Corrispondenza dalla Russia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

A cavallo tra un Europa in crisi e l'Oriente oramai divenuto fabbrica del mondo, la Russia prende le misure per ritagliarsi la sua fetta nella torta dell'imperialismo mondiale. La collocazione geografica di questo immenso paese sembra essere il suo punto di forza maggiore insieme alle sue sterminate risorse energetiche e di materie prime, senza dimenticare il deterrente delle sue potenzialità nucleari e militari. Parliamo, dunque, di un protagonista delle vicende di politica ed economia internazionale e a dimostrarlo stanno i recenti fatti in Siria e il dossier iraniano, sintomatici di un ritrovato vigore dell'imperialismo russo, che vede una rinascita dopo la rovinosa sconfitta nella guerra fredda.

Ed è proprio sulle macerie della guerra fredda che la borghesia russa, incarnata da Putin, fa leva nella propaganda nazionalista tra le masse lavoratrici. Un "orgoglio ferito" che i sogni di espansione tentano di risanare, riportando la Grande Madre Russia ai fasti di Pietro il Grande o magari a quelli di Stalin. Sì, perchè Vladimir Putin è figlio del capitalismo di Stato sovietico e non perde occasione per ricordarlo, tanto da definire il crollo di questo come "la più grande tragedia geopolitica del ventesimo secolo", risvegliando il sentimento slavofilo dei russi, intontiti dall'occidentalismo eltsiniano degli anni 1990. Ed è appunto su questo che si tenta di spostare il conflitto qui in Russia (come era in voga nell'Ottocento, all'epoca della diffusione delle idee populiste e poi marxiste): pur di addormentare i latenti e sporadici scontri di classe, si fa leva su un Occidente alle porte pronto a saccheggiare le ricchezze nazionali, quando in realtà il nemico è in casa propria ed è anche ben visibile.

L'Unione Sovietica e il suo collasso hanno instillato nella classe operaia russa un senso di disincanto verso il cambiamento sociale, ma a distanza di vent'anni dal crollo del Muro anche le illusioni sul capitalismo stanno venendo meno. Le promesse di rinnovamento e di crescita economica fanno acqua da tutte le parti e la classe media stenta a decollare, perciò si fa avanti un vecchio nemico della classe operaia mondiale: il nazionalismo grande russo.

Non è oramai una novità sentire di aggressioni a sfondo razziale verso gli immigrati provenienti dalle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale ad opera dei naziskin, che, con i loro gruppi, hanno la loro base più numerosa proprio in questo paese, teatro della più grande rivoluzione internazionalista proletaria della storia. Stimati intorno agli ottantamila membri, i gruppi neonazisti vengono foraggiati e finanziati dalle grandi oligarchie vicine al Cremlino, e sembrano essere un ostacolo non indifferente per la ripresa della lotta di classe, dati gli armamenti di cui usufruiscono e le informazioni che possiedono sui pochi e vessati gruppi rivoluzionari in circolazione. Nel 2010 si è registrato il caso dell'omicidio di un compagno a Mosca, ad opera di questi sgherri della borghesia.

Alcuni compagni mi hanno raccontato le loro misure di precauzione e, dato che sono soliti cambiare abitazione ogni giorno, cambiarsi i vestiti ogni quattro ore e non usano mai la stessa sim-card del telefonino, sembra proprio che solamente con l'aiuto dei servizi segreti possano aver localizzato il compagno Ivan Kostolom, ammesso che non siano stati gli stessi servizi a commettere l'omicidio.

Il peso dello stalinismo è qui più vivo che mai in ogni organizzazione che si richiama al comunismo, che questa si rifaccia o meno alle tesi antimarxiste del baffuto georgiano, e il tabù dell'internazionalismo sembra permeare le frange antagoniste imbonite da un non meglio precisato antimperialismo in salsa post-sovietica. Non a caso, questo sonno della ragione politica genera mostri di organizzazioni ibride, come i tristemente noti nazional-bolscevichi, fascisti rosso-bruni che utilizzano i simboli comunisti sdoganati alla reazione dal tradimento del capitalismo di Stato sovietico. Un bella giungla politica, dunque, dove non è facile districarsi se non si ha uno stomaco forte, un po' di furbizia e intuizione politica, senza contare che i margini lasciati dallo stato borghese sono ancora meno ampi che nella decadente e cripto (?) fascista Europa.

Capitolo a parte merita l'opposizione liberal-borghese a Putin, figlia dello starnazzare piccolo borghese di una classe media nascente, troppo sfortunata per vivere a lungo nella congiuntura economica del capitalismo globale e troppo borghese per confluire nel movimento reale della lotta di classe mondiale; breve e malata vita le si prospetta davanti alla classe dirigente di un paese che non intende spartirsi il bottino di un imperialismo straccione e decadente, legato alle contese territoriali e troppo grossolano per impedire un ritorno della fiamma rivoluzionaria nella terra natia delle istanze bolsceviche.

Questa polveriera di tematiche sociali e politiche vede il bandolo della matassa nella situazione economica mondiale e interna, come il materialismo dialettico ci induce ad analizzare. Se da una parte si è accodata al carrozzone dei Brics, la Russia non ha certo i numeri della crescita industriale cinese e nemmeno quelli della manodopera indiana e neanche il ruolo di traino continentale brasiliano. Ma ha qualcosa che nessuno degli altri attori "emergenti" ha, ovvero sterminate risorse energetiche, fondamentali per la crescita economica asiatica. L'arma a doppio taglio, per la borghesia russa, deriva dalla dipendenza dalle materie prime e dall'impossibilità strutturale di competere su altri piani con i partner asiatici, riserve di manodopera minori, arretratezza atavica dei macchinari, monopolio del settore bellico. Tutto ciò porta a un ridimensionamento delle previsioni di crescita e dei sogni di grande potenza, riducendo la Russia a rimorchio della Cina e indirizzandola a giocare a chi offre di più per accaparrarsi la sua alleanza, se con l'Occidente o il Celeste Impero in salsa neomaoista. In questo la Russia era già stata individuata da Lenin come anello debole della catena imperialista, data la sua incapacità di rendersi potenza industriale autonoma e di dimostrarsi finanziariamente forte sui mercati mondiali.

Diventa giusto e necessario, dunque, un lavoro di analisi su questo protagonista della storia moderna da parte dei marxisti, combattendo i falsi miti del passato sovietico e generalizzando la lotta internazionalista, capendo l'importanza strategica di riaprire il fronte rivoluzionario in un paese a cavallo tra Occidente e Oriente.

MP
Venerdì, November 9, 2012