulle soglie della povertà e della pura e semplice attesa della propria fine...

Tutte le proposte cosiddette riformistiche si riducono quindi, né potrebbe essere altrimenti, a cure peggiori del male. La “prevenzione della crisi di invecchiamento”, fallita la strategia pubblica per mancanza di sufficienti profitti, cerca di avventurarsi in quella (suggerita dalla Banca Mondiale) della privatizzazione, cioè della previdenza data in appalto ad un fornitore commerciale. La pensione pubblica complementare verrebbe gradualmente abolita, l’età pensionabile elevata a 70 anni con al massimo un "sussidio pubblico" limitato a “un livello di sopravvivenza”. Con la consueta dose di ipocrisia, poi ci raccontano che questa riforma costituirebbe “un forte incentivo sia per risparmiare sia per lavorare”. Ovvero: costringere i proletari a lavorare quando al capitale conviene sfruttare la forza-lavoro e nello stesso tempo a risparmiare parte del loro già misero salario per consegnarlo nelle mani della speculazione finanziaria (banche, associazioni, fondi di investimento, eccetera).

Previdenza fai da te

Dopo il lavoro usa e getta, ecco le pensioni fai da te: prendere o lasciare, secondo la inesorabile logica del capitale e le sue "soluzioni" con piani e sistemi che non possono fare altro che seguire e al tempo stesso complicare la crisi strisciante che attanaglia il capitalismo. Nella illusione, alimentata proprio dalla cosiddetta "sinistra", di qualche possibile intervento che si riduce nella riproposizione di una riscaldata minestra: quella dello sviluppo e del “controllo democratico dell’economia capitalistica”. Mai della sua distruzione e del suo definitivo superamento. Ci mancherebbe!

Dunque, anche il mito della previdenza integrativa si sgretola per quanti a fatica arrivano a fine mese; saranno semmai i “benestanti” (che non fanno certo parte del proletariato) a poter ricorrere ad assicurazioni private. Così - con pensioni da fame e con proclami pubblici da terrorismo sociale che dovrebbero spianare la strada al business dei Fondi pensione, modello americano - la manovra... riformistica cerca di dividere e sfruttare sempre più la classe operaia. L'orientamento, con il passaggio del Tfr nelle mani dei fondi pensione chiusi (di categoria), è comune a capitalisti e sindacati. Questi ultimi reclamano un posto a tavola come amministratori del malloppo, cercando di convincere i salariati a recitare la parte di “investitori finanziari”, assestando un altro colpo a quel poco che era rimasto di “principio di solidarietà” fra generazioni di proletari e cercando di mettere giovani contro anziani e viceversa. Esattamente ciò che si vuole, a destra e a “sinistra”: ciascuno per sé e tutti per il capitale...

Dopo aver avallato - in definitiva - la precarietà del lavoro (dalla legge Treu alla legge Biagi) e in prospettiva la svalutazione del contratto nazionale a favore dei contratti aziendali, territoriali se non proprio individuali, i sindacati temono un ulteriore indebolimento del proprio ruolo. Dietro la maschera della "rappresentanza dei lavoratori", la loro integrazione nel dominante sistema economico e politico rimane totale e per questo puntano a mantenere e rafforzare il controllo della forza-lavoro anche attraverso il cappio finanziario che hanno messo al collo dei salariati, in quanto cogestori dei fondi pensione. Dunque, una operazione di riciclo delle funzioni parassitarie dei sindacati, contribuendo alla concentrazione dei capitali in atto e inserendosi così nella nicchia dei mercati finanziari e speculativi.

Riprendere la lotta di classe

Ciò che noi, come comunisti e dunque rivoluzionari, dobbiamo dimostrare e sottolineare criticamente, è l'impossibilità oggettiva di risolvere la questione della sopravvivenza - umana e non quasi bestiale - degli anziani con la pretesa riformista di rimanere nelle compatibilità del modo di produzione e distribuzione capitalistico. Le condizioni di vita sia dei lavoratori che dei pensionati sono da anni, anzi da almeno due decenni, sottoposte ai continui attacchi del capitale, che hanno sempre più ridotto l'incidenza del lavoro sulla "ricchezza nazionale" e fatto della precarizzazione la regola dell'ordine economico dominante. I profitti si sono consolidati a spese dei salari diretti e indiretti; il cosiddetto welfare si sgretola al pari di tutte le conquiste ottenute in altri decenni di dure lotte di classe. Questa, solo questa, è l'amara realtà di cui il proletariato - sottoposto a continue mazzate - deve prendere una sempre più chiara consapevolezza.

I governi di sinistra valgono in definitiva come quelli di destra e viceversa; quando sembrano contrapporsi fra di loro lo fanno solo secondo gli interessi interni alle varie fazioni borghesi Sono la grande industria e l’alta finanza a dettare le "riforme"; i governi hanno solo l'incarico di farci ingoiare il calice amaro delle loro manovre economiche, ovvero - in nome della competitività dell’azienda Italia - altri tagli a quel che resta dello stato sociale, dalla previdenza al servizio sanitario e alla scuola.

La difesa dei nostri interessi di classe passa attraverso il rilancio sui posti di lavoro e sul territorio della nostra lotta di classe contro quella esercitata dal capitale e dalla borghesia. Ma per un successo di questa lotta occorre ricostruire il partito comunista del proletariato internazionale, lo strumento politico necessario per interpretare e unificare le diverse istanze dei lavoratori e guidarli politicamente nella lotta contro il capitale e i governi al suo servizio.