Incompatibili

Volantino per lo sciopero generale del 12 dicembre

La crisi del capitalismo non ammette distrazioni: per questo, la borghesia italiana - industriali, banchieri, padroni di ogni genere - col sostegno di quella europea, ha messo da parte il Ciarlatano e la sua corte impresentabile, per portare ancora più a fondo l'attacco al lavoro salariato e, in generale, ai settori più deboli della società.

Anni e anni di sacrifici imposti al proletariato - operai, semplici impiegati, precari, sottoccupati e disoccupati, lavoratori in pensione - da governi di qualunque colore politico non sono stati in grado di disincagliare la macchina economica del capitale, che, per cercare di superare le proprie inguaribili contraddizioni, si è buttata a capofitto nella speculazione finanziaria e nell'immiserimento di masse lavoratrici sempre più vaste. Ancora una volta, dunque, si chiede agli impoveriti di dare il sangue per tenere in vita quei “mercati” che li hanno resi più poveri.

Non bastavano le manovre da 50 e passa miliardi del governo Berlusconi-Bossi: più che sufficienti per peggiorare drasticamente le nostre condizioni di esistenza ma inadeguate - evidentemente - alle esigenze di un capitalismo che fatica a risollevare i saggi di profitto generati nella “economia reale”. Inadeguate, anche, a difendere l'euro - strumento unificante di un imperialismo europeo ancora incompiuto - dagli attacchi dell'imperialismo americano e della speculazione internazionale.

Da qui, la manovra del “tecnico” Monti. Tra una raffica di vecchie e nuove - o riesumate - imposte, il pezzo forte è l'ennesima riforma delle pensioni: metodo contributivo, età elevata a 62 anni per le donne che possono però lavorare anche fino a 70 anni come gli uomini, la cui età pensionabile viene elevata a 66 anni. Dunque “pensioni flessibili”: finalmente liberi i lavoratori di “fare quello che vogliono”, meno il suicidio ufficializzato, per “premiare” chi dal lavoro salariato proprio non si vuol separare se non in punto di morte. Saranno pensioni da sopravvivenza (se arriveranno), visto che riguardo all’anzianità sono previsti ben 42 anni ed un mese di contributi per gli uomini e 41 anni e 1 mese di contributi per le donne. Altrimenti si pagheranno “piccole penali”. E ancora, stop agli adeguamenti delle pensioni all’inflazione: le lacrime del ministro Fornero avrebbero risparmiato “le pensioni minime” e quelle fino a 960 euro lordi (o 1400?). Dopo, si entrerebbe nelle fasce degli “agiati”. Ma non finita qui: in cantiere, c'è una riforma (ancora!) del mercato del lavoro, che, dopo quella di agosto col famigerato art. 8 e l'accordo di settembre tra “le parti sociali”, finirà per dare un potere pressoché assoluto ai padroni e ai loro scagnozzi sindacali,

Mai come nei momenti di crisi è evidente l'incompatibilità tra i nostri interessi di classe e quella dei gestori del capitale, la borghesia. Mai come ora emerge la natura del sindacalismo, maggioritario e “di base”.

Il primo non ha mai negato il suo “senso di responsabilità” verso il “Paese”, cioè l'economia dei padroni, mettendo la sua firma sotto contratti e accordi che, immancabilmente, ci hanno portato verso il peggioramento delle nostre condizioni di vita, dentro e fuori il luogo di lavoro. Se la CGIL, con la FIOM, sembra meno arrendevole di CISL-UIL, è solo perché queste ultime non fanno neanche più finta di difendere i lavoratori, ma partecipano apertamente alla spoliazione della classe lavoratrice.

Nemmeno il sindacalismo “di base” si è dimostrato uno strumento utile anche solo per difendere lo stato di cose presenti: diviso da squallidi litigi di bottega, tra le altre cose ha accettato, per poter esistere, la logica del nostro nemico di classe, cioè il rispetto della normativa antisciopero, sterilizzando in partenza le azioni di lotta.

Che fare, allora, rassegnarsi, disertare gli scioperi e non fare nulla? Esattamente il contrario! La strada da seguire non è certamente facile, ma, nonostante le difficoltà, è l'unica che ci possa dare prospettive concrete di risposta, almeno, alle bastonate della borghesia. È la strada delle lotte che partono dal basso, dai lavoratori stessi, fuori da organismi istituzionali e istituzionalizzati, ovvero fuori - e se necessario contro - i sindacati. Noi lavoratori dobbiamo dotarci dei nostri organismi di lotta fondati sulla centralità dell'assemblea, unica a decidere i modi e i tempi del conflitto col padrone (per esempio, senza preavviso), che cercano la solidarietà attiva delle altre categorie, che tendono a superare, dunque, la barriere artificiali tra lavoratori (fabbrica, comparto, settore. ecc.), pesante elemento di debolezza e, solitamente, di sconfitta assicurata. I lavoratori più combattivi comincino quindi a creare sui posti di lavoro comitati di sciopero e agitazione, per stimolare e organizzare gli altri compagni di lavoro, per costruire momenti di partecipazione assembleare che decidano modalità, obiettivi e forme di lotta.

Tutto questo è necessario, ma non sufficiente, se non ci poniamo anche il problema politico di una via d’uscita dalla crisi e dal sistema che l’ha generata: il capitalismo. Fino a che ci sarà il capitalismo, possiamo anche vincere una singola battaglia, ma rimaniamo persone-merce da sfruttare, bastonare e licenziare. Il superamento del capitalismo non può prescidere dall'organizzazione politica degli elementi più avanzati che le lotte esprimono e dalla più ampia diffusione del programma rivoluzionario tra i proletari. Per un mondo diverso e migliore.

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