Solo chiacchiere al vertice FAO, mentre un miliardo di persone patisce la fame

Si è concluso com’era cominciato: chiacchiere all’inizio, chiacchiere alla fine. Anzi, questa volta, la faccia “caritatevole” della borghesia, il vertice FAO tenutosi a Roma dal 16 al 18 novembre, non ha nemmeno beneficiato, se così si può dire, della solita passerella dei “Grandi” della Terra. Evidentemente, quei signori avevano altro da fare, magari ingozzare di soldi banchieri, finanzieri e industriali, la personificazione, cioè, di quel sistema economico-sociale che è all’origine della fame e delle malattie da essa talmente potenziate da ammazzare ogni giorno 17.000 bambini e diverse migliaia di adulti.

I “G8” si erano già fatti vedere all’Aquila, avevano promesso - solo promesso, va da sé - 20 miliardi di dollari in aiuti e tanto è bastato. Ora, forse, i 20 o i 44 miliardi richiesti dal direttore generale della FAO - Diouf - sono sufficienti per tamponare i più immediati problemi di sopravvivenza, ma non certo per assicurare una vita appena decente a miliardi di persone; non solo: quella pelosa carità delle nazioni più potenti spesso aggiunge corruzione a corruzione, finendo per favorire il processo di immiserimento e predazione che investe masse enormi di contadini poveri e di diseredati della “periferia”. Si tratta di un processo iscritto nel codice genetico del capitalismo, che, in tempo di crisi, subisce un’accelerazione. All’inizio del 2008, gli affamati erano circa 850 milioni, mentre oggi hanno raggiunto la cifra di 1,02 miliardi; solo quest’anno sono aumentati del 9%, l’aumento maggiore dal 1970.

Alla base di tutto quanto, gli spietati meccanismi di mercato che, per esempio, hanno imposto - tramite le borghesie locali in combutta con le multinazionali dell’agroalimentare - un’agricoltura orientata all’esportazione, al fine di racimolare i dollari necessari per ripagare gli interessi sul debito, a tutto svantaggio dei piccoli contadini e del consumo (proletario) interno. La speculazione sulle materie prime alimentari di un anno e mezzo fa - che ha scatenato rivolte e sanguinose repressioni - è stata, poi, la classica pioggia sul bagnato; da allora, i prezzi, se pur abbassatisi un poco, rimangono decisamente più alti rispetto al 2006, ma ogni aumento dell’1% del prezzo dei cereali di base significa 16 milioni di affamati in più (fonte ONU). Affamati che non si trovano solo in Asia o in Africa, ma anche nel cosiddetto primo mondo, a cominciare dalla “patria della democrazia” e dell’obesità: gli Stati Uniti d’America. Anche lì è salito il numero delle persone che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena o anche solo un pasto giornaliero: si tratta di 49 milioni di individui, tra i quali, ancora una volta, i bambini di ragazze madri, donne sole, neri e ispanici fanno la parte del leone.

Intanto, mentre i capi di stato presenti a Roma (da Lula a Gheddafi) ostentavano indignati accenti da no-global, il papa invitava tutti ad essere più buoni, e l’impagabile Berlusca, incurante come al solito del cattivo gusto, si esibiva nell’ennesima barzelletta cretina, non si è arrestato di un secondo l’accaparramento delle terre migliori, ai quattro angoli del pianeta, da parte di fondi speculativi e di stati dai forzieri traboccanti di divise estere (Cina e paesi del Golfo, in primis), tanto per mettere un’ulteriore ipoteca sul destino di miliardi di esseri umani. È il capitalismo: prendere o lasciare; meglio prenderlo per il collo e buttarlo, senza tanti complimenti, in qualche discarica della storia.