Quando gli dèi si facevano la guerra

Riflessi mitologici della lunga “guerra civile” che segnò il passaggio dalla società egualitaria al dominio gerarchico e patriarcale delle aristocrazie

Sapere che in determinati luoghi ed epoche l’umanità ha saputo fare a meno di guerra, divisione in classi e proprietà privata dei mezzi di produzione, pur vivendo in società sviluppate e funzionanti, è certo un argomento a favore di chi non ritiene che il capitalismo debba essere per forza il capolinea della storia. “La guerra è sempre esistita e sempre esisterà”, “i ricchi e i poveri ci sono sempre stati e sempre ci saranno”, “homo homini lupus, così va il mondo dai tempi di Caino”, si racconta nei bar e nelle chiese. Ma non è affatto vero. Qui non si tratta di esaltare il cosiddetto comunismo primitivo, ma di comprendere che i rapporti sociali fondati sulla disuguaglianza e lo sfruttamento sono prodotti storici, e non eterne maledizioni legate alla “natura” più o meno cattiva del genere umano.

L’etnologia e la paleoetnologia, la storiografia antica e le fonti classiche, l’archeologia e lo studio comparato dei miti e delle religioni, ci parlano di società in cui vigeva l’uguaglianza sociale e sessuale e di altre in cui la donna aveva una posizione primaria rispetto all’uomo. Ma ci parlano soprattutto di conflitti, di scontri durissimi e a volte di guerre, attraverso cui il maschio ha imposto successivamente il proprio dominio nei confronti dell’altro sesso, e attraverso cui minoranze di uomini hanno imposto il loro dominio sul resto della società.

Engels arriva a sostenere che “il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico del sesso femminile” (1). Ed egli non conosceva nemmeno le grandi scoperte archeologiche avvenute nel secondo dopoguerra in Europa e in Medio Oriente, non conosceva le ricche civiltà neolitiche (2) e proto-urbane che, a giudicare dalle sepolture, dagli abitati e dalla simbologia, non praticavano la guerra e non attuavano distinzioni gerarchiche né sociali né sessuali. Civiltà che furono un po’ ovunque soppiantate, con ferro e fuoco, da aristocrazie guerriere maschili.

La vittoria di Oreste

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Nicole Chevillard e Sébastien Leconte ritengono che la dominazione sulle donne abbia preceduto e fornito la base per la comparsa della proprietà privata e dello stato, in quanto

mezzo per arrivare a un’accumulazione differenziata tra gli uomini che ha, a sua volta, dato ad alcuni di costoro un accesso privilegiato al lavoro delle donne e alle loro capacità riproduttive, così come al lavoro di altri uomini (3).

Dominazione sulle donne, quindi, come base e punto di partenza della società divisa in classi, una dominazione che, secondo Chevillard e Leconte, non è il frutto di processi evolutivi continui, ma di trasformazioni violente che, nel dare vita alle società patriarcali, non hanno certo istituito l’uguaglianza degli uomini fra loro, poiché “nel momento stesso in cui questi soverchiano le donne, entrano anche fra loro in relazioni fortemente gerarchizzate” (4). Si ha così

l’innesco di un processo di dominazione che non contrappose solo uomo contro donna, ma uomini dominanti contro il resto dell’umanità. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è cominciato dunque con lo sfruttamento delle donne da parte di alcuni uomini. Esso conteneva, in nuce, anche lo sfruttamento degli esseri umani - di entrambi i sessi - da parte di altri esseri umani dominanti che resteranno, del resto, di sesso maschile (5).

Partendo dal presupposto che i miti non sono la semplice proiezione delle paure umane, ma molto più il tentativo di spiegare il mondo quale esso è, dai fenomeni cosmici alla realtà politica, una delle rappresentazioni più limpide della sconfitta storica del sesso femminile di cui parla Engels - e della violenza entro cui tale sconfitta si è consumata - è certamente la vicenda narrata nell’Orestea, la trilogia di Eschilo che, già presa in esame da Paul Lafargue, esprime il grande conflitto fra le antiche divinità femminili e tribali da una parte, e le più recenti divinità patriarcali e guerriere dall’altra, che infine prevarranno.

Protettrici di genitori, ospiti e mendicanti, le Erinni sono le dee che puniscono chi si macchia di sacrilegio, di spergiuro, di guadagno ingiusto ed eccessivo; ma soprattutto, come incarnazione divina dell’antica legge tribale, sono le vendicatrici dei delitti fra consanguinei, e perseguitano Oreste in quanto uccisore della propria madre Clitemnestra, la quale, a sua volta, aveva ucciso il marito Agamennone colpevole di avere sacrificato la figlia Ifigenia. Apollo ed Atena, invece, si ergono a difesa del matricida. Durante il processo Apollo spiega che

Colei che viene chiamata madre non è genitrice del figlio, bensì soltanto nutrice del germe appena in lei seminato. E’ il fecondatore che genera; ella, come ospite ad ospite, conserva il germoglio, se un dio non lo soffoca prima (6).

Fra madre e figlio, insomma, non c’è alcun legame di parentela, per cui Oreste non può essere accusato di avere ucciso un consanguineo. Apollo indica Atena come prova di ciò che ha appena sostenuto, poiché la dea, venuta fuori già formata dalla testa di Zeus, non fu partorita da nessuna madre.

Interviene allora la stessa Atena, che conferma e rivendica la sua natura maschile:

Non vi è madre che mi abbia generato: esclusi i legami di nozze, prediligo con tutto l’animo tutto ciò che è maschile, e sono interamente di mio padre. Così non farò prevalere la morte di una donna che ha ucciso lo sposo custode della sua casa. Oreste vincerà anche se giudicato a parità di voti (7).

Dopo aver lanciato alcune terribili maledizioni, le Erinni si lasciano abbindolare dalla magia verbale di Atena, che le convince a restare nella città di Atene per occuparsi della sua prosperità materiale. E così le antiche dee, che furono per secoli le irriducibili forze nemiche dei nuovi dèi maschili, diventano ora esattamente l’opposto, ossia “Eumenidi”, le Benevolenti, divinità protettrici della concordia, e più precisamente della concordia sociale interna alla città. E in tali vesti fanno voti affinché mai in Atene

frema la discordia insaziabile di mali,
né polvere, bevendo nero sangue di cittadini,
nel furore della vendetta
colga avidamente dalla città
sciagure che sangue con sangue contraccambiano (8).

Niente più conflitto, dunque. E quali divinità potrebbero tutelare meglio la concordia sociale di quelle che rappresentano la vecchia tradizione sconfitta? Sconfitta ma, con ogni probabilità, ancora vivente nei ginecei, e ciò spiegherebbe la necessità di ribadire di fronte a tutta Atene, donne comprese, il potere maschile del nuovo ordine olimpico.

Le guerre di fondazione

Attraverso un’indagine comparativa che ha riguardato prevalentemente, ma non solamente, la teologia e la letteratura epica degli Indo-iranici, la mitologia dei Germani, la storia arcaica di Roma e le antiche leggende degli Osseti, George Dumézil ha scoperto la costante presenza di una struttura ideologica trifunzionale, che egli ha giudicato essere un’eredità comune di tutta la tradizione indoeuropea arcaica.

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Al vertice di tale sistema tripartito e gerarchizzato troviamo la funzione del sacro (prima funzione), che comprende la magia, la scienza, l’intelligenza, il diritto e, conseguentemente, l’esercizio legittimo del potere. Segue poi la funzione della forza fisica (seconda funzione), utilizzata contro nemici ordinari e soprannaturali, sia nella lotta individuale che in guerra. Infine, la funzione che potremmo chiamare della sanità materiale (terza funzione). Essa risulta la meno facile da delineare, in quanto, dice Dumézil,

ricopre province numerose fra le quali intercorrono legami evidenti ma la cui unità non comporta un centro ben definito: fecondità umana, animale e vegetale, ma, nello stesso tempo, nutrimento e ricchezza, salute e pace (con le gioie e i vantaggi della pace) e anche voluttà, bellezza e l’importante idea del “gran numero” applicata non solo ai beni (abbondanza) ma anche agli uomini che compongono il corpo sociale (massa) (9).

Ora, un elemento fondamentale del trifunzionalismo è la solidarietà fra la prima e la seconda funzione per instaurare e mantenere la propria supremazia gerarchica nei confronti della terza.

Al termine di una lunga guerra incerta, come quella fra Asi e Vani nella mitologia germanica o quella fra Romani e Sabini nella storia arcaica di Roma, che vede i rappresentanti della sovranità magico-religiosa e di quella guerriera combattere contro gli esponenti della terza funzione, si arriva ad una riconciliazione finale che porterà alla nascita di un ordine in cui ognuno ricoprirà il proprio ruolo funzionale nel nuovo assetto organico stabilito.

È interessante notare come nel mito le guerre di fondazione siano risolte molto più dagli esponenti della funzione magico-sacrale, che dai loro alleati che ricoprono la funzione specificamente guerriera. Questo dato trova forse una spiegazione logica nel fatto che, se l’obiettivo ultimo non è quello di annientare l’avversario, ma di piegarlo in futuro alla sottomissione, è evidente, a lungo termine, il ruolo decisivo della persuasione piuttosto che della forza.

Due guerre insieme

Se nell’Orestea possiamo leggere la trasposizione mitica del conflitto di genere che terminò col trionfo del dominio patriarcale, nel ciclo mitologico irlandese troviamo la motivazione ancestrale del potere aristocratico (prima e seconda funzione) e la demonizzazione delle divinità agricole (terza funzione), legate, non a caso, al mondo femminile.

L’episodio centrale di questo ciclo è la Seconda battaglia di Mag Tured, “vicenda bellica paragonabile per importanza mitologica a ciò che per i Greci era la guerra di Troia” (10).

Dotati di poteri soprannaturali e conoscitori di ogni sapere, il popolo divino dei Tuatha De Danann sbarca un giorno in Irlanda per contendere ai Fir Bolg la sovranità dell’isola. Al termine della Prima battaglia di Mag Tured, i Fir Bolg sono infine sconfitti e annientati, ma durante la battaglia viene mozzato un braccio a Nuada, il re dei Tuatha De Danann. La conseguenza di questa menomazione fisica si rivela molto grave: le donne dei Tuatha De Danann sostengono vivamente che, in quelle condizioni, Nuada non è più adatto a regnare. Per volontà delle donne, dunque, Nuada viene sostituito con Bres (che significa bello: una caratteristica degli dèi di terza funzione), figlio di una donna dei Danann e di un uomo dei Fomori, popolo autoctono il cui nome significa demoni sotterranei.

Ora che Bres è sovrano, i Fomori gravano l’Irlanda di tributi e s’impone di lavorare anche ai guerrieri dei Tuatha De Danann:

Non c’era fumo di focolare che non fosse soggetto alla loro imposta. Persino i guerrieri più forti furono costretti a servirli. Ogma portava le fascine di legna da ardere, il Dagda costruiva le fortezze (11).

Viene qui sottolineato che persino Ogma il campione e Dagda il sapiente sono obbligati a lavorare: e questo perché essi rappresentano rispettivamente uno la seconda funzione e l’altro la prima: soggetti divini trifunzionali che in assoluto dovrebbero essere esenti da mansioni lavorative che spettano alla terza funzione.

Per i capi dei Tuatha De Danann, insomma, la vita va facendosi sempre meno piacevole.

Fatica lavorativa e scarsezza materiale: ecco cosa offre ai Danann la sovranità di Bres. Un giorno, però, il regno di Bres viene colpito da una terribile maledizione, ed egli allora riconosce di fronte ai Tuatha De Danann che la sua sovranità deve essere restituita. Chiede però una dilazione di sette anni e i Danann gliela concedono. Bres ha così il tempo di radunare un potente esercito di Fomori con cui cercare di sottomettere nuovamente i Danann. E’ allora Nuada che torna ad essere il re. Ma un giorno, alla sua corte, si presenta un certo Lug, uno strano uomo che dichiara e dimostra la sua capacità di fare tutto in modo eccezionale. Così, essendo l’esercito fomoro ormai alle porte, Nuada decide di lasciare il trono a Lug in vista della guerra.

Nella seconda battaglia che si combatte a Mag Tured, Nuada cade presto ucciso, mentre Lug conduce i Tuatha De Danann alla vittoria finale.

I Fomori vengono massacrati e respinti fino al mare. Bres il Bello, invece, caduto nelle mani dei Danann, tenta di convincerli di quanto sarebbe conveniente per loro lasciarlo vivere: “il latte non mancherebbe mai alle mucche d’Irlanda”, dice. Ma i Danann rispondono che questa non è una buona ragione, perché “se è vero che può assicurarne il latte, non ha alcun potere sul termine della loro vita e sulla loro fertilità”. Bres allora replica sostenendo che grazie a lui i Danann “mieteranno un raccolto ogni quarto di anno”. Ma nemmeno questa è una buona ragione per non ucciderlo. Infatti “Finora è andata bene così: la primavera per arare e seminare, perché il grano sia forte all’inizio dell’estate, completi la maturazione e sia mietuto all’inizio dell’autunno, e sia consumato nell’inverno.” Lug allora gli riferisce l’unico modo che ha per trovare scampo:

- Come devono arare gli uomini d’Irlanda? Come seminare? Come mietere? Una volta che avrai fatto conoscere queste tre cose sarai risparmiato.
- Di’ loro [ai giudici dei Danann, nda] questo -- rispose Bres -- : un martedì per arare, un martedì per spandere i semi nel campo, un martedì per la mietitura.

Con questo stratagemma Bres fu lasciato libero (12).

Dumézil ha efficacemente dimostrato che la storia di questa battaglia debba essere interpretata come la versione celtica di due importantissimi miti indoeuropei che, però, in questo racconto irlandese, vengono sovrapposti l’uno all’altro. Ci riferiamo al mito della guerra di fondazione e al mito della guerra contro i nemici del mondo. Ora, mentre nella mitologia e nella pseudostoria di altri popoli indoeuropei queste due guerre si ritrovano nettamente distinte, nella battaglia di Mag Tured le troviamo insieme, mescolate.

Come abbiamo detto, la guerra di fondazione è quella guerra che vede gli esponenti della prima e della seconda funzione combattere contro chi personifica la terza. Il conflitto termina con un accordo, che produce l’inquadramento degli esponenti di terza funzione nella società tripartita, quali patroni dell’abbondanza, della fecondità, della fertilità agricola e/o di altre attività produttive. Secondo Dumézil anche nella guerra fra Romani e Sabini bisogna vedere una proiezione pseudostorica della guerra di fondazione indoeuropea.

Dopo aver dimostrato come, in tale contesto, Romolo e la tribù dei Ramni rappresentino la prima funzione, i Luceri e l’etrusco Lucumone la seconda, i Sabini con il loro capo Tazio la terza (13), Dumézil mette in luce quali analogie e corrispondenze vi siano fra la guerra che oppone Ramni e Luceri ai Sabini di Tazio, e la guerra fra gli Asi e i Vani della mitologia nordica.

Dumézil rileva inoltre che le analogie esistenti fra queste due guerre non riguardano solo il loro senso generale, ma anche l’insieme dei meccanismi che le compongono. C’è ad esempio un chiaro parallelismo fra le vicende della Gullveig (Ebbrezza dell’Oro) nordica e la Tarpeia romana:

Da una parte i ricchi e voluttuosi Vani che corrompono dall’interno la società (le donne!) degli Asi, inviando loro la donna chiamata Ebbrezza dell’Oro; dall’altra parte Odino che lancia il suo famoso giavellotto di cui è noto l’irresistibile effetto magico e di panico. Allo stesso modo i ricchi Sabini, da una parte, ottengono quasi la vittoria occupando la posizione-chiave dell’avversario, non col combattimento, ma acquistando con l’oro Tarpeia […]; dall’altra parte Romolo, grazie a un’invocazione a Jupiter ottiene dal dio che l’armata nemica vittoriosa venga improvvisamente e senza motivo invasa dal panico (14).

La guerra contro i nemici del mondo, invece, è il conflitto che vede scontrarsi coloro che si pongono a difesa del cosmo contro quelle forze demoniache, caotiche, infernali che lo vogliono distruggere. Nella mitologia nordica e nella pseudostoria romana i nemici del mondo sono contrastati da una coppia di salvatori: il Monocolo e il Monco.

Odino rinuncia ad un occhio in cambio del sapere magico che permette agli Asi di fabbricare un filo capace di immobilizzare il gigantesco lupo Fenrir - minaccia del mondo - fino al Ragnarök, ossia il destino ultimo degli dèi. Fenrir, vista la sottigliezza del filo, si fa legare per gioco, ma come garanzia pretende che uno degli Asi gli ficchi una mano in gola. Si trova un solo volontario: Tyr. Il lupo, accorgendosi dell’inganno, strappa la mano a Tyr, ma per il momento il mondo è salvo.

L’esercito etrusco di Porsenna si accinge ad assalire Roma (che nel quadro della trasformazione romana del mito in pseudostoria, equivale all’intero mondo). I Romani stanno demolendo il ponte d’entrata, quando alla testa di esso si pone Orazio Coclite, il cieco da un occhio, che col suo unico occhio lancia occhiate truci agli Etruschi, sfidandoli al combattimento. Tutte le lance che gli vengono scagliate addosso finiscono prodigiosamente o in mare o intorno a lui; infine il ponte crolla proprio quando lo stavano per prendere. L’attacco fallisce, ma il pericolo che incombe sull’Urbe resta mortale.

E’ dunque il momento di Muzio (Scaevola, “il mancino”), che penetra nel campo di Porsenna per ucciderlo, ma, non riuscendoci, di fronte al re nemico mette la mano destra dentro un braciere, giurando che altri trecento giovani romani sono pronti a tentare l’impresa che lui ha fallito. Il timore e l’ammirazione per quel gesto e quelle parole, inducono Porsenna a concludere la pace che salva Roma.

Il meccanismo è lo stesso:

[Odino] usa il sapere trascendente acquisito con la sua antica mutilazione, così come Coclite, che era già guercio, terrorizza gli Etruschi con i suoi truces oculi […], Tyr e Scaevola sacrificano il braccio come pegno della veracità di una dichiarazione falsa, che induce il nemico, in un caso a lasciarsi legare, nell’altro a rinunciare a una vittoria sicura (15).

Ora, la battaglia di Mag Tured è guerra di fondazione e guerra contro i nemici del mondo insieme: vi si trovano cioè, sovrapposti, elementi sia dell’una che dell’altra. Se è vero infatti che nella battaglia di Mag Tured non agisce una coppia salvatrice Monocolo-Monco come quella sopra descritta, è anche vero che Lug, per compiere gli incantesimi che daranno una svolta alla battaglia, chiude un occhio e spalanca l’altro, e i Danann avranno definitivamente in pugno la battaglia solo dopo che Lug avrà atterrato Balor dall’occhio penetrante, chiamato così perché “i guerrieri guardati da quell’occhio, quand’anche fossero stati migliaia, non potevano resistere al nemico” (16). Lug, dunque, salverà l’Irlanda lanciando incantesimi con un occhio chiuso e puntando contro i Fomori il trux oculus di Balor: si pensi al mago Odino che rinuncia all’occhio per immobilizzare Fenrir con un laccio incantato, e ad Orazio Coclite che minaccia gli Etruschi con il truce sguardo per salvare Roma. E non dimentichiamoci che, proprio come Tyr e Muzio Scaevola, anche Nuada ha perso una mano per contrastare il nemico.

L’azione decisiva dell’occhio e la mutilazione della mano, dunque, riguardano i due capi dei Tuatha De Danann, proprio come nella mitologia nordica riguardano i grandi dèi degli Asi: e se da una parte Tyr viene completamente eclissato da Odino, dall’altra Lug sostituisce Nuada sul trono e sul campo di battaglia. Inoltre, fra Danann e Fomori (il cui nome, lo ricordiamo, significa demoni sotterranei) il conflitto è totale. Non si arriva pertanto a nessun accordo, e, ad eccezione di Bres, tutti gli altri Fomori vengono massacrati o respinti fino al mare. Ecco gli elementi della guerra contro i nemici del mondo.

La guerra di fondazione si scorge invece dietro al conflitto - che si risolve con un patto - fra i Tuatha De Danann e Bres, il nemico capace di influire sulla prosperità delle vacche e dei campi, e risparmiato dai Danann in quanto conoscitore dei lavori agricoli. Bres, quindi, che è bello proprio come Freyr, il dio nordico della fertilità, rappresenta l’aspetto contadino e pastorale della terza funzione. È infatti inverosimile che l’agricoltura e l’allevamento

[…] non abbiano un loro corrispondente mitico. Essi lo hanno, in effetti, ma, come il Sabino Tazio a Roma, come i Vani Njorder e Freyr presso gli Asi, questo corrispondente è, presso i Tuatha De Danann, un “allogeno assimilato”, e il servizio di abbondanza e di fecondità che egli rende ai Tuatha De Danann è l’effetto di un accordo stipulato in seguito a una guerra terribile (17).

I demoni incatenati

La classe dominante dei Celti d’Irlanda ha insomma identificato gli esponenti divini della funzione agricola e pastorale con le forze demoniache. L’agricoltura e la pastorizia erano però attività fondamentali anche nella società celtica, e la ricerca archeologica ci dice che fra i lavoratori delle campagne era molto diffusa la venerazione di divinità, soprattutto femminili, legate agli animali e alla fertilità della terra. I dati mitici e archeologici, dunque, lasciano pensare che nel mondo celtico vi fosse una netta frattura - per un certo periodo anche etnica - fra la classe sacerdotale e guerriera da una parte, e la classe produttiva dall’altra. Una frattura così tanto ribadita che, evidentemente, generava spesso dure lotte civili.

Altri due meccanismi collegano la Seconda Battaglia di Mag Tured alle guerre di fondazione germanica e romana. Uno è il ruolo fondamentale che le donne giocano nella salita al potere di Bres, episodio che richiama quello di Tarpeia quanto quello di Gullveig. L’altro è il ruolo marginale di Ogma, l’esponente della funzione guerriera, durante la battaglia. E’ invece Lug, esponente della prima funzione, che determina la vittoria dei Tuatha De Danann. Questa dinamica corrisponde esattamente alla

[…] parte irrilevante (Thor) o molto secondaria (Lucumone) che i rappresentanti della seconda funzione sociale, dei Forti, hanno in questa guerra sui generis che oppone principalmente la prima e la terza funzione, i Maghi (Odino, Romolo) ai Prosperi (Njorder e Freyr, Tazio) (18).

La guerra di fondazione, infatti, getta le basi del futuro ordine tripartito, in cui la prima e la seconda funzione, più o meno solidali, domineranno la terza. Ma questo ordine dovrà essere il più possibile armonico, senza conflitto. Ecco perché la funzione magico-regale è molto più coinvolta di quella strettamente guerriera: perché il fine ultimo non è la distruzione del Prospero, ma il suo inquadramento - in veste di subalterno - nella gerarchia trifunzionale.

Giacomo Scalfari

(1) Friedrich Engels, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, Editori Riuniti, 1993, (I ed. 1884) p. 84.

(2) il Neolitico (VIII-IV millennio a.C. circa) è l’epoca più recente dell’Età della Pietra. In questo periodo, con la scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento, l’uomo inizia a produrre sistematicamente le proprie risorse alimentari.

(3) Nicole Chevillard e Sébastien Leconte, Lavoro delle donne, potere degli uomini, Erre emme edizioni, 1996 (I ed. Paris, 1986), p. 13.

(4) N. Chevillard e S. Leconte, Lavoro delle donne, potere degli uomini, cit., p. 66.

(5) N. Chevillard e S. Leconte, Lavoro delle donne, potere degli uomini, cit., p. 67.

(6) Eschilo, Orestea, Rizzoli, 2000, p. 526, vv. 658-661.

(7) Eschilo, Orestea, cit., p. 533, vv. 736-741.

(8) Eschilo, Orestea, cit., p. 549-550, vv. 979-983.

(9) Georges Dumézil, L’ideologia tripartita degli Indoeuropei, Il Cerchio, 1988 (I ed. Bruxelles, 1958) p. 33.

(10) Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell’Ateneo, 1966, p. 233.

(11) Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, Mondatori, 1996, p. 46.

(12) G. Agrati e M. L. Magini, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, cit., pp. 66-67.

(13) cfr. G. Dumézil, Jupiter, Mars, Quirinus, Einaudi, 1955, (I ed. Paris, 1955), pp. 90-107.

(14) G. Dumézil, L’ideologia tripartita degli Indoeuropei, cit., p. 87.

(15) G. Dumézil, Le sorti del guerriero, Adelphi, 1990 (I ed. Paris, 1985), p. 64.

(16) G. Agrati e M. L. Magini, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, cit., p. 64.

(17) G. Dumézil, Jupiter, Mars, Quirinus, cit., p. 119.

(18) G. Dumézil, Jupiter, Mars, Quirinus, cit., p. 115.

Comments

L'analisi su questo argomento è l'esempio di quanta strada c'è ancora da fare nell'interpertazione delle dinamiche di emancipazione affettiva e di liberazione sociale all'interno della cultura della sinistra di classe.

L'esaltazione dell'antico matriarcato come modello di società ugualitaria è uno dei più grandi errori che si possano commettere nella valutazione della storia umana. Della storia emotiva, familiare, economica e culturale.

Bisogna leggere bene Bachofen, Erich Neumann, Robert Graves, ed altri, per capire che l'alternativa all'antico matriarcato SANGUINARIO e cruento nei suoi riti (perché basati sull'appartenenza all'identità del corpo materno: il POS-SESSO) in nessun caso è definibile come contrappunto del PATRIARCATO.

Infatti non esiste simmetria tra maschile e femminile, dal momento che i ruoli sono incomparabili: un uomo nasce da un corpo di donna, una donna nasce da un corpo di donna; siamo mammiferi. In nessun caso diventeremo 'babbiferi'.

La vera alternativa al matriarcato del possesso è l'estensione ai rapporti sociali, la civiltà: la Polis!

La civiltà in quanto tale. Civiltà della differenza, del soggetto che si è emancipato dall'essere meramente un 'aggettivo' della matriarca (soggetto sottoposto) ed è divenuto Soggetto e sostantivo del proprio ruolo sessuale e sociale: soggetto sovrano!

Sono moltissimi gli spunti da approfondire a questo proposito. Qui non è il caso di andare troppo oltre. Ma gli errori che ancora la sinistra fa nell'analisi di questi passaggi cruciali dell'identità umana sono imperdonabili, deleteri al punto da inficiare un qualsiasi progetto di società presente o futura.

Engels e Marx hanno sbagliato nel parlare di patrircato e di inizio dell'oppressione della donna come paradigma capitalista, ma avevano in precedenza correttamente individuato proprio nella donna (la giovane donna, non la matrtiarca!) il motore possente del superamento del matriarcato stesso. Come è possibile che le donne avanzino verso la rivoluzione privata e sociale costruendo le premesse del proprio danno e della propria opprerssione ad opera maschile?

La verità si riassume in questo: bisogna smetterla di affermare che la differenza sessuale è una questione soltanto di genere (maschi contro femmine, è ridicolo!); la verità è che la realtà si riproduce a partire da un conflitto di genere-azione, generazione dunque! Azione di genere: poter essere maschi, potere essere donne. Contro l'oppressione generazionale delle madri e dei loro mariti-padri. Conflitto di generazione che, se si risolve in direzione conservatrice (vince la vecchia contro la nuova generazione), porta ad una società retriva, oppressiva da sudditi e schiavi (come nella caverna di Platone, Polifemo o il Minotauro dell'incesto-labirinto); se invece si risolve in bellezza con la lotta (anche conflitto di classe!) e la vittoria dei figli asserviti contro gli dei-genitori, allora la società sarà quella dell'età dell'oro.

Nella Grecia eroica che superò il matriarcato sanguinario con il nuovo ordine di dei capeggiato da Atena e Apollo, la civiltà era tale che negli anfiteatri si metteva in scena non la morte procurata dei combattimewnti cruenti, ma per la prima volta nella storia... la cultura! La tragedia, la commedia, la farsa; oppure l'agone sportivo! Una società che supera il matrircato sanguinario (misteri eleusini, Baccanti e la depressione mascherata del dionisiaco) non può che essere una società migliore ed emancipata; perché orientata sul sociale, sulle relazioni tra diversi, quindi sulla cultura, lo scambio, il confronto. Altro che oppressione!

I problemi non risolti dalla rivoluzione culturale dei Greci eroici sono ben altri e riguardano ancora l'infelicità della donna in fase secondaria, ma per ben altre dinamiche che qui sarebbe troppo lungo spiegare.

Per favore smettetela di sbagliare in modo così macroscopico l'analisi sulla nostra identità di esseri civili che si vogliono emancipare dall'oppressione. Non sopporto che i compagni dicano cazzate, dal momento che l'unica cosa che ci rende migliori rispetto al capitalismo ed alla religione è proprio la capacità di analisi.

Altrimenti il capitalismo continuerà ad essere l'ultima forma deforme di organizzazione umana. Finché dura.

Caro Sergio, hai letto l'articolo o sei andato a spanne? Non c'è nessuna esaltazione del matriarcato, ma l'individuazione nei miti di uno scontro epocale che ha trasformato determinate società da egualitarie sia sul piano sociale che di genere, in società classiste e patriarcali.

Si stava meglio nella Creta minoica dove le città erano senza mura di cinta, dove l'arte esaltava la natura invece che le armi, dove le donne partecipavano alla vita sociale come gli uomini, o nelle tue poleis dei ginecei e dello schiavismo?

Torna a studiare.

Caro Gek, quello che è tutto da dimostrare è che le società pre-sociali, precedenti allo sviluppo culturale e sociale della Grecia eroica, fossero delle civiltà ideali, prive di violenza e di guerra. Affermare questo equivale ad un dogma religioso: un falso. Robert Graves afferma la natura violenta, sanguinaria, privata ed oppressiva (contro la generazione nascente, in specie la proprietà sessuale delle giovani madri) propria delle forme mattriarcali a cui è riferita l'immagine della Grande Madre: unica forma di 'ordine' sociale che precede la civiltà.

Gli uomini temevano la matriarca, la riverivano e le obbedivano(...)

La ninfa tribale, pare, si sceglieva ogni anno tra i giovanotti del suo entourage un amante, il re che sarebbe stato sacrificato alla fine dell’anno e che diveniva così un simbolo della fertilità più che uno strumento del piacere della ninfa (…).

Nell’antica mitologia greca si riflettono soprattutto quei mutevoli rapporti tra la regina e i suoi amanti, che iniziano con il sacrificio annuale o biennale del divino paredro e terminano (all’epoca in cui l’Iliade fu composta e i re si vantarono ‘Siamo migliori dei nostri padri!’) col tramonto del matriarcato.

Quelle società quindi non potevano essere 'egualitarie', né tanto meno pacifiche. Le donne non partecipavano ugualmente né ai propri diritti né alla vita sociale. Per esempio non potevano nemmeno disporre dei beni del marito a vantaggio dei propri figli in caso di morte del coniuge:

I figli dell’estinto però non appartenevano alla sua gens, ma a quella della loro madre (…), non potevano ereditare dal padre poiché essi non appartenevano alla sua gens, e il suo patrimonio doveva rimanere in questa gens. Alla morte del possessore di armenti, i suoi armenti sarebbero quindi passati, anzitutto, ai suoi fratelli e sorelle e ai figli delle sue sorelle o ai discendenti delle sorelle di sua madre. I figli suoi però erano diseredati. F.Engels

E fu per questa ragione che, ad opera delle stesse donne,

il calcolo della discendenza in linea femminile e il diritto ereditario matriarcale furono abrogati e fu introdotta la discendenza in linea maschile e il diritto ereditario patriarcale. F.Engels

La civiltà nasce a questo punto. Prima vigeva solo il diritto del sangue e del corpo (stilemi matriarcali); mentre successivamente prevale il sistema della legge che è maschile, in quanto differenza (dal possesso del corpo della madre).

La fase successiva della storia dell'umanità è quella rappresentata drammaticamente nell'Orestiade. L'argomento è la vittoria del figlio, che uccide la madre per vendicare il padre e che, con l'aiuto di questo iato paterno-solare, introduce l'epoca del patriarcato. Qui patriarcato va inteso nel senso di Bachofen, come predominio del mondo maschile dello spirito, del sole e della coscienza, mentre nel matriarcato dominano l'inconscio e un modo di pensare, o meglio, di sentire, preconscio, prelogico e preindividuale.

Neumann Erich, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio, RM, 1978, pp. 151 e 156.

Cioè la coscienza, la legge, l'accordo tra enti esterni al clan di appartenenza, sociale, appunto, prendono il sopravvento sul privato. Si instaura il concetto di ugualitarismo di fronte alle norme; contro il diritto di sangue, che è assoluto e indiscutibile, perché della carne. Prima vigeva solo l'appartenenza obbligata e l'inciviltà dell'indistinto, l'idiozia della caverna descritta da Platone, che contrappone l'acume di Ulisse, eroe alla deriva, all'imbecillismo del matriarcale Polifemo, deforme e cavernicolo; Teseo (come Ulisse) rompe la degenerazione dell'incesto nel labirinto (intestino cieco), dove la deformità dell'incesto si evidenzia nel Minotauro. La storia nasce (ma non si risolve) con il superamento dell'idiozia matriarcale, dei suoi riti di sangue, dell'egualitarismo fondato sulla sottomissione di tutti alla matriarca. Ancora oggi rappresentata nell'imbecillismo del paradigma cattolico: pastore, pecore e cane lupo (dove le pecore sono i figli sottomessi ai genitori). Ancora oggi i danni sociali del matrircato sono evidenti: Grande Madre Mafia (Silvia De Lorenzo), chiesa cattolica e figlicidio, l'Azienda Madre dell'imperialismo e della guerra:

Ignorare l’Ombra della guerra non è dissimile dall’ignorare l’inconscio. (…) Senza dubbio si manifesta con la stessa feroce aggressività con cui la Madre Terribile desidera riappropriarsi o vendicare un figlio perduto, a costo di seminare, attorno a sé, desolazione e morte. Come scrive Neumann a proposito dell’immagine archetipica della Grande Madre Terribile, ‘malattia, fame e bisogno, ma innanzitutto la guerra sono i suoi alleati’.

Bonvecchio Claudio, Risé Claudio, L’ombra del potere, Red Edizioni, Como, 1998, p. 87.

L'uomo è un animale politico, fuori dalla Polis è una bestia o un dio:

Non c'è alternativa: quando fug­giamo dalla città ci ritroviamo nel Cithaeron, cioè a dire in un mondo senza ordine o tradizione, senza legge né distinzione: il mondo dioni­siaco, che è possibile esaltare come liberazione alla Nietzsche, come fonte di fertilità e poesia (cosa che in effetti è), un luogo dove la follia ha finalmente una funzione santificata. Ma, come ha confessato Euri­pide, è anche il mondo dell'estasi dal quale ci si risveglia, inevitabil­mente e necessariamente, nel terrore: la Madre che scopre che la testa insanguinata tra le sue mani non è di un qualche animale sacrificale bensì del Figlio il quale, rifiutando di santificare la follia in nome del­l'umano, diventa al tempo stesso bestia e Dio, pur rimanendo in qual­che modo un mortale destinato alla sofferenza e all'annullamento.

Fiedler Lesile, La tirannia del normale, Donzelli, RM, 1998, p. 12.

Il comunismo è un fatto nuovo nella storia, almeno nell'accezione marxista. Il pecorismo è anche nel passato. Infatti la fase capitalistica del moderno, nella storia moderna dell'uomo è un passaggio obbligato e conflittuale nei processi di individuazione e di liberazione.

La natura violenta e sanguinaria della Grande Madre... l'idiozia e l'imbecillismo del matriarcato, il pecorismo...

Caro Sergio, puoi fare sfoggio di tutte le letture più o meno colte che vuoi, ma se le conclusioni a cui giungi sono così grossolane e ingenue, il tempo che hai passato su quei libri è davvero sprecato.

Come diversi altri prima di te, in primis Bachofen, tu definisci matriarcato ciò che ha preceduto i regimi patriarcali semplicemente perché non riesci a immaginare qualcosa di diverso da una società in cui vi sia qualcuno che domina e qualcun altro che viene dominato. Non solo, ma come prova di questo assunto prendi la mitologia greca così come la raccontano gli autori classici, senza considerare che quei miti, come la storia, li hanno scritti i vincitori dello scontro epocale fra società egualitarie e società classiste patriarcali, per cui vanno interpretati come il prodotto ideologico del potere androcratico che con quei miti vuole giustificare se stesso e autocelebrarsi.

Ancora oggi i danni sociali del matrircato sono evidenti: Grande Madre Mafia, chiesa cattolica e figlicidio, l'Azienda Madre dell'imperialismo e della guerra...

In questo passaggio il tuo delirio patriarcale supera l'immaginabile. La mafia è borghesia armata, parte integrante della classe al potere a livello mondiale, composta nella sua grande maggioranza da maschi e portatrice di una lunga serie di disvalori maschilisti e sessisti.

La gerarchia della chiesa cattolica è tutta maschile, dai preti fino al papa, passando dai vescovi ai cardinali.

Il figlicidio? Qui il delirio si fa estremo e non riesco più a seguirti... per non dire dell'imperialismo e della guerra, che sono i prodotti più nefasti della società classista e maschilista in cui viviamo e che dovremo spazzare via insieme a tutti gli eserciti, dominio di colonnelli, marescialli e generali: esattamente agli antipodi dell'antico mondo pacifico ed egualitario che potremo ritrovare solo abbattendo il capitalismo e tutti i suoi falsi miti guerrafondai.